In casa nostra divampa il dibattito sul complicato futuro di Fincantieri e si fa largo l’ipotesi di un maggiore impegno del colosso navalmeccanico nazionale nel settore della riparazione navale, una soluzione auspicata da molti per lo stabilimento di Sestri Ponente. Intanto l’Autorità Portuale di Marsiglia ha reso noto di aver intavolato una negoziazione esclusiva (che si chiuderà a marzo) per l’assegnazione della gestione del più grande bacino navale del Mediterraneo per la riparazione navale.
Detto che, in termini generali, il business della riparazione navale diventa più interessante via via che, come sta accadendo, la costruzione “rallenta”, a far tremare i polsi è soprattutto la composizione della cordata destinata ad aggiudicarsi con tutta probabilità la struttura (465×85 metri). Il raggruppamento è infatti composto da Stx France, T. Mariotti, San Giorgio del Porto e Cnm (Chantier Naval Marseille).
Stx France è, insieme alla tedesca Meyer Werft, il principale concorrente di Fincantieri fra le industrie navalmeccaniche europee specializzate nella costruzione di navi da crociera e passeggeri. Controllata dal gruppo coreano Stx e partecipata (con una quota superiore al 30%) dallo Stato francese, annovera fra i clienti principali la Msc Crociere di Gianluigi Aponte. T. Mariotti, società privata genovese, facente capo all’ex presidente di Confindustria Genova, Marco Bisagno, è il quarto player europeo nella costruzione (specializzato in navi di medio piccole dimensioni di alta gamma), nonché socio, in Genova Industrie Navali, della concittadina San Giorgio del Porto. Un’alleanza che rappresenta il top della riparazione navale nel Mediterraneo, nonché, per vicinanza, il più agguerrito concorrente di Fincantieri, il cui stabilimento dedicato al settore è prevalentemente quello palermitano.
Cnm è una controllata di San Giorgio che da oltre un anno e mezzo gestisce gli altri due bacini di carenaggio più grandi di Marsiglia (320 e 250 metri di lunghezza). Inoltre, secondo quanto comunicato da Marsiglia, alla compagine potrebbe unirsi qualche compagnia crocieristica e, a tal proposito, vale la pena ricordare come il terminal crociere del porto francese sia gestito da una joint venture fra Msc Crociere, Costa Crociere e Louis Cruises (compagnia greca).
In sintesi, a Marsiglia, porto fra i più trafficati dell’alto Tirreno, nascerà un polo navalmeccanico che raggruppa il numero due e il numero quattro della cantieristica di costruzione europea (il che significa molto quando gli armatori clienti dei suddetti devono scegliere dove far riparare le proprie navi) e il numero uno della riparazione navale. Il bacino in questione, bisognoso di restauri, non sarà operativo prima della fine del 2014, tuttavia è evidente che la newco si candida a dominare il mercato mediterraneo, anche perché, considerato il portafoglio ordini di tutti i cantieri del mondo, saranno sempre di più le maxi-navi, non solo da crociera, più lunghe di 350 metri, che, in tutto il Mare Nostrum occidentale potranno essere riparate in bacino solo a Marsiglia o quasi (secondo i database internazionali oggi sono 147 le navi superiori ai 350 metri in circolazione e diventeranno 292 entro fine 2015).
Bacino di Genova
Porto di Genova
Bacino del porto di Napoli
In tutto ciò, salta agli occhi come nel nuovo polo marsigliese – che impiegherà maestranze prevalentemente francesi e pagherà le tasse in Francia – ci sia molta Italia e viene quindi spontaneo chiedersi quale sia la situazione chez nous. Da un punto di vista strutturale in Italia esistono tre bacini di carenaggio superiori ai 300 metri, quello di Fincantieri a Palermo (370×68 metri, ne ha uno anche a Trieste di 295x56m) e quelli demaniali a Livorno (350x55m, da anni fuori uso e da anni in predicato di essere ripristinato) e Napoli (335x40m), mentre dei cinque bacini pubblici di Genova (che, in termini di numero di navi riparate, conseguenza diretta dei traffici portuali, è il polo più importante d’Italia), il più grande misura “solo” 267×40 metri. Ragion per cui una paio di anni fa San Giorgio e Mariotti decisero di “ampliare” l’attività, investendo a Marsiglia. Non prima di aver condotto un pluriennale e (finora vano) pressing sulle istituzioni locali liguri per la costruzione di quella “sesta vasca” in grado di garantire il futuro al comparto delle riparazioni (che, secondo varie stime, vale, fra diretto e indotto, fra 2mila e 3mila posti di lavoro a Genova e dintorni).
Ma le due società genovesi non sono state le sole ad emigrare. Anche la napoletana Palumbo, infatti, ha trasferito dal 2010 cospicua parte delle attività a Malta, dove le è stata affidata, fra le altre cose, la gestione di un bacino di carenaggio di 360×62 metri. E qui entra in ballo un altro fattore che gioca a sfavore degli operatori italiani: mentre in Francia e Malta ai “nostri” sono stati fatti ponti d’oro, concedendo l’uso esclusivo delle strutture esistenti (con una regolamentazione per l’accesso di eventuali riparatori terzi), da noi sulla materia regna l’incertezza giuridica. In generale, come a Genova, si opta per una gestione pubblica dell’accesso alle strutture, sebbene siano alla studio formule che ne riducano la farraginosità, e, laddove si sia provveduto, come a Napoli, all’affidamento ad un singolo operatore, sono nate diatribe giudiziarie trascinatesi per anni, a tutto detrimento dell’industria. Il tutto a dispetto del fatto che sia diffuso il riconoscimento della crescente importanza del settore anche da parte di amministratori pubblici di primo piano del settore marittimo come i presidenti delle Autorità Portuali di Genova e Livorno.
Insomma, un canovaccio noto, purtroppo, a diversi comparti dell’industria italiana:
- il livello qualitativo dei nostri operatori è elevato e competitivo, sebbene la frammentazione sia alta e la dimensione aziendale medio-piccola
- l’incumbent statale del settore, pur ben gestito, opera come un Moloch a sé stante, senza intrattenere rapporti di partnership paritetica col privato
- l’infrastrutturazione esistente è discreta, ma, bisognosa di aggiornamento e vincolata allo status pubblico, sconta ritardi burocratici e finanziari
- l’incertezza giuridica e la totale assenza di una politica industriale di coordinamento a livello nazionale completano il quadro.
Il risultato è che, in un settore a domanda presumibilmente crescente, i nostri operatori privati investono all’estero, con l’appoggio del settore pubblico locale e in concorrenza diretta con l’industria italiana.