I 99 Posse: “Per adesso De Magistris ci sta deludendo”

I 99 Posse: “Per adesso De Magistris ci sta deludendo”

Undici anni. Tanto è passato da La vida que vendrà, l’ultimo album di inediti prima dello scioglimento avvenuto nel 2001 a Cattivi guaglioni, il nuovo disco, il primo dopo la reunion del luglio 2009. Non c’è più Meg, anima femminile della band, ma restano i tre membri fondatori Massimo “Jrm” Jovine, Marco “Kaya Pezz8” Messina e Luca “O’ Zulù” Persico. Nel ventennale dalla loro fondazione i 99 Posse ripartono, dopo anni spesi tra progetti musicali paralleli e problemi personali da risolvere. I più terribili, legati alla droga: in un’intervista pubblicata su Rolling Stone a dicembre, Zulù, il cantate, raccontò la sua dipendenza dal crack e la sua lotta per sopravvivere. Una lotta vinta – «ora», ha detto, «sto una favola» – che ha permesso alla vida dei 99 Posse di continuare.

Il ritorno della band napoletana si chiama Cattivi Guaglioni. Il disco, pubblicato dall’etichetta Novenove, contiene quindici tracce ed è stato lanciato da due videoclip: “Cattivi guagliuni“, diretto da Abel Ferrara, e “Tarantelle pe’ campà“, in cui appare anche Caparezza. L’album rispolvera tutte le principali tematiche dei primi album della Posse più famosa d’Italia: l’antifascismo, le ingiustizie, la povertà, il precariato, la città di Napoli. Come dire, “siamo stati via un po’, ma nel frattempo nulla è cambiato”. E in effetti, nonostante l’assenza dalle scene, nessun’altra band è riuscita a sostituire i 99 Posse sotto il profilo della denuncia politica. Ancora oggi le canzoni di Zulù e compagni – da “Curre Curre Guaglio'” a “Comincia Adesso” – restano quella più cantate durante i cortei e le manifestazioni.

«È vero, non siamo ancora stati rimpiazzati», spiega Marco Messina. «Ma non so dirti il perché. Non credo che non esistano più musicisti impegnati. Forse ci sono, ma semplicemente non riescono più ad emergere. I fenomeni underground, oggi, restano underground. Noi, all’inizio, siamo stati spinti dal basso, dai ragazzi della nostra area politica. Ma siamo diventati noti a tutti quando siamo passati su Radio Deejay o su Mtv. Oggi questo non succede più: è rarissimo sentire sui grandi network pezzi che arrivano dall’underground. Le etichette puntano solo su carte sicure, come gli artisti che escono dai talent show. Nessuno è più disposto a rischiare, in questo senso. Magari i nuovi 99 Posse esistono, ma nessuno li conosce».

Su Facebook avete una pagina con quasi 200mila fan. Con loro mantenete un dialogo pressoché costante, utilizzando il social network anche per questioni che vanno al di là della musica: denunciate ingiustizie, supportate le cause dei lavoratori, affrontate temi sociali. Credete davvero nelle potenzialità del mezzo?
Premessa: nel mio mondo ideale, non ci dovrebbero essere né Twitter né Facebook. Però esistono, e sono media che permettono di raggiungere un gran numero di persone. Per questo utilizziamo Facebook anche per comunicare, non solo per promuovere la musica. Comunicare con la gente è una cosa che sentiamo dentro e avere la fortuna di avere 200mila potenziali lettori ci spinge a utilizzarlo per promuovere iniziative e discutere di certi argomenti. Anche un posto stupido come Facebook può diventare utile, tutto sta nell’utilizzo che ne fai.

Ci sono controindicazioni?
Bisogna guardarsi dai rivoluzionari da tastiera, quelli che postando un link con un commento indignato pensano di aver fatto il proprio dovere. Quelli, insomma, che su internet scrivono le peggio cose e poi non sono mai andati a un corteo, o non ci vanno da anni.

Su Facebook avete sostenuto anche un progetto legato alla figura di Vittorio Arrigoni, “Restiamo Umani”. Di cosa si tratta?
Restiamo umani” è un documentario no-profit in cui diciannove voci importanti della cultura internazionale leggono gli scritti lasciati da Vittorio. Tra di essi ci sono Brian Eno, Moni Ovadia, Ilan Pappé. Io stesso, in questi giorni, sto lavorando alle musiche del documentario. Siccome su “produzioni dal basso” c’è la possibilità di comprare in anticipo una copia del film, abbiamo chiesto uno sforzo ai nostri fan perché crediamo molto nel progetto. Tutti quelli che ci stanno lavorando, me compreso, sono volontari: i soldi servono a coprire le spese, che non sono poche.

Uno dei temi ricorrenti in Cattivi Guaglioni è quello delle carceri. Recentemente siete stati anche al carcere minorile di Nisida, per incontrare i ragazzi detenuti.
Quello delle carceri è un tema che ci è molto caro. Alcuni di noi ci sono stati e, seppure per brevi periodi, hanno sperimentato direttamente che cosa significa essere rinchiusi là dentro. Negli anni, poi, ci siamo ritornati anche da musicisti, più volte, l’ultima proprio a Nisida. Non riesco a descrivere che cosa si prova: quando tu entri in galera, e sai che di lì a tre ore sarai fuori, ogni cancello che si chiude dietro le tue spalle ti mette un senso di angoscia terrificante.

Che cosa pensate del sistema carcerario italiano?
Pensiamo non sia un sistema adatto a recuperare chi sbaglia. Se io sono un ladro e vengo spedito in galera, ne uscirò peggio di prima. Un sistema carcerario in cui l’unica punizione corrisponde alla privazione di tutto è devastante per le persone. Quando esci dopo anni nessuno ti dà lavoro, perché sei un ex carcerato. Cosa fai, quindi? Torni a rubare. Nelle comunità zapatiste del Chiapas non esiste il concetto di prigione. Se io commetto qualcosa di sbagliato ripago il danno che ho procurato: se ti rubo qualcosa, ad esempio, vengo mandato a casa tua per fare le pulizie. Questo, certamente, non è applicabile a una società complessa come la nostra, ma è la direzione verso cui si dovrebbe andare.

I 99 Posse sono un baluardo dell’antipolitica. Nel maggio del 2011, però, avete deciso di sostenere apertamente la candidatura di Luigi de Magistris a sindaco di Napoli. Come mai?
Quella di sostenerlo fu una scelta molto sofferta. Non avremmo mai pensato di spingere un politico alle elezioni, ma la situazione era eccezionalmente grave. La nostra fu soprattutto un’opposizione al Popolo della Libertà, un partito dove le infiltrazioni mafiose raggiungono i gradi più alti. Inoltre, Lettieri era appoggiato da una lista di Casa Pound, e una sua vittoria avrebbe significato il ritorno dei fascisti a Napoli. Non potevamo permettere che questo accadesse senza cercare di fare qualcosa.

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De Magistris, alla fine, ce l’ha fatta. Come giudicate il suo operato in questi mesi?
Personalmente sono un po’ deluso. Dopo la vittoria c’era un’aria diversa, nuova. Questa spinta però si è già affievolita, diciamo che ci si aspettava di più e ci si poteva aspettare di più, nonostante a Napoli ci sia una situazione complicata, si lavora con pochi soldi, ed è difficile fare i miracoli.

Che cosa ti ha deluso in particolare?
Non si tratta di grandi cose, ma di due vicende tra virgolette minori. Prima di tutto quel “Ciao Al” detto davanti alle telecamere, secondo me una sboronata evitabile. Poi, il delirio che sta accadendo attorno al Forum delle Culture, tra problemi logistici e presidenti che se ne vanno. Il forum sarà l’anno prossimo: quando è stato fatto in altri posti, dodici mesi prima si sapeva già la direzione che avrebbe preso l’evento. Stavolta invece non ci si sta capendo niente. Non vorrei fosse l’ennesima occasione sprecata per Napoli.

Che cosa vorreste che De Magistris facesse per la vostra città?
Che faccia partire seriamente la raccolta differenziata, un problema che ciclicamente si ripropone, e che migliori le opportunità lavorative per i giovani. Dobbiamo evitare che da Napoli prosegua l’esodo di menti che da anni sta irrimediabilmente impoverendo la città. Impossibile pensare che De Magistris da solo possa risolvere il problema, ma ci basta che dia il “la” al cambiamento. Spero comunque in futuro riesca a fare cose buone per Napoli. Non tanto perché l’abbiamo appoggiato, quanto perché questa città ha davvero bisogno di cambiare.

(ha collaborato Andrea Legni)

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