Dopo quasi sette ore di consiglio di amministrazione di Unicredit, il braccio di ferro ai vertici del primo gruppo bancario italiano si chiude con un colpo di mano delle fondazioni. Il presidente Dieter Rampl ha annunciato «la propria decisione di non essere disponibile per un ulteriore mandato», dopo che, appena due settimane fa, si era detto disponibile a un nuovo mandato. Una decisione clamorosa, praticamente un “dimissionamento a scadenza”, che segna una presa di potere ancora più stretta di tutte le fondazioni azioniste (Crt, Cariverona, Cassamarca e le altre) sull’istituto di Piazza Cordusio. E tutto questo a meno di un mese dalla conclusione dell’aumento di capitale da 7,5 miliardi che ha costretto la banca a fare appello agli investitori internazionali.
Non sono mancati i consueti ringraziamenti del consiglio, del collegio sindacale e dei manager «per il ruolo svolto e il personale contributo nell’affermazione di Unicredit come primario gruppo bancario europeo». Ma al di là delle formalità, le fondazioni puntano a sostituire il presidente tedesco con un nome italiano e soprattutto non sono disponibili a ridurre il numero dei membri del cda a 15 (oggi i consiglieri sono 20, dopo tre dimissioni), come proposto da Rampl. Si va insomma nella direzione opposta a quella auspicata, oltre che dal presidente uscente, anche dagli investitori internazionali che hanno sostenuto l’aumento di capitale di Unicredit.
Al congresso Assiom-Forex di Parma, lo scorso 18 febbraio, Rampl era stato chiaro: «Sono pronto a mettere il mio impegno a fronte di un progetto di governance valido per tutti gli azionisti, gli italiani e internazionali, una buona governance porta buoni risultati». Un progetto che le fondazioni non hanno gradito, essendo interessate a conservare influenza e a difendere le poltrone nella capogruppo e nelle controllate. Di fronte a una divergenza insanabile, Rampl ha scelto di rimanere coerente, ritirando la disponibilità al rinnovo del mandato.
Per la successione sono stati ventilati i nomi dell’ex banchiere centrale Lorenzo Bini Smaghi e di Gian Maria Gros-Pietro, ex presidente di Autostrade, vicino al vicepresidente Fabrizio Palenzona e al costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, socio all’1% della banca. In pole position ci sarebbe anche Fabrizio Saccomanni, attuale direttore generale della Banca d’Italia, già in corsa per la carica di governatore (attribuita poi a Ignazio Visco). Se la scelta cadesse su Saccomanni, alla commistione fra politica ed economia, poteri clientelari e finanza, che caratterizza il mondo delle fondazioni bancarie, si potrebbe così aggiungere quella tra controllori e controllati.
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