Cari banchieri, sono le banche che non hanno fiducia nelle imprese

Cari banchieri, sono le banche che non hanno fiducia nelle imprese

Gentile professore,

ho letto ieri mattina sul Sole24Ore quanto da lei dichiarato ieri, a margine di un convegno, sulla situazione del rapporto tra sistema bancario e sistema imprese e mi riferisco in particolare a una frase che la stampa ha voluto sottolineare: «È il cavallo che non beve –[il prof.Bazoli] ha aggiunto , ripescando una nota metafora – le domande non giungono da parte degli industriali, che sono sfiduciati»

Anche dopo avere lasciato la banca di cui lei è presidente, non ho mai smesso di incontrare molti, moltissimi piccoli imprenditori e di frequentare filiali e direzioni delle banche italiane, piccole, medie e grandi. Ed è proprio questa attività incessante di collegamento tra banche e imprese che mi consente di ritornare su quanto da Lei affermato per aggiungere una prospettiva neutrale e basata su esperienze dirette.

Lei ha ragione: gli imprenditori sono affaticati. Fare impresa in Italia è stato sempre molto faticoso perché i governi che si sono succeduti e il sistema paese non hanno saputo mettere a disposizione delle imprese una piattaforma lungimirante per la competitività e l’aumento della produttività. Fisco, legislazione del lavoro, lentezza della giustizia ordinaria, politica energetica e da ultimo il mancato pagamento puntuale dei debiti della Pa e il ritardo nell’agenda digitale hanno impedito a moltissime imprese di scaricare a terra la loro effettiva potenza intellettuale, produttiva, commerciale e di servizio. Mentre il tasso di competitività globale saliva, il nostro sistema arrancava con armi spuntate (cito ad esempio le incertezze anche recenti sulla messa a disposizione di una vera agenzia per l’export). In questo macro ambiente ostile agli imprenditori circa 6 milioni di operatori economici, di cui 1 milione di imprese, purtroppo in gran parte di dimensione microscopica, hanno le loro radici e si avvalgono del sistema bancario e del credito per continuare a fare bene impresa.

Nonostante tutte le difficoltà oggettive gli imprenditori che incontro non sono quasi mai sfiduciati, anzi a volte mostrano un eccesso di fiducia e di attivismo anche quando a causa dei propri errori e delle avversità hanno condotto la propria impresa oltre il limite dell’insolvenza e solo un miracolo potrebbe salvarla dall’estinzione. Gli imprenditori, ho imparato in questo tempo trascorso con loro, non mollano quasi mai.

Ciò che è cambiato in questi ultimi sei mesi è invece il rapporto con il sistema bancario che ha sfiduciato gli imprenditori in misura massiccia. Molte le cause esterne alla banca, legate alla crisi finanziaria e alla mutata percezione da parte delle banche del valore del capitale e, per converso, del consumo che ne fanno i prestiti alle imprese, ma non ci sono dubbi, come lei stesso ha ammesso in parte, che avere credito sia molto più difficile oggi. E qualche problema interno alle banche ci deve pure essere. Continuare a negarlo non fa che ritardare la scelta degli interventi correttivi.

Sarebbe molto facile per me mostrarle esempi reali e recenti di progetti d’investimento scartati, che non sono stati nemmeno esaminati perché il rating del bilancio 2010 (!) della società proponente non rispondeva ai ‘nuovi’ criteri di selezione. Progetti destinati a creare valore aggiunto, occupazione, ricavi per la banca. Potrei portarle l’evidenza di richieste di finanziamento presentate e ancora in esame oppure declinate dopo due o persino tre mesi di misteriosa istruttoria (nonostante quanto viene ancora mostrato nelle statistiche di PattiChiari). Sarebbe ugualmente facile presentarle i casi in cui alla richiesta di finanziamento sono state da subito contrapposte richieste di garanzie personali o di depositi e pegni in proporzione pari anche al 50% della richiesta e altri nei quali un progetto orgoglioso di ristrutturazione per la continuità è stato frustrato dai lunghi tempi di risposta o dagli ingranaggi meccanici, spesso irreversibili, dei processi di recupero legale del credito. Potrei anche dare prova che la disponibilità del Fondo di Garanzia messo a disposizione dal Ministero dello Sviluppo Economico non è sempre sufficiente ad ottenere un finanziamento, a riprova di un disallineamento tra due sistemi che dovrebbero lavorare bene in sincrono.

I tempi di risposta del sistema bancario sono oggi un’anomalia incomprensibile in materia di rapporti commerciali. Nessuna impresa può permettersi di attendere due mesi o più nel rispondere a una richiesta di un cliente o a un ordine. E ancora, l’utilizzo della classificazione di rating come unica griglia d’ingresso per la selezione delle proposte rischia di frustrare molti buoni progetti la cui futura realizzazione è fonte miglioramento del profilo economico e finanziario dell’impresa e quindi anche del rating.

La mia personale convinzione è che la crisi delle imprese (che negli ultimi due anni ha portato con sé l’innegabile esplosione di incagli e sofferenze, di procedure fallimentari anche troppo penalizzanti per il sistema bancario) abbia causato all’interno degli istituti di credito un’ispessimento notevole di quel legittimo strato di diffidenza verso i piani degli imprenditori, che si esplica correttamente nella fase di valutazione del rischio. Tutto questo si è tradotto in un vasto indifferenziato irrigidimento dei criteri di concessione del credito, che spiega lo sconcerto manifestato da singoli imprenditori e dalle associazioni e riconosciuto ufficialmente oggi anche da Banca d’Italia nell’indagine sul credito bancario (“L’irrigidimento si è tradotto in un aumento dei margini di interesse, ma anche, per le imprese, in una revisione delle linee di credito”) e più chiari di così non potevano essere.

È la banca che non ha più fiducia nelle capacità degli imprenditori, di una vasta parte degli imprenditori. È la banca che ha scelto di agire solo in situazioni di massima sicurezza, allontanandosi da qualsiasi profilo di rischio, rinunciando ad analizzarlo e valutarlo in profondità. Mi consenta questa mia considerazione necessariamente generalizzata che non fa giustizia ai buoni casi di valutazione e concessione che ancora si riscontrano, ma in misura assai minore rispetto al passato.

Non mi sfugge affatto che la crisi di così tante imprese trova la sua origine nei limiti manageriali di una certa classe imprenditoriale, né che le banche hanno subito danni pesanti in questi anni sul loro conto economico. Ma lo sforzo di ristrutturazione morale, politica e finanziaria che il nostro paese sembra avere finalmente intrapreso richiede un uguale sforzo da parte di chi, come le banche, ha il potere di determinare o negare la continuità d’impresa prendendo decine di migliaia di micro-decisioni nei mesi a venire.

Per questo motivo, signor presidente, suggerisco di rifuggire i luoghi comuni, di trascurare le statistiche che raccontano una storia piatta, a una dimensione (e quindi distorta) e fare tutto quanto le sarà possibile perché nel personale della sua banca – e in tutte le altre banche – ritorni la fiducia nelle capacità, nei progetti e nello sforzo di ristrutturazione dei clienti imprenditori. Insieme alla fiducia ritornerà l’impegno nell’aiutarli, nel correggere alcune loro scelte finanziarie, nel costruire un sistema imprenditoriale più solido, meno indebitato e più orientato alla crescita dei margini e dell’autofinanziamento, quel sistema di cui anche le banche potranno beneficiare negli anni a venire.

Con profonda stima

Fabio Bolognini

Amministratore Delegato – Linker SpA

Post apparso originariamente sul blog di Fabio Bolognini Imprese+finanza 

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