Catania – “Semu tutti devoti, tutti? Cittadini, cittadini, cittadini! Evviva sant’Agata!”. Sono tre giorni che questa formula rituale risuona per tutte le vie e le piazze di Catania per richiamare tutti i devoti ai festeggiamenti della santa patrona della città ai piedi dell’Etna.
Dal tre al cinque febbraio la città si ferma per festeggiare sant’Agata e i numeri prodotti dalla devozione sono imponenti. Si tratta della terza festa a livello mondiale per numero di fedeli, capace di attirare in città quasi un milione di visitatori, per una macchina organizzativa messa in piedi dal Comune che costa circa 700mila euro.
Le tradizioni sono particolarissime: i devoti della santa, la quale pur di non abiurare la propria fede cristiana e pur di difendere la propria verginità subì anche l’amputazione del seno, indossano un lungo vestito bianco, chiamato “sacco” e trasportano in giro per la città le cosiddette candelore.
Sono delle pesanti strutture in legno di circa 800 chili, contenenti un grosso cero, che vengono trasportate a spalla dai devoti. Ogni corporazione di lavoratori, come i pescivendoli o i macellai, ha una propria candelora da trasportare e l’organizzazione della festa dura, praticamente in maniera ininterrotta per tutto l’anno.
Il 2012, con la festa che si avvia alla conclusione con il solenne pontificale del segretario di Stato del Vaticano Tarcisio Bertone, potrebbe essere l’anno di svolta per la festa finita troppe volte al centro delle cronache per le presunte infiltrazioni mafiose e per i tanti problemi gestionali che hanno portato anche due morti negli ultimi anni.
A dare un segnale forte e netto di discontinuità rispetto al passato è stata proprio la Chiesa, insistendo particolarmente sulla parola “legalità”. L’arcivescovado etneo ha introdotto un regolamento per conferire l’incarico di “capovara”, ossia colui che guida e dirige i movimenti del fercolo più importante: quello sant’Agata, il quale contiene lo scrigno con i resti della martire e che ha a suo seguito una massa enorme di fedeli.
Nel 2004 un giovane devoto di 22 anni, Roberto Calì, fu travolto dalla folla e rimase ucciso. Ad essere condannato é stato proprio il “capovara” Alfio Rao, accusato di non aver rispetto le condizioni di sicurezza. Così la Chiesa ha emanato un regolamento che stravolge i criteri di scelta del “capovara” e dei suoi collaboratori, stoppando così la nomina a tempo indeterminato e senza regole di un ruolo di assoluta responsabilità.
Dopo la condanna di Rao è subentrato un altro “capovara” che resterà in carica tre anni. Ma dal 2015, come ha affermato monsignor Barbaro Scionti, delegato arcivescovile per la festa, chi guiderà il fercolo della santa «deve essere un buon cristiano, secondo le direttive del diritto canonico, e un onesto cittadino e dovrà avere la fedina penale pulita: dettaglio del quale non possiamo fare a meno di tenere conto».
In terra di mafia la criminalità organizzata non può fare a meno di imporre la propria longa manus, che in questo caso riveste un significato oltre che economico anche simbolico, sulla festa più importante di Catania, dichiarata nel 2008 dall’Unesco come bene antropologico dell’umanità.
Le indagini della magistratura catanese e dell’antimafia hanno fatto luce sul sistema di controllo della festa da parte del gotha mafioso, rappresentato dalle famiglie Santapaola e Mangion, che per sette anni, comprendenti un periodo che va dal 1999 al 2005, avrebbero avuto il monopolio sui festeggiamenti. Basti pensare che il circolo che si occupa dell’organizzazione delle celebrazioni, il Circolo Cittadino Sant’Agata, aveva dato le tessere numero uno e due rispettivamente a Nino Santapaola, nipote del boss Benedetto, e Enzo Mangion.
Secondo gli inquirenti la mafia era riuscita a penetrare nella manifestazione di maggior valore simbolico per la comunità catanese, riuscendo a controllare il business dei fuochi d’artificio, la gestione delle candelore, la sistemazione delle bancarelle degli ambulanti e anche il percorso e le fermate del fercolo di sant’Agata.
Tra gli indagati eccellenti risultano Antonino e Francesco Santapaola, Enzo, Alfio, Vincenzo ed Agatino Mangion, ma anche Pietro Diolosà, presidente sino a poco tempo fa del circolo di sant’Agata, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa perché avrebbe agevolato l’ingresso di Cosa nostra nell’affare dei festeggiamenti. Il Comune etneo si è costituito parte civile nel processo, che ad aprile entrerà nel vivo.
Un affare redditizio quello di sant’Agata nelle testimonianze di due pentiti: Daniele Giuffrida e Raimondo Di Natale. Il primo, sentito dal pm Antonino Fanara, ha confermato la gestione delle candelore da parte delle famiglie mafiose. Il meccanismo è semplice: la famiglia controlla una candelora di una certa categoria e poi settimanalmente, con la scusa di raccogliere fondi per la festa, chiede piccole offerte di denaro durante tutto l’anno. Denaro che serviva poi per l’acquisto di cocaina, per pagare gli stipendi ai “picciotti”, per le armi e infine per pagare il fuochista il giorno delle celebrazioni.
“Il cereo dei macellai – ha dichiarato Giuffrida ai pm – era gestito dai Cappello. Addirittura chiedevano ai commercianti il pagamento di una somma giornaliera che era in sostanza, anche in questo caso, un’estorsione”.
Dietro la festa c’è anche un grosso giro di scommesse sui tempi di percorrenza della processione e un racket relativo alla cera. Infatti, a Catania, i fedeli in segno di devozione offrono al passaggio del fercolo agatino delle candele, le quali poi vengono raccolte in appositi camion e riutilizzate. La ditta che si occupava della raccolta era costretta a pagare ai gruppi mafiosi una determinata somma per ogni chilo di cera raccolta.
Il pentito Natale Di Raimondo ha invece sottolineato il prestigio derivante dal far portare la candelora proprio nel suo quartiere: «Nel 1992 e nel 1993 la candelora stazionò due giorni nel quartiere e pernottò sotto casa mia. Decisi di farla arrivare per maggiore prestigio quale “mafioso” e sia per senso di devozione verso la santa». Più recentemente ci sono state molte soste “strane” delle candelore, proprio in prossimità delle abitazioni di alcuni boss ristretti ai domiciliari.
Sulle infiltrazioni mafiose nel Circolo monsignor Scionti ha risposto che «non siamo qui per cacciare la persone, non possiamo chiedere il certificato penale a chiunque chieda di entrare in un’associazione religiosa. La Chiesa non può imporre questi limiti, ma siamo chiamati a pronunciarci affinché i suoi membri siano dei buoni cittadini, rinnovando le coscienze e fissando delle regole che ci impegneremo a far rispettare».
Ma, forse memore delle foto che ritraggono Nino Santapaola e Enzo Mangion vicini al fercolo della santa, monsignor Gristina, vescovo della Diocesi di Catania, ha infatti sottolineato di non voler vedere più “mafia vicino alla vara”, cioè ai resti sacri della martire.
Da tre anni un insieme di associazioni, tra cui Addiopizzo, Libera e la Fondazione Fava, hanno dato vita al “comitato per la legalità nella festa di sant’Agata” chiedendo sempre più maggiore attenzione a Chiesa e Comune in merito alle contaminazioni nei festeggiamenti. Se da un lato il comitato, come spiega Nunzio Famoso, preside della facoltà di Lingue etnea, ha apprezzato la netta presa di posizione della Chiesa, dall’altro chiede di più al Comune.
Uno dei più grandi problemi è determinato dalla cera che dopo la festa copre tutte le strade cittadine. Infatti molti devoti portano sulle spalle grossi ceri, di oltre cento chili, in segno di devozione. Proprio per la cera il giovane Andrea Capuano scivolò pochi giorni dopo i festeggiamenti, nel 2010, dal suo motorino e morì tragicamente.
Già dall’anno scorso un’ordinanza del Comune, per molti versi non rispettata, aveva imposto l’accensione dei ceri solo in alcune aree delimitate. Quest’anno è andata meglio, con molte persone che riversavano la cera sui muri e non in strada, anche se il Comune si è attrezzato ugualmente con 250 tonnellate di segatura. E i costi relativi all’anno scorso per la pulizia delle strade superarono i 100mila euro, nonostante l’ordinanza.
Il comitato chiede a gran voce un regolamento della festa, che di fatto non è mai esistito, criteri certi per i tempi della processione e maggiori controlli sull’accensione dei fuochi d’artificio. Così tra sacro e profano, tra legale e illegale, oggi si avvia alla conclusione la tre giorni di festeggiamenti. La speranza del comitato è quella di arrivare alla prossima festa con un decalogo di regole già codificato dall’amministrazione comunale.