È possibile che questa “tragedia greca” sfoci in una guerra civile? Il popolo greco, fondatore storico della democrazia, farà un qualche tipo di rivoluzione? Domande che si pongono davanti alle macerie del centro di Atene, agli incendi appiccati ad edifici pubblici, negozi, sedi delle banche, compagnie aree e telefoniche, agli assalti contro la polizia da parte dei “black bloc”, applauditi dalla folla che, ormai da mesi, protesta contro le politiche recessive imposte dalla “troika” e dalla Merkel.
Forse non finirà né con la dracma al posto dell’euro, né con una rivoluzione comunista, né con un ritorno dei colonnelli fascisti, ma che la democrazia ellenica sia in serio pericolo appare ormai evidente. Le prossime ore ci diranno se il governo di Papadimos (destinato ad essere sostituito con le elezioni in primavera), dopo il voto del parlamento che ha approvato il “cambio” dei bot in mano ai privati, la ricapitalizzazione delle banche e l’autorizzazione a firmare il nuovo memorandum, è ancora in grado di riprendere il controllo della situazione. Di certo, dietro l’esplosione della violenza non c’è solo la drammatica crisi economico-finanziaria e l’opposizione delle classi più povere ai diktat dell’Unione europea e della Banca centrale. C’è molto di più ed è qualcosa che risale indietro nel tempo: la sensazione di essere usati continuamente dalle potenze straniere; la frustrazione giovanile per la mancanza di lavoro e l’esasperazione di chi l’ha perso; l’indignazione per gli scandali e per la corruzione della classe politica. Una miscela a dir poco esplosiva di sentimenti e pulsioni che coinvolgono, in modo progressivo, l’intera classe media, cioè la maggioranza della popolazione greca. Nessuno, almeno allo stato attuale, è in grado di fare previsioni attendibili. Di certo, chi in questo momento si trova ad Atene ha la netta sensazione di rivivere tragici momenti del suo passato, quando il popolo greco venne messo a dura prova. Ne ricordiamo tre.
Il 31 maggio del 1941, insieme al suo amico e compagno Apostolos Santas, Manolis Glezos, oggi novantenne in piazza insieme ai manifestanti, si arrampicò sull’Acropoli e ne strappò via la bandiera con la svastica, che vi sventolava dal 27 aprile, quando le truppe tedesche erano entrate ad Atene. Alla bandiera nazista sostituì quella nazionale greca. Il Partito comunista greco aveva assunto subito una posizione nazionalistica in funzione della resistenza all’Italia fascista, come risulta anche da un appello dell’ottobre 1940: “Il fascismo di Mussolini ha attaccato la Grecia in modo vergognoso (…) oggi noi greci ci battiamo per la nostra libertà, per il nostro onore e la nostra indipendenza…». Fu quello il primo clamoroso atto della resistenza in Grecia, uno dei primi in Europa. Oggi in molti parlano di greci opportunisti, di gente che ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità alle spalle dell’Europa, dimenticando che, a quei tempi, quel gesto ispirò molti europei a resistere all’occupazione nazista e fascista, e a far nascere, quindi, la nuova Europa.
Nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1967 i colonnelli diedero inizio al colpo di stato. Alle ore 2 un reggimento di paracadutisti occupava il ministero della difesa. Un proclama solenne recitava: «Di fronte alla crisi economica, all’incapacità del governo, alla formazione di gruppi armati, al rischio di una guerra civile, l’esercito prende il potere». Poi i militari occuparono il parlamento, il palazzo reale e tutti i centri di informazione. Nella notte solo qualche sparo e pochissima gente in piazza. Nessun movimento di truppe per le strade. Presto i colonnelli arrestarono tutti i nominativi presenti nelle liste predisposte già in precedenza con l’aiuto dei servizi segreti stranieri. Secondo alcuni, circa 10 mila persone furono rinchiuse nelle carceri. Le radio nazionali trasmisero ossessivamente i loro incessanti appelli all’unità nazionale: sempre lo stesso miscuglio di Pétain, Mussolini, Pinochet, ma con un risvolto più tecnocratico e un costante richiamo, quasi professionale, alla disciplina e all’ordine. Quando c’è un colpo di stato, di solito, è sempre così. Le forze dell’ordine non spararono un colpo a difesa della democrazia. Tutto si consumò nel silenzio. La ragione con cui i militari, i giorni seguenti, motivarono l’uso della forza per rovesciare il legittimo governo fu che cospiratori comunisti si erano infiltrati al governo, nella burocrazia, nelle università, nei centri di comunicazione ed anche nell’esercito, rendendo quindi necessaria un’azione drastica per proteggere il popolo greco.
La mattina del 14 novembre 1973 gli studenti del Politecnico di Atene, stufi delle vessazioni dei militari, occuparono la facoltà, misero su una improvvisata radio e trasmisero per ore questo messaggio: «Popolo greco, il Politecnico è la bandiera della vostra e della nostra sofferenza contro la dittatura e per la democrazia». L’appello radiofonico mobilitò migliaia di persone, che coraggiosamente e non curandosi degli ordini della giunta militare, che avevano proclamato la legge marziale e il coprifuoco, si riversarono davanti alla facoltà. Dopo tre giorni, alle 3 di notte del 17 novembre, i militari inviarono i carri armati, provocando una tragedia nazionale: 24 persone, la maggior parte delle quali non studenti ma gente comune accorsa in sostegno dei ragazzi, persero la vita. Quel giorno è oggi festa nazionale per tutto il popolo greco.
Per la coscienza democratica della Grecia, di qualunque parte politica si sia, comunque la si pensi sul modello economico e sociale che prospetta l’Europa, questo è, non meno di questi tre episodi ormai storici, un momento epocale. In un comunicato di poco precedente agli scontri di Atene si legge: «Per due anni, vi abbiamo avvertiti che la politica di dettare misure che richiedono di essere attuate “con la pistola alla tempia”, ha mandato all’aria la coesione sociale e fatto morire ogni speranza per la ripartenza dell’economia greca. Vi abbiamo avvertito che ci rifiutiamo di scontrarci con i genitori, i fratelli, i nostri figli, ogni cittadino di questo paese, che protesta e chiede un’alternativa. Tutto quello che chiediamo sono politiche programmatiche che tutelino gli interessi dei lavoratori e di tutti noi che ora viviamo sotto la soglia di povertà». Si tratta di un documento scrittonon da gruppi eversivi, ma dai sindacati della polizia greca, inviato al governo, al presidente della Commissione europea, del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale. Con parole, decisamente, forti. E ancora non sappiamo come finirà questa drammatica crisi.