Soldi statali e fallimenti: la strana impresa di Pugliese

Soldi statali e fallimenti: la strana impresa di Pugliese

Se è alla ricerca di un modo per ricominciare, e farlo alla grande, così come è sempre stato il suo stile, ha imboccato di certo uno dei settori più difficili e tortuosi. Per Massimo Pugliese, campano di Frigento in provincia di Avellino, il mercato di riferimento non è l’Italia, almeno non solo, ma l’Europa, dell’Est e dell’Ovest, senza confini. E lo ha detto mettendo a segno il primo colpo imprenditoriale con cui ha aperto l’anno, l’acquisizione del gruppo Solland solar che produce celle in silicio policristallino. Con la sua Pufin l’imprenditore avellinese non si è scelto una competizione semplice.

Uno: perché il mercato sta velocemente diventando maturo. Due: perché il settore è quasi totalmente saturato dai prodotti made in Far East, competitivi sul piano economico e, contrariamente a quanto si pensa e a quanto ha valutato pubblicamente lo stesso Pugliese, sul piano della qualità. Questa non è una storia squisitamente finanziaria. O almeno, non solo. Oggi in ballo c’è anche il posto di lavoro di almeno 70 operai specializzati della Solland che passano alla Pufin e che sperano di non avere lo stesso destino che ha accomunato fino ad oggi quasi tutti i dipendenti di Pugliese. E in ballo ci sono pure milioni di euro pubblici, quelli che fino ad oggi sono stati necessari per salvare le imprese irpine che fanno capo a Pugliese e che di volta in volta e una dopo l’altra hanno conosciuto il fallimento.

Questa volta l’imprenditore ha un alleato in più, quel conto energia varato a giugno (il quarto) che prevede incentivi al fotovoltaico maggiori in caso si utilizzino pannelli italiani o europei. Ancora una volta soldi statali, quindi. L’obiettivo è proprio incrementare quella filiera che la Pufin vorrebbe capitanare. Ma attenzione, ci fanno sapere dall’associazione delle imprese del settore delle rinnovabili, fino ad oggi il comparto è stato preda di aziende che avevano come unico obiettivo il riciclaggio di denaro in quanto una produzione del genere, altamente specializzata e tecnologica, è davvero difficile che possa battere il gigante cinese. Non è comunque un’ipotesi che può spaventare l’imprenditore irpino la cui storia somiglia a quella della Fenice, che ha imparato a rinascere dalle proprie ceneri. È un capitano d’industria coraggioso o un truffaldino, a seconda di chi scriva la sua biografia.

Le carte raccontano di una condanna, in primo grado, al tribunale di Ivrea lo scorso luglio: la sua società Maxfin sarebbe stata coinvolta nel crac da 10 milioni di euro di alcune aziende informatiche. Condannato a 5 anni e due mesi e all’interdizione dalle pubbliche cariche. Lui si è difeso: «È un caso di omonimia, io non c’entro», salvo poi ammettere che «forse la mia azienda avrà avuto rapporti commerciali con quelle fallite e la mia iscrizione al registro degli indagati era un atto dovuto». Atto dovuto che, però, al termine del processo di primo grado, si è concluso con una condanna. E non è la prima vicenda giudiziaria che lo riguarda.

Per conoscere la sua personalità bisogna farsi un giro nel forum dei tifosi dell’Avellino calcio. Omettendo tutte le parolacce e gli improperi riportati, si impara che Pugliese fu presidente della società e che sotto la sua gestione la squadra ha conosciuto 3 retrocessioni in quattro anni fino ad arrivare – anche qui – al fallimento. Senza però dimenticare la condanna di inibizione per tre mesi inflitta dalla commissione disciplinare nazionale della Figc per dichiarazioni lesive e anche il deferimento per i mancati emolumenti dovuti. Lui ha cercato di recuperare il rapporto con i tifosi, senza riuscirci. Si racconta che l’ultima partita del campionato anno 2009, era il 30 maggio, in casa con l’Empoli, l’Avellino perse davanti a un pubblico di 121 paganti. E ci fu anche qualcuno che espose provocatoriamente uno striscione per salutare l’ex presidente che era appena deceduto. In conferenza stampa Pugliese tuonò che ci sarebbe stata vendetta, ma l’Us Avellino è fallita e ancora oggi c’è una battaglia per il logo e il nome della ex squadra.

Massimo Pugliese

Frigento è un piccolo centro dell’Irpinia a quasi mille metri d’altezza, una terrazza che domina la Valle dell’Ufita. È qui che i sei fratelli Pugliese sono cresciuti e hanno fatto i primi passi nell’imprenditoria, esercitandosi nell’azienda del padre, oggi attivo nella produzione di ferro e legno per l’edilizia. Ma due di loro avevano una marcia in più. A Massimo i confini campani sono sempre stati stretti. Con il fratello Marco, che poi avrà una carriera politica e oggi è deputato Pdl, tra l’altro componente della commissione finanze della Camera, avevano cominciato con la Ixfin, elettronica, per produrre elettrodomestici intelligenti, fino a incrementarla e poter contare su sedici stabilimenti (sette in Italia e nove all’estero, di cui uno anche in Cina) e 5.300 dipendenti, 1.550 dei quali a Marcianise (Caserta), con un fatturato di 650 milioni di euro. È una storia gloriosa, seppur di pochi anni: nel 2006 la Ixfin chiude per fallimento, non prima di aver ingoiato centinaia di migliaia di euro di finanziamenti statali oltre a casse integrazioni e stati di crisi.

Vicenda che ha comportato una informativa europea, della commissione Antitrust, ufficio protocollo degli aiuti di Stato, secondo cui quei fondi pubblici divorati dalla Ixfin hanno alterato la concorrenza dato che la società faceva affari in tutta Europa. Lettera che è rimasta agli atti ma che non ha prodotto alcuna conseguenza sulla vita della società. Società che è stata coinvolta pure in un’inchiesta di riciclaggio di denaro. «Chiarirò tutto», si difese il leone irpino, e anche in questo caso aveva ipotizzato l’esistenza di meri rapporti commerciali con le imprese indagate per fondi neri e soldi ripuliti. Lui non accoglie queste notizie senza colpo ferire. Si dimena, si difende, e ricorre ai tribunali. Come quando, pochi mesi fa, ha presentato denuncia niente di meno che contro i vertici della Fiat, Marchionne incluso. Chiedendo danni per 35,5 milioni di euro.

I fatti si riferiscono all’operazione di acquisizione da parte di Pufin, all’inizio del 2006, della Cf Gomma, società fornitrice della quasi totalità di componenti in gomma del gruppo Fiat, che all’epoca dei fatti attraversava una grave crisi finanziaria e industriale. Pugliese sostiene di essere stato costretto dal management Fiat Auto a rinunciare all’operazione di salvataggio dell’azienda. Inoltre la società torinese «starebbe attuando – ha scritto in una nota la Pufin – un controllo di fatto (non dichiarato) sulla Cf Gomma, pur senza effettuare alcuna comunicazione impostagli dalla legge alla Consob e all’Antitrust».

In ogni caso la tesi della Pufin ha trovato riscontro nei capi di imputazione avanzati dalla Procura di Sant’Angelo dei Lombardi a conclusione delle indagini, nei confronti di tre esponenti di vertice del gruppo Fiat Auto: Diego Pistone, Giorgio Fossati e Gianni Coda e si è in attesa di conoscere la decisione della Procura di Sant’Angelo dei Lombardi nei confronti dell’ad di Fiat Auto, Sergio Marchionne. Il logo simbolo della Pufin e delle sue controllate El. Ital ed EliFrance è il pi greco. La speranza – quella degli operai, soprattutto – è che la costante matematica della storia dell’imprenditore irpino sia smentita in questa fase dedita all’energia rinnovabile e che lo schema acquisizioni-fondi pubblici-licenziamenti-fallimenti-nuove acquisizioni si spezzi.

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