A Napoli, tra quelli che il lavoro lo inventano tutti i giorni

A Napoli, tra quelli che il lavoro lo inventano tutti i giorni

Maurizio un’occupazione ce l’aveva: stabile e ben pagata. A Francoforte lavorava nel reparto merci di un supermercato. Poi è incappato negli effetti collaterali della caduta del muro di Berlino. I tedeschi dell’ovest aprirono le porte ai cugini in difficoltà dell’Est, gli Ossis, e per Maurizio non ci fu più spazio. Così è tornato a Napoli. Oggi fa il guardiano in un’autorimessa. E dorme nel ripostiglio.

Pasquale sopporta il grigiore del giorno perché aspetta le luci soffuse dei locali notturni. Quarantatré anni, diploma di ragioniere, sposato, due figlie, è iscritto al collocamento dal 1986. Si arrangia svolgendo servizi di pulizia nei palazzi o a domicilio. Di sera subisce il tanto atteso sdoppiamento della personalità esibendosi col suo gruppo musicale. Piano bar? «Nemmeno per sogno – ammonisce – noi facciamo il genere Taverna. Ha presente il sound di Arbore? Ecco, quello».

La storia di Assunta non ha ispirato fiction televisive semplicemente perché nessun regista la conosce. Assunta è nata ribelle e la vita l’ha punita. Sul volto porta i segni della sofferenza. A tredici anni scappò di casa e i genitori la denunciarono. A diciassette anni si innamorò perdutamente di un uomo di trenta che faceva il parcheggiatore abusivo alla stazione centrale. Arrivarono cinque figli. Dopo undici anni, il marito morì d’infarto. Da allora Assunta, cinquant’anni, vive con i suoceri. Riceve aiuto anche dalla parrocchia, dagli amici e dai servizi sociali.

Sono tre storie disperate ed esaltanti. Ne abbiamo raccolte cento per la nostra inchiesta sulla disoccupazione reale a Napoli. Un piccolo campione, ma altamente rappresentativo. Ci siamo rivolti al Centro disoccupati storici dell’area flegrea (nel quartiere di Fuorigrotta) coordinato da Pasquale Isernia. Abbiamo intervistato i nostri interlocutori nel corso di quattro appuntamenti. Cento facce, cento espressioni, cento percorsi di vita sommersi, con un passato tortuoso e senza un futuro plausibile. Vale per i più anziani (molti quarantenni nel gruppo) e, purtroppo, per i giovani. Parola d’ordine? “Lavoro in nero”.

Cento intervistati, dunque: 50 maschi, 50 femmine. Per la maggior parte hanno la licenza media (45), 4 quelli con la laurea, poi 39 diplomati, 2 con qualifica triennale e 10 con licenza media. Sono 83 quelli che non hanno mai sottoscritto un contratto, 13 quelli che almeno una volta sono riusciti a farsi assumere, 4 gli emigranti di ritorno. La maggioranza trova occupazione come badante o addetto ai servizi di pulizia. Sempre “regolarmente” in nero.

Abbiamo sintetizzato le loro storie e li abbiamo fotografati tutti. Vorremmo fare una pubblicazione per organizzare un simbolico sciopero silenzioso, nel quale, una volta tanto, cinquanta uomini e cinquanta donne ci mettono la faccia senza urlare o inveire. Gente che ha deciso di non arrendersi e di non piangersi addosso. È in gioco la propria dignità. Gente che rifugge dall’immagine stucchevole e stereotipata del napoletano scansafatiche.

Il lavoro non c’è e non arriva mai. Quando (raramente) c’è sfuma in maniera beffarda. E accaduto a Giovanni. Trentatré anni, sposato, due bimbi in tenera età, licenza media, ha lavorato da quando era bambino. Ha fatto il gommista, l’idraulico, il pizzaiolo. Assunto finalmente nel 2003 da una società di vigilanza, ha perso di nuovo il lavoro dopo il fallimento dell’azienda. Oggi sbarca il lunario in un autolavaggio, ma per non di più di quindici giorni al mese. Deve far posto a un altro disgraziato come lui.

Federico e Gennaro invece sono due giovani che non hanno intenzione di invecchiare girandosi i pollici. Il primo ha appena ventuno anni, è perito aeronautico, studia ingegneria aerospaziale. Ha già fatto alcuni colloqui di lavoro, uno dei quali anche a Liverpool in una multinazionale di settore. Parla un ottimo inglese. Studia e aspetta.

Il secondo ne ha ventitré ed è perito agrario. Durante il periodo estivo ha lavorato in una fabbrica di guanti, in nero e senza tutela, dalle 9 alle 19 per 60 euro alla settimana. Gli hanno poi proposto di fare il magazziniere, ma lui ha preferito l’offerta di una compagnia telefonica per un lavoro porta a porta.

Anna ha 46 anni, tre figli ed è già nonna. Arrotonda vendendo bigiotteria e intimo femminile. Non potrebbe stare in giro a causa di un’aritmia cardiaca, ma deve aiutare la famiglia. Il marito e i figli, parcheggiatori abusivi, sono alle strette da quando l’amministrazione De Magistris ha dichiarato guerra alla “categoria”.  

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