Grandi manovre in Ubi banca. Nonostante il titolo abbia perso il 45,9% da un anno a questa parte, e ieri l’agenzia di rating Fitch l’abbia messo in credit watch negativo, i piccoli azionisti dovrebbero sentirsi nella classica “botte di ferro”, tutelati dal florilegio di associazioni che sono sorte tra metà 2011 e inizio 2012.
Accanto alle tradizionali Associazione banca lombarda e piemontese e Amici di Ubi banca, che rappresentano gli storici azionisti bresciani e bergamaschi, nel febbraio di un anno fa è nata l’associazione Tradizione in Ubi banca – emanazione della Cassa di risparmio di Cuneo – in agosto l’associazione Azionisti di Ubi banca, guidata dal presidente delle Cartiere Pigna Giorgio Jannone, e infine, la scorsa Epifania, l’Associazione dei cittadini e dipendenti soci di Ubi banca, che fa capo al sindacato Uilca. Insomma, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
In attesa del via libera di Bankitalia sul metodo advanced per calcolare gli impieghi, che dovrebbe portare un beneficio di 50 punti base al Tier 1 (5-700 milioni di euro) e dal bond convertibile da 640 milioni di euro, ieri il cda ha dato mandato al consigliere delegato Victor Massiah di procedere con il riacquisto di tutti i propri strumenti Tier 1 in circolazione, per un valore nominale di 453 milioni di euro. L’operazione di buyback, che segue quelle annunciate da Unicredit e Banco Popolare (a cui seguirà Intesa Sanpaolo), è rivolta principalmente agli investitori internazionali e prevede il pagamento in denaro dell’80% del valore nominale per le tre tipologie di bond coinvolti. Un modo conveniente per alzare i requisiti patrimoniali in vista dei requisiti previsti da Basilea III. Nei nove mesi del 2011 l’utile netto è infatti sceso a 182,6 milioni di euro (251,7 milioni al 30 giugno) i crediti dubbi lordi sono saliti a 8,5 miliardi con un tasso di copertura in calo al 26% (27,5% al primo semestre), su un patrimonio di base pari a 8,4 miliardi di euro e impieghi totali per 102,7 miliardi di euro. Numeri a cui si aggiungono svalutazioni sugli avviamenti per 4,2 miliardi e la sempre più probabile rinuncia al dividendo sull’esercizio 2011.
Scampato o quasi il pericolo di dover chiedere ai propri soci di mettere mano nuovamente al portafoglio a pochi mesi dall’aumento di capitale da un miliardo di euro chiuso la scorsa estate – secondo l’Eba, per raggiungere un coefficiente di vigilanza Tier 1 del 9%, la banca necessitava di ulteriori 1,4 miliardi – i grandi elettori degli organi sociali stanno già testando le alleanze in vista della cruciale assemblea del prossimo aprile, che potrebbe alterare non poco gli equilibri di governance anche se gli attuali vertici scadono nel 2013.
La carne al fuoco è tanta: dalla ridefinizione del piano industriale al 2015 (in cui si prevedeva una crescita del Pil italiano dell’1,3% per il 2013, un’ipotesi molto lontana dalla realtà attuale che vede l’Italia in recessione) alla riorganizzazione della controllata Centrobanca dopo il buco lasciato dal fallimento della maison Mariella Burani. E, non ultimo, il completo assorbimento di Banca 24 in seguito a un’ispezione di Bankitalia, che ha rilevato carenze di controlli nella gestione del rischio di credito.
Un episodio, quest’ultimo, minimizzato da un esponente di vertice di Ubi, che spiega a Linkiesta: «Come numero e portata le verifiche non sono né minori né più rilevanti rispetto a quelle normalmente condotte sugli altri istituti di credito italiani». Sebbene la parola d’ordine sulla bocca di tutti sia “vicinanza al territorio”, è l’inevitabile razionalizzazione di attività e sportelli che spaventa i tanti campanili riuniti sotto l’ombrello della banca. Un piano che, allo stato attuale, sembra escludere il complicato passaggio dal modello mutualistico a voto capitario a quello della società per azioni. Infine, altra missione delicata, bisognerà trovare un sostituto di Giovanni Bazoli, che per via della nuova legge sui doppi incarichi dovrà lasciare la poltrona di consigliere di sorveglianza, ricoprendo già il ruolo di presidente del consiglio di sorveglianza della diretta concorrente Intesa Sanpaolo, di cui Ubi peraltro possiede una quota pesantemente svalutata.
Il deputato del Pdl Giorgio Jannone si vanta di essere stato il primo, alla fine della scorsa estate, ad aver suonato la campana per il salotto buono della banca lombarda, che include industriali come Beretta e Lucchini: «Ho provato a smuovere le acque, che erano immobili da secoli» dice a Linkiesta. Come? Fondando l’Associazione azionisti di Ubi banca: «Mi occupo di banche da sempre, sono stato consigliere del Credito Bergamasco e la mia famiglia è azionista storica di Ubi. Vedendo che il valore del titolo continuava a scendere, ho provato a raccogliere un gruppo numeroso di azionisti, in termini di teste più che di azioni possedute, per provare a partecipare maggiormente alla vita societaria della banca». «Con l’associazione», prosegue Jannone, «abbiamo raccolto tantissimi soci, che arrivano anche dalla sponda dell’ex Banco di Brescia». Quindi dal nucleo di Bazoli.
Obiettivo dichiarato: ottenere la maggioranza nell’assemblea del prossimo aprile per imprimere una svolta alla gestione. I numeri potrebbero anche esserci: l’alleato di Jannone, che ha raccolto finora 5mila soci, è l’associazione “Tradizione in Ubi banca”, espressione dell’anima cuneese della Banca regionale europea, nata dalla fusione della Cassa di risparmio di Cuneo con la Banca del Monte di Lombardia, a sua volta confluita nell’orbita Ubi assieme alla Bpu e alla Popolare di Bergamo. «Oltre al crollo del valore del titolo, che dal 2007 a oggi è diminuito da circa 20 euro a 3 euro», lamenta Dario Alfero, presidente dell’associazione, che conta 1.400 soci, «non condividiamo le decisioni assunte l’anno scorso in merito alla governance della Banca Regionale Europea, con la sostituzione di un presidente manager con un presidente di pura rappresentanza». Ai piemontesi non è andato giù il turnover ai vertici di Bre (controllata al 75% da Ubi e al 25% dalla Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo) dove Luigi Rossi di Montelera ha preso il posto di Pietro Bertolotto: «Il rischio è che la banca, diretta da un management non piemontese, veda attenuarsi lo storico rapporto con il territorio», osserva ancora Alfero. La prossima settimana è previsto un confronto tra i due enti per discutere delle strategie da mettere in campo in vista del prossimo aprile. Riunione in cui, secondo indiscrezioni, si discuterà anche della possibile trasformazione di Ubi in Spa.
L’asse ha fatto storcere il naso allo storico polo bergamasco riunito negli Amici di Ubi banca – che conta un migliaio di soci – secondo cui Jannone non ha fatto altro che sfruttare abilmente il malcontento che serpeggiava tra i soci quando è stato deliberato l’aumento di capitale da 1 miliardo di euro, accusando i vertici di mala gestione.
Un’altra risposta tanto all’iniziativa di Jannone, quanto alla razionalizzazione della banca, sembra essere l’Associazione dei cittadini e dipendenti soci di Ubi, una cinquantina di iscritti finora. «La traccia a cui ci ispiriamo è quella degli Amici della Bpm» osserva il presidente Flaviano Marini, sindacalista Uilca, che spiega: «vogliamo stare fuori dai giochi di potere ma essere l’ago della bilancia. L’obiettivo della nostra associazione è di portare gli interessi di chi ritiene importante il modello sociale della banca, e non solo i dati economici». Detta in altre parole, avere più voce in capitolo nella contrattazione sull’aggiornamento del piano industriale, che prevede la chiusura di 84 sportelli e la ridefinizione d’uso di altri 38 senza, per ora, ricadute occupazionali.
Insomma, la guerra per la “valorizzazione del territorio” è iniziata, e l’asse lombardo-piemontese potrebbe scardinare il tradizionale sodalizio democristiano tra la Leonessa e la città orobica. Tra qualche mese la resa dei conti.
Twitter: @antoniovanuzzo