Portineria MilanoTangentopoli, dopo 20 anni Milano si divide come allo stadio

Tangentopoli, dopo 20 anni Milano si divide come allo stadio

C’è una parte della storia di Tangentopoli che passa quasi inosservata a vent’anni di distanza dall’arresto di Mario Chiesa al Pio Albergo Trivulzio. E che contribuisce a creare ombre e veleni sull’evento che ha sepolto la prima repubblica italiana. È quella dei 43 suicidi tra politici, imprenditori o dirigenti di azienda che tra 1992 e il 1994 furono raggiunti da un avviso di garanzia o citati sui quotidiani come presunti «mariuoli». Ma è soprattutto quella del  filone che portava alle tangenti rosse del Partito Comunista, di cui il pool di Mani Pulite decise di affidare le chiavi a Tiziana Parenti. «Proprio a me, che avevo la tessera del Pci da tanti anni…», ammette l’ex magistrato durante una semideserta conferenza stampa a Milano all’Hotel dei Cavalieri, insieme con l’ex avvocato di Craxi Michele Saponara, Tiziana Maiolo e il giornalista Paolo Liguori.

In questa giornata di celebrazione e festa per il leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Piero al teatro Elfo Puccini insieme con il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, tutto esaurito, Titti la rossa mette il dito nella piaga di quegli anni creando una specie di confronto a distanza con gli ex colleghi del pool. Li smentisce sulle ricostruzioni date in questi giorni («C’era la copertura politica da parte del Pci»). E ribalta il ricordo che in questi giorni viene messo nero su bianco su diversi settimanali o quotidiani. «Il problema di Tangentopoli fu soprattutto la mancanza di credibilità che avevano i magistrati. Io lo dissi a D’Ambrosio: non ci serve l’aiuto dei giornali, i magistrati devono svolgere il loro lavoro e basta». Proprio D’Ambrosio ieri ha rilasciato un’intervista al Messaggero dove ha sostenuto invece che le accuse di politicizzazione del pool arrivarono «perchè noi non guardavamo in faccia nessunno». Stesso discorso fatto anche da Di Pietro che durante le celebrazioni all’Elfo ha detto di aver fatto «il suo dovere».

Discorso che invece stride con quello dei protagonisti dell’Hotel dei Cavalieri, che hanno puntato il dito proprio sulla strategia «chirurgica dei pm che cancellarono solo una parte della politica italiana, sperando di portare la sinistra al governo. Cosa che non successe grazie all’avvento di Berlusconi».  Del resto, la Parenti racconta nel dettaglio di quando arrivò al palazzo di Giustizia di Milano. «Mi chiamò Minale perchè avevamo lavorato assieme in Corte d’Assise. Non capii il perchè di questa richiesta in un primo momento, anche perchè non mi sembrava di avere un curriculum da inquirente. Mi affidarono il caso di Primo Greganti e delle tangenti rosse. Il plico lo trovai sotto la scrivania di Di Pietro. Credo che nessuno l’avesse mai letto». Passa il tempo, la Parenti indaga, ma un certo punto iniziano a incalzarla sulla scarcerazione del compagno G. «Mi chiesero di togliergli la custodia cautelare. Anzi, mi dissero pure che sarei stata ricompensata…Allora capii il perchè di quella chiamata nel pool: avevo un passato comunista e potevo dare una mano alla causa».

Titti la rossa se lo domanda più volte durante la conferenza stampa. «Io quelle indagini le ho portate avanti. Chiesi anche una rogatoria alla Germania dell’Est perchè molti soldi arrivavano da lì. Le carte ci sono ancora, ma le hanno abbandonate». Le inchieste sulla Milano Serravalle che hanno travolto il Partito Democratico di Milano con l’ex presidente della provincia di Milano Filippo Penati la scorsa estate non l’hanno smossa più di tanto. «La tangente di Greganti arrivava da Marcellino Gavio…Sono storie che si conoscono da anni, ma su cui i quotidiani e una parte della magistratura non hanno mai voluto approfondire. Poi, nel momento del bisogno saltano fuori».

È proprio il sodalizio tra stampa e magistratura quello che provocato il maggior disgusto nell’ex pm di Mani Pulite. «Ricordo i corridoi del palazzo Giustizia invasi dai giornalisti. C’erano bottigliette per terra, cartacce, un caos incredibile, che a volte noi che ci occupavamo anche di altro facevamo fatica a muoverci. Sembrava di stare allo stadio. Era qualcosa di tremendo per una persona come me che voleva solo fare il magistrato e credeva nella magistratura». Secondo la Maiolo, che ha appena pubblicato un libro per Rubbettino, «giornalisti e pm si mettevano d’accordo per chi arrestare. Era tutto organizzato». Titti la rossa non ce l’ha con i quotidiani. «In questi giorni ho visto sull’Espresso una foto del pool con Ilda Boccassini. All’epoca lei non c’era neppure, se la storia non viene raccontata com’è, l’Italia non capirà mai dai suoi errori». 

Milano, del resto, non è mai stata così divisa come in questi giorni di ricordo dell’arresto di Mario Chiesa al Pio Albergo Trivulzio. Mentre Di Pietro all’Elfo Puccini ricordava la «metastasi» della politica italiana mentre allora si parlava di tumore, Stefania Craxi dall’altro lato della città ricordava invece il discorso del padre Bettino in parlamento. «Craxi, nel discorso del 3 luglio 1992, chiese la responsabilità politica a tutti i partiti di dare una morte politica alla prima Repubblica, di porre un rimedio a quella degenerazione, a quel problema di moralizzazione della vita pubblica che si era creato seguì un vile silenzio. Venticinquemila avvisi di garanzia hanno prodotto 4mila processi e qualche centinaio di condanna». E poi, rispetto all’evento al Puccini dice: «Non doveva essere fatto».

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