È uscito il rapporto della “commissione Giovannini” sui compensi erogati ai parlamentari in Europa. A mio avviso il dibattito su quanto è giusto pagare i parlamentari sta girando a vuoto. Vorrei proporre una alternativa radicale: paghiamo, almeno temporaneamente, i parlamentari in base ai risultati economici del paese.
La cosidetta commissione Giovannini era stata stabilita nel luglio scorso. Imperversava ancora Voltremont (Tremonti ndr), e la commissione era il risultato dell’ennesima presa per i fondelli del paese. Infatti, a fronte del clamore e della rabbia montante sui costi della politica, anziché fare qualcosa di concreto il governo Berlusconi-Bossi-Tremonti fece la solita altisonante dichiarazione di principi, affermando che la remunerazione dei parlamentari italiani doveva prendere come riferimento la media dei trattamenti omologhi degli stati dell’area euro. Ma visto che non era ben chiaro quale fosse tale media, si mise su una bella commissione di studio per capire quale fosse. La commissione ha ora prodotto la sua relazione. Non l’ho letta, ma mi pare che il Post ne faccia un buon riassunto: in sostanza la commissione ha preso atto che il compito assegnatole era vago fino ai limiti dell’impossibilità e questo ha detto, non mancando di sottolineare alcuni aspetti della normativa italiana che appaiono anomali (come il trasporto gratuto o la completa discrezionalità nella gestione dei portaborse). Non ho dubbi che se ci fosse stato il precedente governo questa sarebbe stata la fine della storia, con totale insabbiamento della relativa pratica. Può essere che questo succeda anche con il governo Monti, ma prima di abbandonare la speranza voglio provare a fare una proposta che non vuole assolutamente essere provocatoria ma molto concreta.
Proviamo infatti a porci una domanda un po’ differente: non quanto, ma come è giusto pagare i parlamentari. La pratica consolidata a livello internazionale è di pagarli con un salario fisso e indipendente dai risultati. Ci sono almeno due ottime ragioni perché, in casi normali, sia così. In primo luogo è in principio molto difficile definire cosa sia una ”buona performance” per i parlamentari. La politica è terreno di scontro tra idee e interessi, e ciò che viene considerato eccellente performance da alcuni viene considerato disastroso da altri (provate a pensare alle differenti reazioni che può generare un aumento della spesa per la difesa al fine di costruire un esercito più forte). In secondo luogo, anche ammesso che sia possibile individuare in modo efficace alcune variabili esattamente misurabili da cui far dipendere la remunerazione, è rischioso far dipendenre la compensazione dai risultati perché si rischia che gli sforzi si concentrino sulle variabili più facilmente misurabili a scapito delle variabili meno esattamente misurabili, ma magari più importanti. Si tratta di un problema ben noto nella teoria degli incentivi. Per esempio, se si pagano gli insegnanti in base ai risultati raggiunti dai loro studenti in test standardizzati, si rischia che gli insegnanti dedichino troppo tempo a sviluppare capacità nozionistiche che permettono di ottenere buoni risultati nei test a scapito di altre capacità, come l’abilità a pensare in modo innovativo e creativo. In presenza di compiti multipli e con differenti gradi di misurabilità è quindi consigliabile usare una compensazione fissa.
Pur essendo cosciente delle difficoltà che una compensazione basata sui risultati può generare io credo che il momento sia sufficientemente eccezionale da consigliare una deviazione temporanea dalla regola del salario fisso. Il mio argomento è il seguente. Credo ci sia consenso generale nel paese sul fatto che il compito più urgente del parlamento sia il miglioramento delle condizioni economiche. In particolare, è necessario riportare sotto controllo il debito pubblico e riavviare il processo di crescita economica. La mia proposta è che per i prossimi 5 anni i parlamentari vengano remunerati in funzione di due variabili: l’avanzo primario e il tasso di crescita del Pil. In particolare propongo un processo in due passi:
1) Se il bilancio pubblico non presenta un avanzo primario, la remunerazione dei parlamentari è zero.
2) Se il bilancio pubblico presenta un avanzo primario, la remunerazione dipende dalla differenza tra il tasso di crescita del Pil Italiano e il tasso di crescita del Pil tedesco. Specificamente, la remunerazione (identica a quella attuale) viene pagata per intero se il Pil italiano cresce almeno quanto il Pil tedesco, e viene ridotta proporzionalmente altrimenti.
Visto che siamo tra nerds, mi azzardo a riassumere il tutto in una formula. Sia W il compenso attuale ricevuto dai parlamentari, PRIM, una variabile che assume valore 1 se l’avanzo primario è positivo e zero altrimenti, ItPil il tasso di crescita del Pil italiano e GerPil il tasso di crescita del Pil tedesco. Sia
CompGross = PRIM*W*[1-max(GerPil – ItPil,0)]
Allora il compenso effettivo di un parlamentare in un dato anno è dato da
Compenso = max(CompGross,0)
Per capire meglio, facciamo alcuni esempi. Supponiamo che nel 2012 si raggiunga l’avanzo primario (questo è l’unico caso interessante, se non viene raggiunto il compenso è sempre zero), il Pil tedesco aumenti dell’1,5% e quello italiano cali dell’1%. In tal caso CompGross è negativo, poiché è pari a W*[1-(1,5+1)]= -1,5*W. Il compenso è quindi zero. Se invece il Pil italiano cresce dell’1% allora CompGroos = 0,5*W. I parlamentari ricevono quindi un compenso che è pari al 50% del compenso attuale. In generale il compenso si azzera se il Pil italiano cresce meno di un punto del Pil tedesco.
Vorrei ora chiarire quali sono i vantaggi di questa formula. In primo luogo è importante che il governo mantenga l’avanzo primario (ossia, le entrate devono essere superiori alle spese non per interessi). Una dipendenza esclusiva dal tasso di crescita del Pil può generare incentivi perversi, portando a politiche di aumento della spesa in deficit che generano effetti positivi di breve periodo ma creano enormi problemi di deficit nel medio e lungo periodo (tutti ricordiamo gli anni Ottanta). Allo stesso modo, una dipendenza esclusiva dall’equilibrio del bilancio pubblico può generare incentivi altrettanto perversi, portando ad aumenti draconiani delle tasse che ammazzano la crescita. È quindi opportuno che entrambe le variabili entrino in gioco.
Mantenere un avanzo primario è, nel breve periodo, una condizione necessaria per evitare un peggioramento della situazione debitoria. Dato l’attuale livello di debito, la spesa per interessi è (grosso modo, non ho controllato i numeri esatti) intorno al 5% del Pil. Quindi il raggiungimento di un avanzo primario positivo è requisito assai meno stringente del pareggio di bilancio, che il governo Monti intende raggiungere nel 2013. Di fatto è un obiettivo che già ora viene soddisfatto dal bilancio pubblico. Data la dimensione della spesa per interessi, il requisito dell’avanzo primario positivo lascerebbe comunque spazio, qualora lo si ritenesse opportuno, per un deficit di bilancio fino al 5% del Pil (non sto dicendo che va fatto, sto semplicemente dicendo che anche chi è convinto che in questo momento c’è troppa austerità può tranquillamente essere a favore di un avanzo primario).
D’altra parte è ormai abbastanza chiaro che il parlamento italiano è stato completamente incapace di affrontare il problema della crescita. C’è, da un lato, una notevole ignoranza su come stimolare la crescita. Basta sentire i ragionamenti bislacchi che si fanno a sinistra sulla ”crisi causata dalla disuguaglianza” o le idiozie protezionistiche alla Tremonti-Bossi, per non parlare dell’agghiacciante abitudine dei politici di tutti gli schieramenti di chiamare ”risorse per lo sviluppo” gli aumenti di spesa pubblica. Ma c’è anche un problema più di fondo: tipicamente, per il politico medio risulta essere più remunerativo (in termini politici) difendere le corporazioni che bloccano la crescita piuttosto che puntare allo sviluppo economico, per una varietà di ragioni che ora non possiamo analizzare. Rendere la compensazione dei parlamentari dipendente dalla crescita può quindi servire da bilanciamento, aumentando gli incentivi dei parlamentari ad approvare provvedimenti efficaci per la crescita. D’altra parte è sciocco far dipendere la remunerazione solo dalla crescita del Pil italiano, dato che esso è influenzato non solo dalle politiche domestiche ma anche dal ciclo internazionale. Appunto per depurare gli effetti del ciclo internazionale è opportuno guardare alla differenza con un paese di riferimento. La formula può essere cambiata, ad esempio prendendo la media dell’area euro anziché la Germania o altre simili combinazioni del genere. L’importante è che sia chiara e il principio di base, ossia la dipendenza della remunerazione dal tasso di crescita italiano depurato degli effetti del ciclo internazionale, resti.
Nel più lungo periodo credo sia giusto tornare a remunerare i parlamentari come in tutti gli altri paesi, ossia con un salario fisso. Ma per questa situazione emergenziale un periodo transitorio in cui i nostri parlamentari sono pagati ”a cottimo” può fornire un notevole aiuto al miglioramento delle nostre decisioni in tema di politica economica.
*articolo originariamente pubblicato con il titolo “Paghiamo i parlamentari a cottimo” su noiseFromAmeriKa a firma di Sandro Brusco. Clicca sul banner per visitare noiseFromAmeriKa
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