In Libia un anno dopo la rivolta c’è un nuovo Gheddafi

In Libia un anno dopo la rivolta c’è un nuovo Gheddafi

Un anno dopo la Giornata della Collera del 17 febbraio 2011 il regime di Gheddafi non esiste più, ma la Libia appare ancora lontana da una transizione democratica. Il vuoto di potere creato inevitabilmente dalla caduta del Colonnello non è stato colmato completamente dal Consiglio Nazionale Transitorio, né dal governo provvisorio da questo nominato. Il Cnt anzi soffre in queste ore una fortissima crisi di legittimità. Pochi in Libia vedono di buon occhio il suo leader Jalil.

D’altronde agli occhi dei ribelli o di chi spera in una vera e nuova Libia, il Cnt appare quasi un organo auto-proclamatosi, la cui vera legittimità più che dalla battaglia sul campo (nessuno dei leader delle milizie che realmente hanno combattuto ne fa parte), sembra derivare dal pronto e forte appoggio dato da occidentali e mondo arabo, Francia e Qatar su tutti. Neppure la nomina del governo provvisorio lo scorso novembre sembra aver sopperito a questa crisi di legittimità interna: frutto di una concertazione tutt’altro che democratica tra forze politiche, gruppi locali e regionali ha, di fatto escluso, le componenti prevalenti nel paese, le forze islamiche e la fratellanza musulmana, mentre nessun vero tentativo di mediazione è stato compiuto per una conciliazione tra le varie milizie presenti sul territorio. Il Cnt è completamente inattivo sul questo piano e ha scelto di lasciare ai capi tribù e ai vari gruppi di miliziani l’onere di mettersi d’accordo. La cosa funziona poco, gli scontri con diversi morti si susseguono frequentemente e in diverse aree del paese, soprattutto a Tripoli e in Tripolitania, ma anche nel sud del paese, gli abusi – denunciati dalle ong – dei vincitori sui vinti pure.

Tutto cambia perché nulla cambi. Il consiglio nazionale, come Gheddafi, e come si era previsto anche su queste pagine, torna ridistribuire la rendita alla popolazione. Punta a giocare il ruolo che ha giocato per quarant’anni Gheddafi: vendere petrolio, ottenere proventi ed elargire prebende. È di questi giorni il decreto del Cnt che stabilisce che ogni famiglia libica riceverà dalla Banca Centrale 2000 dinari libici, 1225 euro circa, più 200 dinari per ogni altro componente non sposato della famiglia (in foto il documento del decreto).

Il documento del decreto del Cnt

Tornano quindi il “rentier state” e tutti i suoi corollari, con buona pace di chi sperava in qualcosa di diverso. Jalil, come Gheddafi, in un momento di crisi e scarsa legittimità è tornato alle vecchie politiche: la rendita compra il consenso. In una Libia certamente più libera del passato dal punto di vista della libertà di stampa ed espressione, il dibattito sull’opportunità della distribuzione si è innescato, ma a prevalere sembra il gradimento. Molti libici non hanno avuto lavoro per molti mesi a causa della guerra, anche nel settore pubblico, e, venendo dalla tradizione del regime di Gheddafi, percepiscono questo come un atto dovuto, senza cogliere che elargire senza chiedere nulla in cambio innesta un processo che non conduce alla democrazia.

Le prospettive in questo senso sono tutte legate alle elezioni che si dovrebbero tenere a giugno per la nomina di un’assemblea generale che dovrebbe poi nominare un comitato per l’elaborazione della costituzione e un nuovo governo. Si voterà regolarmente? Chi controllerà le lezioni se il Consiglio non è stato capace di unire sotto un’unica divisa le varie milizie? Che fine farà il Cnt? In teoria dovrebbe passare il potere e sciogliersi, in pratica, non è affatto detto che sia così.

L’attuale crisi di legittimità del Cnt e del governo libico si sta riflettendo sulle relazioni internazionali della Libia. Caso molto interessante in questo senso è quello dell’Italia. Qui, dalla retorica della continuità si è passati a quella della discontinuità. Il Cnt prima aveva bisogno dell’appoggio italiano e ci ha rassicurato, nulla cambierà. Poi si sono accorti che questo legame con il partner più vicino a Gheddafi, non li metteva in luce con la popolazione libica. Il governo Monti l’ha capito e punta ad una revisione della politica estera italiana verso Tripoli.

Nell’ultimo incontro di gennaio Jalil e Monti hanno passato sottovoce la conferma del Trattato italo-libico (nemmeno nominato apertamente nelle dichiarazioni e nel comunicato congiunto) e puntato sulla discontinuità. Il paradosso è che gli interessi sono gli stessi, petrolio, gas, immigrazione, etc., contenuti e regolati dal Trattato che però è meglio non nominare. L’Italia è molto cauta nell’incertezza sulla stabilità della Libia. Firmare nuovi accordi avrebbe poco senso. Chi ci troveremo come interlocutore nel prossimo futuro? Le prospettive non sono incoraggianti, da una parte un Cnt che punta a comprare legittimità tornando a distribuire la rendita, dall’altra le milizie che non sembrano aver intenzione di deporre le armi e riconoscere pienamente l’autorità centrale.

*Ricercatore all’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi)

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