Guerriglia al Cairo: più forti i militari, più lontana la vera democrazia

Guerriglia al Cairo: più forti i militari, più lontana la vera democrazia

Il Cairo – Dopo la seconda notte di scontri nel centro del Cairo, la tensione rimane alta nella capitale egiziana. Sono 3, forse 7 i morti e oltre 400 i feriti, ma il bilancio degli scontri che si susseguono nelle strade adiacenti al Ministero degli Interni è in rapida e drammatica evoluzione. La polizia sta facendo largo, larghissimo uso dei lacrimogeni, ma si sentono distintamente anche gli spari in aria per tentare di tenere a distanza chi protesta con sempre maggiore rabbia. Il governo ha smentito di aver dato ordine alla polizia di sparare, ma in effetti alcune persone ricoverate negli ospedali della città hanno riportato ferite da arma da fuoco. La riforma della polizia varata nelle scorse settimane rimane più un’aspirazione che un fatto compiuto e sono molti gli elementi del passato regime ad aver mantenuto il loro posto.

La scintilla che ha fatto esplodere questa nuova ondata di violenze è stato il massacro di Port Said di giovedì scorso, quando al termine della partita di calcio tra la squadra del Port Siad al-Masry e gli ospiti del al-Ahly del Cairo le due tifoserie si sono violentemente scontrate. Il bilancio è stato gravissimo con 74 morti che indicativamente facevano tutti parte dei supporters di al-Ahly che aveva per giunta perso la partita.

Difficile pensare che una simile dinamica dei fatti possa essere ricondotta a una serie di eventi casuali o spontanei. Da più parti si dice che è stato un attacco organizzato e preparato e, a torto o a ragione, ha preso sempre più corpo la convinzione che siano stati elementi del vecchio regime di Mubarak, manovrati dalla giunta militare, a infiltrare la tifoseria di al-Marsy e a essere i veri responsabile dei morti di Port Said. Nella città del Mediterraneo, intanto, gli scontri sono continuati nelle ore successive con altri tre morti. 

Nelle ore immediatamente successive al massacro di Port Said, le tifoserie organizzate di al-Ahly Zamalek, un altro famoso football club del Cario, hanno raggruppato un corteo che si è diretto a Tharir, invocando il sostegno della piazza simbolo della rivoluzione egiziana contro la giunta militare al potere e contro il ministro degli Interni ritenuto diretto responsabile dei morti di Port Said. Alcuni testimoni oculari avrebbero infatti riferito che dopo la partita di calcio a Port Said la polizia avrebbe lasciato fare agli elementi più oltranzisti, senza intervenire a protezione dei tifosi della squadra ospite.

Il primo ministro Kamal El-Ganzoury ha accettato le dimissioni del governatore della provincia di Port Said e dei vertici locali della polizia, ma chi protesta al Cairo sotto il Ministero degli Interni chiede la testa del ministro Mohamed Ibrahim. Il primo ministro ha però rifiutato ieri le sue dimissioni ed è molto probabile che gli scontri andranno avanti a oltranza. Nel tardo pomeriggio di ieri infine una frazione dei manifestanti si è spostata verso il Ministero della Difesa. 

La situazione rimane molto confusa e in evoluzione continua, ma un dato è certo: le squadre di ultras che hanno portato avanti l’ennesima rivolta al Cairo non sono semplicemente, né perfettamente sovrapponibili a quei giovani attivisti che dal 25 gennaio, l’anniversario della rivoluzione, stanno occupando Tharir. Da giorni in effetti si contano anche nel resto del paese le proteste contro una transizione troppo lenta verso un vero governo civile e per l’uscita definitiva di scena dell’esercito, ma i fatti delle ultime ore hanno portato a una escalation violenta delle richieste legittime e pacifiche di cambiamento. 

La rivoluzione in Egitto ha più anime, e posizioni sempre più diversificate sembrano emergere anche all’interno della giunta militare. Una parte dei giovani di Tharir ha appoggiato e preso parte alle proteste violente degli ultras, ma altri al contrario se ne sono distanziati. Non è certo un caso che piazza Tharir sia rimasta relativamente tranquilla, pur trovandosi a pochi passi dal Ministero degli Interni, epicentro degli ultimi scontri. Ufficialmente tutti i partiti hanno preso le distanze dalle proteste violente, ma sembra alcuni tra le frange più giovani dei Fratelli mussulmani abbiano appoggiato le proteste dopo una prima fase di esitazione, mentre i salafiti parlano della mano straniera dietro l’ondata di violenze.

Il capo della giunta militare Mohamed Hussein Tantawi ha dichiarato ieri sera che l’esercito non permetterà che il paese cada nel caos e in effetti la situazione in atto più che servire i fini e la speranza di una transizione rapida alla democrazia, offra l’occasione perfetta e insperata ai militari per restare al potere, invocando la necessità di imporre la legge d’emergenza e l’impreparazione dei civili a gestire il paese. Intanto nella confusione che rischia di trasformarsi in caos, si registrano i primi assalti a supermercati e grandi magazzini da parte di criminali comuni.

*Docente in Storia dell’Africa, Università di Pavia

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter