Agli inizi del Novecento, nella New York dei grandi banchieri, era Firenze l’icona del massimo splendore da emulare: quando si costruì il Palazzo della Federal Reserve l’architetto si ispirò a Palazzo Vecchio, a Palazzo Pitti e soprattutto a Palazzo Strozzi, a cui l’ingresso della prestigiosa costruzione newyorkese sembra simile. La “banca delle banche” di New York, con i suoi enormi caveau doveva simboleggiare la nuova Firenze. C’era dunque nelle élite finanziarie anglosassoni una profonda ammirazione per il mondo fiorentino. Ma fu grazie agli studi dello storico Raymond De Roover che le vicende del Banco dei Medici non rimasero nella ristretta cerchia degli accademici o dei banchieri, e conquistarono la ribalta nel panorama internazionale e un vasto pubblico. Il De Roover analizzò per anni il fondo Medici Tornaquinci, conservato nella Baker Library dell’Università di Harvard, poi si tuffò negli archivi fiorentini, in particolare nel fondo “Mediceo avanti il Principato” dell’Archivio di Stato, e nel 1948 pubblicò a New York: “The Medici Bank: its Organization, Management Operations and Decline”. Fu un successo che aprì le porte a nuovi studi, a convegni, ricerche, dibattiti. Nel 1963 il testo fu ripubblicato presso l’Harvard University Press con delle importanti aggiunte ed integrazioni: “The Rise and Decline of the Medici Bank, 1397-1494”. Poi tradotto in numerosissime edizioni in tutto il mondo.
La fortuna delle ricerche sui Medici si intrecciarono con gli studi sulla genesi del capitalismo, in cui germogliavano nuove indagini che portarono al superamento delle tesi weberiane sull’etica protestante. Nel mondo anglosassone si acquisiva consapevolezza che – come viene affermato all’inizio dell’opera del De Roover – “il capitalismo moderno, basato sulla proprietà privata, ha le sue radici nell’Italia del Medio Evo e del Rinascimento. Dalle Crociate alle grandi scoperte l’Italia fu la potenza economica dominante nel mondo occidentale, e i suoi mercanti furono i primi uomini d’affari che mediante le relazioni commerciali collegarono il Levante alle spiagge del mare del Nord”.
Negli stessi anni della seconda pubblicazione del De Roveer sul Banco Mediceo, in Europa fiorivano altri studi sui Medici e sul Rinascimento e il loro mito si nutriva e cresceva con le splendide pubblicazione di Andrè Chastel, in particolare “Art et Humanisme à Florence autemps de Laurent le Magnifique” del 1962 e di “Le Grand Atelier d’Italie”, 1460-1500, del 1965. Il Banco de Medici era stata “la fonte” per l’ascesa sociale e politica della famiglia e non si poteva non collegarlo con la grandezza e lo splendore del Rinascimento fiorentino.
Come nacque l’enorme ricchezza dei Medici? A Firenze con la caduta nella metà del Trecento dei banchi dei Bardi, dei Peruzzi, degli Acciuoli, furono gli Alberti a primeggiare, la loro compagnia era presente a Londra e sulle principali piazze europee, aveva un rapporto consolidato con le Fiandre e, soprattutto, con il Papato. Ma dopo il tumulto dei Ciompi nel 1382 la famiglia Alberti fu bandita da Firenze. E il vuoto che si venne a creare fu sfruttato dai Rucellai, dai Pazzi, dagli Strozzi e dai Medici.
Il Banco Medici nasce da una sorta di spin off, una derivazione del banco trecentesco di Vieri di Cambio de’ Medici, dalla cui chiusura nacquero tre distinte case bancarie: fu Giovanni di Bicci de’ Medici – il quale era stato socio minore e poi direttore della filiale romana del banco di Vieri di Cambio – a rilevare nel 1393, insieme a Benedetto di Lippaccio de’Bardi, il ramo bancario romano. Il primo ottobre del 1397 Giovanni di Bicci fondò una sua autonoma azienda bancaria trasferendo la sede da Roma a Firenze, piazza che era diventata molto attrattiva ed interessante grazie al vuoto lasciato dalla caduta dei grandi banchi fiorentini. Il successo del Banco dei Medici fu rapido: aprì filiali a Venezia, Roma, Napoli, Milano, Bruges, Londra, Barcellona, Parigi ecc. Il Banco non ebbe presidi ad Oriente né più filiali delle trecentesche compagnie dei Peruzzi o dei Bardi, tuttavia i Medici seppero creare un brand, un alone di esclusività. Il Banco privilegiò da subito i rapporti con i Sovrani e la grande nobiltà europea: aveva come clienti principi, consiglieri dei principi, ministri, cardinali, vescovi, condottieri e grandi mercanti.
Venne aperta una filiale anche Ginevra e in seguito una a Basilea. Sulle principali piazze svizzere vi era già numerosi banchi di cambio italiani, in particolare fiorentini, piacentini, genovesi, lombard: a Ginevra sono rimaste nella toponomastica Place des Florentins e Rue de Italie. Fu il Banco dei Medici a portare nel territorio elvetico il modello del private banking e il suo modus operandi, la gestione delle ricchezze (gestion privée) affiancata all’elevato prestigio di un brand (e fu un dono di cui gli svizzeri dovrebbero ricordarsi). Altro aspetto che distingueva i fiorentini e in particolare i rappresentanti dei Medici nelle piazze europee era quello di investire, come “forma di pubblicità” nell’arte e nel patrimonio architettonico: a Ginevra oltre a portare la moda e lo stile di Firenze essi abbellivano gli edifici religiosi con opere d’arte, con drappi pregiati, ad esempio la Chapelle de Notre Dame du Pont du Rhone (oggi purtroppo distrutta) fu rinnovata grazie al loro sostegno e divenne nota come Chapelle des Florentins.
Gli studi del De Roover (e di sua moglie Florence Edler, anch’essa studiosa) misero in evidenza la natura multiforme e polifunzionale del Banco di Medici, diverso nella struttura dal modello accentrato dei banchi dei Bardi o dei Peruzzi: era più simile ad una sorta di holding, nella quale accanto al principale ramo bancario vi erano anche attività e partecipazioni industriali nella manifattura e nel commercio della lana, della seta e nel monopolio del commercio di allume (fondamentale per la lavorazione della lana). Ogni filiale del ramo bancario aveva un elevato grado di autonomia dalla sede centrale, ogni direttore della filiale veniva remunerato con azioni della stessa filiale e diventava pertanto partner.
Furono soprattutto Giovanni di Bicci e poi suo figlio Cosimo di Giovanni ad accumulare enormi ricchezze. E a costruire il rapporto privilegiato con le finanze vaticane di cui diventarono tesorieri. Con Cosimo al timone, dal terzo al sesto decennio del Quattrocento, la Banca raggiunse il suo apogeo. Il rapporto con il Papato portò enorme prestigio e divenne il biglietto da visita, in tutta Europa per la clientela più facoltosa. Anche le sedi del gruppo dovevano essere la dimostrazione della magnificenza medicea: si pensi al palazzo del Banco Mediceo a Milano, la cui realizzazione fu affidata a Michelozzo ed affrescato con pregevoli da Vincenzo Foppa e Zanetto Bugatto: divenne dal 1459, anno della sua ultimazione, un esempio straordinario del rinascimento lombardo.
Per la successione a Cosimo nella famiglia era stato individuato il figlio Giovanni che ebbe una speciale formazione economica, fu educato da banchiere e da mercatores (sin da giovanissimo fu iscritto all’Arte del Cambio e all’Arte della Lana), ma morì nel 1463. E quindi alla morte di Cosimo succedette suo figlio Piero, di saluto cagionevole e che aveva avuto una formazione umanistica. La gestione della Banca fu sempre più delegata al Direttore Generale dell’Istituto. Dopo pochi anni nel 1469 alla guida del Banco arrivò a soli anni Lorenzo il Magnifico.
Anche il declino del Banco de Medici fu legato all’Inghilterra: dopo il fallimento della sede di Lione infatti seguì quello di Londra. Ma al di là dell’abitudine degli inglesi a non pagare i debiti – e bisognerebbe prima o poi richiedere al primo ministro inglese David Cameron di saldare i debiti (nella prima metà del Novecento una grande matematico italiano provò a fare il conteggio attualizzando gli interessi…) – erano le fondamenta del modello a essere deboli.
C’era un problema strutturale nel modello bancario fiorentino del Quattrocento e questo problema era invece enfatizzato come fonte di elevati guadagni: la leva. (È strano come la storia si ripeta…). Le Banche avevano pochissimo capitale di riserva. Tra attivo e passivo nelle banche vi era un forte sbilanciamento. La liquidità non era considerata una riserva strategica. I presidi dei rischi erano subordinati al raggiungimento di elevati risultati di breve. Le filiali avevano prestiti incrociati tra di loro e gli impieghi, anche se effettuati da filiali differenti e a clienti diversi non avevano una adeguato livello di de-correlazione. Nel sistema bancario fiorentino del Trecento vi era stato un elevato livello di interconnessione dei rischi, nel Quattrocento questo livello fu minore ma non vi erano i contrappesi per evitare una caduta. Guardando la recente crisi del 2008 non si può non pensare a come gli stessi problemi si ripresentino oggi con nomi diversi: si parla della necessità per le banche di avere un elevato Core Tier 1, di porre in atto misure per evitare il rischio sistemico ecc.
L’altro punto debole dell’ “alta finanza” fiorentina era la mancanza di una Banca centrale che potesse salvare un istituto in difficoltà o fornirgli la liquidità temporanea: neanche nella Firenze adagiata su enormi ricchezze si erano previsti dei paracadute né dei coordinamenti, e la stessa potente corporazione dell’Arte del Cambio non aveva potere in tal senso. Rimase inoltre il problema del prestito ai Sovrani: i banchieri italiani non avevano un reale potere coercitivo (non possedevano eserciti né avevano alle spalle uno Stato che potesse pretendere il rispetto dei patti). Guerra e sconfitte dei sovrani mettevano continuamente a rischio i capitali prestati. Questo si rivelò fatale nel Trecento e continuò nel Quattrocento.
Nel Banco dei Medici vi poi fu un altro elemento di debolezza, di natura interna e che potremmo definire di “passaggio generazionale”: forse è troppo duro il giudizio del Machiavelli su un Lorenzo Magnifico troppo dedito alle arti e alla corte e poco agli affari, ma è tuttavia innegabile come avesse delegato la gestione della holding e quindi del Banco al suo direttore generale. Eccessiva delega e mancato controllo sui potenti direttore delle filiali del Banco furono tra le principali cause della sua rovina. Alla morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492, suo figlio Piero ereditò la guida del Banco, che diresse insieme al prozio Giovanni Tornabuoni: fu una gestione fallimentare e nel 1494 vi fu la liquidazione della Banca.
Nella seconda metà del Cinquecento divenne, comunque, evidente il cambio di strategia all’interno della famiglia: i Medici da banchieri diventarono politici. Conquistarono prima il potere a Firenze e consolidarono e sfruttarono i rapporti con il Papato. Infatti crollò la Banca, vennero chiuse le filiali ma il potere della famiglia rimase in piedi. I Medici diventarono prima i Signori di Firenze e successivamente diventarono Pontefici, si pensi a Giovanni, secondogenito di Lorenzo il Magnifico, che divenne Papa con il nome di Leone X: da grande umanista rimase nella storia come il pontefice dell’arti e del Rinascimento romano (ma sotto il suo papato scoppiò il problema delle indulgenze e il gravissimo e insanabile scontro con Lutero).
Poiché l’attività di banchieri non era ritenuta degna di un sovrano, al posto dei grandi commerci internazionali i Medici preferirono il potere della corte romana. Alla mercatura il nepotismo. Giulio di Giuliano dei Medici divenne Pontefice col nome di Clemente VII. La famiglia nel Cinquecento si concentrò sulla gestione del potere politico e si orientò su una strategia di matrimoni di successo: prima le dinastie italiane poi le grandi case regnati d’Europa. Al ramo dei Medici appartennero due grandi regine di Francia: Caterina de Medici moglie di Enrico II e Maria de Medici moglie di Enrico IV di Francia e madre di luigi XIII.
I Medici ad un certo punto da mercatores e grandi banchieri, consolidarono il potere e si trasformarono in rentiers: ed anche questo è emblematico della storia italiana. Come sottolineano gli studi di Carlo Maria Cipolla sul lungo Seicento italiano ripresi spesso da Mario Draghi, questo passaggio, questa metamorfosi in rentiers, diffusa in buona parte della classe imprenditoriale italiana, fu “alimento” e una delle causa della decadenza del nostro Paese dopo il Rinascimento.
*Dottorato di ricerca in “Mercati e Intermediari Finanziari”, Università degli Studi di Parma