L’ultima tappa del viaggio nella manifattura de Linkiesta tocca l’industria dell’auto. Comparto manifatturiero per eccellenza, la filiera italiana dell’auto può contare in Italia su circa 3.000 imprese, che impiegano 1,2 milioni di addetti per un fatturato complessivo attorno a 95 miliardi (11,4% del Pil). La sola componentistica rappresenta oltre 2mila 300 imprese, che occupano circa 170 mila addetti – di cui 90 mila nel solo Piemonte – per un fatturato pari a circa 42 miliardi. L’Italia, nonostante questi numeri di tutto rispetto, gioca ormai un ruolo non di primo piano nello scacchiere produttivo mondiale di autovetture, sempre più spostato ad Est ed in profonda trasformazione. In effetti negli ultimi anni si è assistito a un rapido mutamento delle gerarchie produttive a livello mondiale.
La Cina, tra il 2008 ed il 2010, ha addirittura raddoppiato le produzioni di vetture, passate da 6,7 a 13,9 milioni di unità, divenendo il primo produttore mondiale di automobili. Il Giappone e gli Stati Uniti, che fino all’inizio del terzo millennio detenevano circa il 40% delle produzioni mondiali, hanno visto dimezzare la propria quota. Il 2009 è stato l’anno in cui la produzione di auto nei paesi emergenti ha superato quella europea e statunitense. L’America Latina e alcuni paesi dell’Est Europa hanno raddoppiato la propria quota di produzione continentale e Slovacchia, Repubblica Ceca e Slovenia sono divenuti luoghi privilegiati di produzione. Con la conseguenza che nell’Est europeo la produzione è cresciuta a un tasso medio del 19% nel periodo 2002-2008. Ciò, contro una diminuzione, nello stesso periodo, del 2% circa in Europa occidentale, dove la quota di produzione sul totale di autoveicoli fabbricati nel mondo si è ridotta dal 35% del 2000 al 25% del 2010. In tale contesto, mentre la componentistica italiana, soprattutto grazie all’export, ha contenuto gli effetti della crisi, ritornando, nel 2010, ad un saldo della bilancia commerciale vicino ai livelli pre-crisi (5,7 mld contro 6,7 mld nel 2007), la Fiat ha perso progressivamente terreno. Fino a dimezzare nell’arco dell’ultimo decennio la sua produzione nel Paese, con conseguenti ripercussioni negative sulla tenuta occupazionale del settore.
L’Italia, come emerge con chiarezza dai numeri ricavati dalle statistiche elaborate annualmente dall’Oica – l’organizzazione che raggruppa i produttori mondali di auto – è infatti passata da una produzione del 2001 pari a poco meno di 1.271.780 unità a 573mila del 2010. Degno di nota è inoltre il fatto che siamo l’unico Paese europeo a non aver arrestato l’emorragia produttiva del 2009, manifestando così l’incapacità di invertire la rotta rispetto ad una discesa dei volumi prodotti continuata anche nel 2011. Questo nonostante la produzione mondiale di autovetture abbia superato i valori precedenti la crisi, raggiungendo quota 80 milioni.
Mentre ad esempio la Germania e la Francia sono passati rispettivamente da 4,9 e 1,8 a 5,5 e 1,9 milioni di auto, la produzione del nostro Paese è scesa l’anno scorso sotto le 500mila unità, con una contrazione di quasi il 13% sul 2010. Ciò, quale conseguenza innanzitutto di una crisi economica che ha inciso sul sistema produttivo maggiormente che in altri paesi, ma anche a causa del processo di progressivo spostamento delle produzioni di Fiat all’estero. Basti pensare che ormai sul territorio italiano il gruppo guidato da Sergio Marchionne produce meno di un terzo delle auto complessivamente messe sul mercato internazionale e l’investimento nella nuova fabbrica serba, oltre all’alleanza con Chrysler potrebbero ridisegnare in senso ulteriormente restrittivo la presenza produttiva sul suolo italiano del Gruppo Fiat.
Logo Fiat (Afp)
Un operaio Fiat a Pomigliano con le nuove Panda (Afp)
Non è chiaro se Marchionne, come taluni paventano, stia preparando la “fuga” dall’Italia, relegando il nostro Paese ad un ruolo marginale nello scacchiere internazionale. Quello che è certo, come detto, è che Fiat ha subito più di altri players internazionali il prezzo della crisi. Per Mauro Ferrari, vicepresidente di Anfia – l’associazione nazionale della filiera automobilistica aderente a Confindustria, che raggruppa circa 300 imprese del settore – è l’industria italiana nel suo complesso, incluso quindi il settore dell’auto, che paga un deficit di competitività rispetto ad altri paesi, nostri tradizionali competitors, come la Germania e la Francia. Incidono sulla capacità di concorrere delle nostre imprese una burocrazia ossessiva, un fisco pesante, un sistema giudiziario inefficiente, come peraltro puntualmente viene osservato e descritto dal World Economic Forum. Per quanto riguarda la Fiat, certo non la aiuta il suo mercato di riferimento, l’Italia della crisi, nella quale le vendite di auto sono tornate ai volumi che avevamo a inizio anni Ottanta: in questa situazione, tuttavia, Fiat sta comunque mantenendo la sua quota di mercato, pari a circa il 30% (il 29,43% per l’esattezza, contro il 32,77% e quasi 200 mila auto in più vendute nel 2009, ndr).
Se i numeri dell’industria dell’auto sono ancora lontani dai livelli pre-crisi, dal 2010 una ripresa sta riguardando il settore della componentistica, i cui destini dipendono, pur in modo minore rispetto al passato, dai fatturati del Gruppo Fiat. «La ripartenza, cominciata nel 2010, poggia sulla vocazione internazionale della componentistica italiana – ci conferma Mauro Ferrari – per la quale ai mercati di sbocco dell’area BRIC, dove ormai possiamo vantare anche una significativa presenza produttiva, se ne sono affiancati altri come Turchia, Repubblica Ceca e Polonia». Ciò nonostante, il 2012 non si è aperto bene per l’industria dell’auto. Secondo i dati elaborati dall’Anfia, «il mercato auto a gennaio registra livelli così bassi che non è più sufficiente risalire al triennio critico 1993-1996, ma occorre spostare il termine di confronto ancora più indietro, a inizio anni Ottanta». Secondo l’anticipazione dello scambio di dati tra Anfia e Unrae, a gennaio i contratti siglati si attestano a 130.000, il 18% in meno rispetto a un anno fa (158.580 a gennaio 2011). Le cose vanno particolarmente male per Fiat, che dopo aver chiuso il 2011 con 950mila immatricolazioni (-12% sul 2010) ha rivisto le previsioni per l’anno in corso.
Fonte Piani operativi Fiat
Linkiesta, come riportato lo scorso 18 gennaio, ha visionato i primi piani operativi del Lingotto per il 2012, che fanno seguito a quelli che erano stati prodotti nel quarto trimestre del 2011. Prendendo in esame i siti italiani (Mirafiori, Melfi, Pomigliano d’Arco, Cassino), quello polacco di Tychy e quello serbo di Kragujevac, si è verificato un complessivo aumento della produzione rispetto alla prima stima riferita al 2012. Infatti, si è passati da 1,002 milioni di vetture a 1,0279 milioni. Non è però merito dell’Italia. Tutti gli stabilimenti, tranne Cassino, hanno visto ridurre le previsioni sui volumi produttivi. Simbolico il caso di Pomigliano, dove la produzione 2012 stimata nella scorso trimestre era di 202mila 700 unità. Ora sono diventate 188mila 500. Per lo storico stabilimento di Mirafiori, nei primi piani operativi che la casa ha prodotto per il 2012, subirà l’ennesima contrazione dei volumi produttivi. Sono lontani i tempi in cui dallo sito sabaudo uscivano 172mila 000 vetture. Peccato fosse solo il 2009. La produzione 2012, secondo i piani operativi, sarà di 58mila 400 vetture, meno delle stime che lo stesso Lingotto aveva prodotto alcuni mesi fa, quando ipotizzavano un volume complessivo di 59mila 600 unità. Il fiore all’occhiello della produzione rimane l’Alfa Romeo MiTo, circa 45mila 300 vetture, in aumento rispetto alle 41mila prodotte nel 2011. Per la linea delle piccole monovolume Idea e Musa i volumi saranno di 13mila unità, in netto calo rispetto alle 21mila 500 del 2011, complice la prossima introduzione del monovolume L0. Quest’ultimo sarà presentato al prossimo salone di Ginevra, sarà prodotto nello stabilimento serbo di Kragujevac e rappresenterà il nuovo monovolume compatto della casa guidata da Sergio Marchionne.
Per Melfi, il maggiore stabilimento italiano, il 2012 sarà più difficile delle previsioni. Se il primo piano operativo del Lingotto per il 2012 vedeva una produzione di 223mila 700 automobili, con quello di gennaio si è scesi a 211mila 600. Anche in questo caso, è lontano il 2009, quando dall’impianto uscivano 266mila 000 vetture. A essere prodotti saranno tre modelli di Grande Punto: la Evo, la Actual (il vecchio Model Year 2009) e la nuova Punto serie 6, un’evoluzione della Evo. Se per la prima i volumi saranno di 3mila 800 vetture, per la seconda saranno di 17.100 unità, mentre per la nuova della famiglia questi saliranno fino a 190mila 600 automobili.
Nuova catena di montaggio a Pomigliano (Afp)
Sergio Marchionne aggiunge la sua firma ad una nuova Panda durante la presentazione a Pomigliano (Afp)
Le notizie più negative riguardano le stime di produzione della Nuova Panda, presentata poche settimane fa e oggetto da settimane di una intensa campagna di marketing. Se il primo piano operativo per il 2012 vedeva circa 202mila 700 unità, ora il Lingotto ha tagliato le stime a quota 188mila 500 vetture. Un calo inaspettato, considerato che il modello è nuovo ed è il successore di uno dei bestseller della casa automobilistica torinese. Per ora quindi non giova il cambio di sito produttivo, dal polacco Tychy all’italiano Giambattista Vico, dato che il primo era considerato uno dei più virtuosi d’Europa. Per quanto riguarda, invece, l’impianto italiano di Cassino, da sempre uno dei più avanzati, le prime prospettive per il 2012 erano per una produzione di 135mila 400 unità. Ebbene, queste saranno portate a 139mila 800 vetture. La linea produttiva di Lancia Delta, Alfa Romeo Giulietta e Fiat Bravo, ovvero il comparto C del Lingotto, vedrà infatti alcune variazioni positive. Delta e Giulietta saranno incrementate, con la media del Biscione che sfiorerà le 95.000 unità. Di contro, la classe C di casa Fiat, Bravo, scenderà sotto le 20.000 unità.
Lo stabilimento polacco di Tychy, un tempo il più utilizzato da Marchionne, patirà ancora la perdita della Nuova Panda. Compresa la Ford Ka, che ha lo stesso pianale della Fiat 500, saranno prodotte 389mila 100 automobili, circa 40mila in più rispetto al primo piano operativo per il 2012. Resterà in produzione la Nuova Panda Model Year 2009, ovvero l’attuale modello, che registrerà circa 58mila vetture. Ma entrerà a pieno regime la Lancia Ypsilon, 98mila unità. In aumento rispetto al 2011, circa 10mila auto in più, anche la Fiat 500, fino a sfiorare le 170mila vetture. Tuttavia, per Tychy il passaggio da un volume di 588mila unità del 2009 a quello stimato per l’anno in corso è un colpo ancora da digerire. Sarà prodotta a Kragujevac, in Serbia, il nuovo modello di Fiat, la piccola monovolume L0. E la prima sorpresa è che il Lingotto ha rivisto al rialzo le stime di produzione. Rispetto alle 30mila 900 vetture previste nella prima stesura del piano operativo per il 2012, la L0 è salita a quota 40mila 500 unità. La scommessa è grande per Fiat, dato che dopo un avvio cauto, fra ottobre e novembre dovrebbe entrare a pieno regime. La Cinquecentona, così è chiamata la L0, avrà il compito di rimpiazzare Lancia Musa e Fiat Idea, in diretta concorrenza con la Opel Meriva, rinnovata già nel 2010.
La contrazione della domanda di veicoli in Europa si riflette in tutti gli asset di Fiat. Compresa Maserati. Per uno dei due brand di lusso del Lingotto, che ha appena lanciato il suo nuovo suv Kubang, la produzione passerà dalle 6mila 100 unità del 2011 alle 5mila 600 del 2012, al netto del nuovo prodotto. Tuttavia, se le vendite in Europa continuano a essere un problema per Fiat, per l’America così non è. Il ritmo con il quale vengono vendute le auto del gruppo Chrysler continua a salire ed è già stata presentata la prima vettura del nuovo corso, la Dodge Dart, realizzata sul pianale C modificato opportunamente per gli Usa. Restano le due incognite maggiori per il Lingotto. Da un lato la Fiat 500 vende circa la metà delle previsioni. L’obiettivo della casa è quello di rilanciare il brand, dopo un avvio in grande stile il cui entusiasmo è stato smorzato dalle vendite. Dall’altro la monovolume L0, secondo le intenzioni di Fiat, sarà portata negli Stati Uniti. Anche in questo caso, però, il responso del pubblico è tutto da verificare. Al di là delle incognite di mercato, rimane il fatto che la presenza sul mercato statunitense e dunque la partecipazione, cresciuta al 58,5%, nel capitale di Chrisler, si sta rivelando l’ancora di salvezza del Gruppo Fiat.
I numeri del 2011 sono in tal senso emblematici, visto che, come si legge nella documentazione esplicativa dei dati del quarto trimestre, «i ricavi pari a 59,6 miliardi riflettono il contributo di Chrysler per il periodo giugno-dicembre di 23,6 miliardi di euro». Le vendite di Chrysler, a fronte di un calo di quelle di Fiat, hanno registrato nel 2011 un incremento del 22%, che nel mese di gennaio è arrivato addirittura al 40 per cento. È ancora presto per dire se l’alleanza con Chrysler sarà la chiave di volta per realizzare un gruppo automobilistico capace di produrre 6 milioni di auto all’anno, come Sergio Marchionne ha più volte dichiarato di voler fare. Per ora Chrysler si sta rivelando fondamentale nel compensare le debolezze del mercato europeo ed in particolare di quello italiano. Per la cui ripartenza, secondo Ferrari «certamente gli incentivi sarebbero importanti ma, creda, le condizioni generali della nostra economia richiedono prioritariamente la concreta messa in campo di una serie di azioni necessarie a restituire competitività al sistema Paese». «C’è insomma bisogno – precisa il vicepresidente di Anfia – di recuperare risorse ulteriori dalla lotta all’evasione, di alleggerire il fisco, incentivare strutturalmente la ricerca e l’innovazione, inclusa quella nel settore dell’auto, garantire l’accesso al credito, così come di relazioni industriali più moderne con cui possa essere esercitata al meglio la libertà di impresa, e non già quella di licenziare come taluno strumentalmente vuole fare intendere!».