Giovani agricoltori: “L’Italia per crescere ha bisogno di noi”

Giovani agricoltori: “L’Italia per crescere ha bisogno di noi”

In Italia, quasi il 50% delle imprese agricole è guidato da persone con più di 65 anni, mentre i giovani sono solo il 3%. Le difficoltà per chi vuole avvicinarsi alla professione sono molte: dall’accesso al credito alla burocrazia, dai costi di avviamento all’assenza di una politica agricola nazionale. «Eppure non mancano le iniziative, soprattutto a livello regionale», spiega Nicola Motolese, presidente dell’Associazione Nazionale Giovani Agricoltori (Confagricoltura), l’organizzazione sindacale dei giovani imprenditori agricoli. A lui abbiamo chiesto di scattare una fotografia della situazione dell’agricoltura giovanile in Italia.

Facciamo un bilancio. Siamo entrati ormai nel quinto anno dall’inizio della crisi economica: l’agricoltura giovanile italiana in che stato si trova, oggi?
L’agricoltura fa le spese oltre che della grave congiuntura economica, della mancanza cronica, negli ultimi decenni, di investimenti nel settore. Ciò ha determinato un vero e proprio paradosso, da un lato la campagna svolge un ruolo anticiclico a sostegno dell’economia nella crisi ed è fondamentale per sfamare la popolazione mondiale in rapidissima crescita, dall’altro tra i settori imprenditoriali è ancora una sorta di “brutto anatroccolo”. E tutto questo si ripercuote, in particolare, sulle imprese condotte dai giovani che, oggi, rappresentano meno del 3% del totale, mentre il 44% è condotto da agricoltori over 65. Se poi confrontiamo i dati a livello europeo, i giovani agricoltori in Francia rappresentano il 6,4% e in Germania quasi l’8%. In Italia, indubbiamente, c’è un’agricoltura vecchia. Gli ostacoli sono: difficoltà di accesso al credito, barriere fiscali e burocratiche, dimensione aziendale troppo piccola, alti costi di avviamento, il calo di risorse della Pac, ma soprattutto l’assenza di una vera politica agricola nazionale. Il 6° censimento generale dell’agricoltura ha confermato una crescita, anche se lieve, del numero di giovani imprenditori agricoli, raddoppia la percentuale di quelli laureati e aumenta anche la dimensione delle imprese. Sono questi segnali inequivocabili di un’agricoltura determinata a svilupparsi, che vanno colti.

La Manovra Salva-Italia approvata dal governo Monti ha inciso pesantemente sul settore. Lei ha detto che “le disposizioni della nuova legge mettono in ginocchio, costringendole alla definitiva chiusura, migliaia di imprese agricole e impediscono la nascita di nuove”. Ci spiega quali sono i punti più controversi della manovra e perché li ritenete tali?
Per la ripresa dell’Italia è indispensabile il dinamismo economico delle imprese. La manovra, invece, con l’Imu (imposta municipale unificata) per le aziende agricole attua una duplicazione d’imposta sui fabbricati rurali, il cui reddito era già ricompreso in quello dei terreni e che per gli agricoltori equivalgono a mezzi di produzione. Quello che non ci piace della manovra è che punta esclusivamente a fare cassa, senza dare prospettive di sviluppo. Un provvedimento era necessario per garantire al Paese una tenuta, ma sono fondamentali le misure rivolte alla crescita. E non ci piace un provvedimento che, nel salvaguardare la finanza pubblica, sposta eccessivamente sul settore privato i costi del risanamento. È l’impresa sana, infatti, quella che produce e crea economia per tutti.

Un recente decreto ha sancito l’avvio dell’operazione di dismissione dei terreni demaniali da effettuare con la prelazione per i giovani imprenditori agricoli nelle procedure di alienazione. Che conseguenze può avere questa decisione sulla situazione attuale dell’agricoltura giovanile?
Quella sui terreni demaniali è un’antica battaglia dell’associazione dei giovani di Confagricoltura. Battaglia che ora sembra essere stata vinta. Infatti, come abbiamo denunciato più volte, l’ostacolo principale all’ingresso dei giovani in agricoltura è sempre stato nella difficoltà d’accesso al “bene terra”. Ora, con il decreto liberalizzazioni, il cosiddetto Cresci Italia, riteniamo sia possibile effettuare realmente la dismissione dei terreni demaniali. Questo strumento, che è stato senz’altro migliorato, sarà così finalmente applicabile. Ovviamente, in tutte le fasi, è necessario che sia garantita la massima informazione e la massima trasparenza.

Con che scenario deve confrontarsi, oggi, il giovane agricoltore che si avvicina alla professione?
Il giovane che si avvicina alla nostra professione oggi, lo fa in un momento di particolare incertezza. Il ritorno alla terra deve essere una scelta, non un ripiego. Altrimenti le difficoltà con cui ci interfacciamo – la mancanza di politiche di lungo periodo, un eccessivo carico burocratico, una forte volatilità dei prezzi, problemi di accesso al credito, carenza di informazioni, scarsa professionalità (di consulenza e lavorativa) e infine la difficoltà di accesso al bene terra, indispensabile per questa attività – diventano ostacoli insormontabili. Oltre alla consapevolezza sono necessarie la formazione, l’informazione e fare parte di un’Organizzazione come la nostra che, nella sua mission ha proprio lo sviluppo dell’impresa.

A livello locale stanno nascendo diverse iniziative a sostegno dei giovani agricoltori. Ce ne segnala qualcuna? Come ritiene che le amministrazioni locali e le associazioni di categoria debbano comportarsi in questo momento?
L’Oiga, l’osservatorio per l’imprenditorialità giovanile in agricoltura, presso il Ministero di cui la nostra associazione è parte tra i suoi compiti ha l’attuazione di campagne di informazione e la promozione di attività formative. Sono in partenza i seminari divulgativi regionali gratuiti per far conoscere i piani e le opportunità a loro sostegno. Anche l’Ismea promuove il ricambio generazionale attraverso specifici strumenti finanziari che consentono l’insediamento dei giovani nella conduzione d’imprese agricole. Infine i Psr (programma di sviluppo rurale), prevedono misure per i giovani. È logico che il giovane che voglia fare impresa debba contare prima di tutto sulle proprie forze, ma compito fondamentale lo hanno anche le organizzazioni. Così, ad esempio, L’Anga–Giovani di Confagricoltura ha creato un network insieme agli “under 40” di Confcommercio, Confapi, Confartigianato e CNA, il coordinamento nazionale dei giovani imprenditori, proprio per portare avanti e sostenere la naturale intraprendenza dei giovani di talento che vogliono creare valore all’interno della nostra società.

I giovani credono ancora nelle possibilità economiche dell’agricoltura, o si avvertono sfiducia e disinteresse?
In questo momento di generalizzata crisi economica e di valori, sono sotto gli occhi di tutti anche le difficoltà dello Stato, delle banche, della finanza, dei sistemi territoriali. Questo non è certamente un segnale incoraggiante per i giovani che, tuttavia, continuano ad essere attratti dall’agricoltura. Paradossalmente, è il momento giusto per individuare nuove strade e soluzioni per riprendere la via dello sviluppo, lavorando in network tra imprese, territori e associazioni, anche trasversalmente. Certamente quando le misure dure di una manovra, pur necessaria, rischiano di spiazzare le imprese e incidono sui costi in misura tale da annullarne la redditività… La sfiducia, ma non il disinteresse ci tengo a sottolinearlo, potrebbero intervenire. Vorrei terminare citando Einstein: «È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso, senza essere “superato”». E l’agricoltura sarà la professione del futuro perché, tra l’altro, è chiamata a nutrire una popolazione mondiale in crescita.
 

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