Phnom Penh (CAMBOGIA) – Il circo della politica internazionale, dopo il vertice di Seoul sulla politica nucleare e quello di Delhi dei Brics, si sposta nei prossimi giorni verso l’Asia del Sudest, prima in Birmania (Myanmar) per le elezioni supplettive e poi in Cambogia per il primo dei due vertici annuali dell’Asean, l’Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale.
Ad un anno dal discorso inaugurale di Thein Sein, in cui il nuovo Presidente – ma anche ex-generale e Primo Ministro della giunta dal 2007 al 2011 – ha annunciato un vasto processo di riforme, il ritmo della transizione ha sorpreso molti osservatori e soprattutto ha reso la Birmania uno dei paesi più gettonati dalla diplomazia internazionale. Dopo Hillary Clinton a dicembre, è stato il turno di Alain Juppé e William Hague, che vi si sono resi insieme a gennaio, del commissario europeo allo sviluppo Andris Piebalgs e del ministro tedesco per la Cooperazione Dirk Niebel. La visita di Ban Ki-moon è attesa per aprile.
Il presidente birmano Thein Sein sembra avere convinto tutti che il suo programma di riforme politiche ed economiche e di miglioramento dei diritti umani è serio e che vale la pena dargli fiducia e guardare avanti, senza attardarsi a giudicare l’esperienza della lunga dittatura militare di cui pure è stato uno degli esponenti. Centinaia di prigionieri politici sono stati liberati, una nuova legge è stata approvata per consentire l’attività sindacale e un’amnistia generale potrebbe presto essere approvata. Anche se non è stata fissata ancora una data, le autorità sono pronti ad abbandonare l’assurda parità artificiale del kyat, 6,4 per dollaro quando il valore di mercato è superiore a 800. Soprattutto, Thein Sein ha convinto Aung San Suu Kyi, che aveva disposto il boicotaggio da parte dell’opposizione delle elezioni del 2010 e che si prepara ora ad entrare in Parlamento, dopo il voto del primo aprile, e forse anche nel governo.
Il governo di ex militari ha abbracciato le riforme per vari motivi. La Birmania è circondata da paesi che stanno rapidamente sviluppandosi, più rapidamente la Thailandia, ancora con gravi problemi di povertà quelli del Mekong. Tentennare ancora avrebbe escluso 60 milioni di birmani da una dinamica che sembra inarrestabile, tanto più perché l’Asean si avvia ad accelerare il proprio programma d’integrazione con la realizzazione dell’Asean Economic Initiative nel 2015. Che la Birmania rimanga più chiusa che i suoi vicini non vuol dire certo che non siano aumentati gli scambi e gli investimenti esteri. Dei 40 miliardi di dollari arrivati nel periodo 1988-2011, metà corrispondono ad investimenti da Cina e Hong Kong. Ma questa crescente dipendenza preoccupa una parte dell’elite, che vuole invece trarre beneficio dalla localizzazione strategica del paese e dall’interesse che altri partner – come India, Giappone, Europa, Stati Uniti, Singapore, Thailandia, Malesia e finanche Vietnam – hanno nelle risorse naturali della Birmania.
Negli ultimi mesi è diventato un vero e proprio incubo trovare un posto nei pochi voli che collegano Rangoon al mondo, tanto numerosi sono i businessmen che stanno prospettando le opportunità d’investimento. Il ministro dell’Industria U Soe Thane è andato a Davos, of all places, per annunciare l’imminente emanazione di una nuova legge sugli investimenti esteri, che prevede un’esenzione fiscale per otto anni. Banca Asiatica di Sviluppo, Undp, Banca Mondiale e Fondo Monetario sono pronti a iniziare la propria assistanza tecnica appena verranno sospese le sanzioni. Ce ne sarà bisogno perché la Birmania ha accumulato un grande ritardo, sia negli indicatori di sviluppo, sia nel consolidamento delle istituzioni. Basti pensare all’esiguità delle risorse destinate alla sanità pubblica (appena 11 milioni di dollari nel 2012!), oppure alla decisione di lanciare mega progetti come il porto di Dawei e la centrale idroelettrica a Kachin senza realizzare studi di impatto ambientale e consultare la popolazione locale.
Ovviamente la resistenza al cambiamento è diffusa. In mezzo secolo di regime sono molti gli interessi economici che hanno prosperato grazie all’opacità delle regole, alle restrizioni al commercio e anche alle sanzioni internazionali. Lunedì scorso, come racconta Le Monde, la censura ha vietato la pubblicazione di un articolo in cui l’astrologo San Zarni Bo prevedeva che la libertà di stampa non verrà instaurata quest’anno – raramente profezia è stata meglio azzeccata! Proprio il giorno in cui il governo, in un incontro organizzato con l’Unesco sullo sviluppo dei media, ripeteva le promesse di un rapido miglioramento della situazione. Stesse contraddizioni per quanto riguarda il processo elettorale. Il governo ha invitato un gruppo ridotto di osservatori governativi dei paesi dell’Asean, ma ha negato il visto a quelli indipendenti raccolti nel Anfrel (Asian Network for Free Elections). E ha ostacolato in vari modi la propaganda della National League for Democracy di Aung San.
Un’ulteriore e drammatica criticità sono le azioni commesse dalle forze armate nel conflitto che le oppone a diversi movimenti di autodeterminazione. Con l’eccezione di un breve cessate il fuoco negli anni 90, in pratica la Birmania è ininterrottamente in guerra con le proprie minoranze dal 1948, quando ottenne l’indipendenza. Thein Sein ha saputo convincere i principali gruppi armati a realizzare una conferenza nazionale per cercare una soluzione politica alle divisioni etniche, ma in sordina i militari cercano di boicottare questi sforzi, prendendo di mira soprattutto la Kachin Independence Organisation.
Il 3-4 aprile Phnom Penh accoglierà i leader della regione e ovviamente la situazione birmana sarà uno dei principali temi di discussione, soprattutto perché l’Asean ha già assegnato la presidenza per il 2014 al governo di Naypyitaw, la nuova capitale costruita nella giungla dalla giunta militare. A febbraio Thein Sein ha invitato per la prima volta il Segretario Generale dell’Asean, Surin Pitsuwan, per un incontro bilaterale. Ma non sarà l’unico tema all’ordine del giorno. Ovviamente si parlerà della crisi europea e delle incerte prospettive dell’economia mondiale, visto che il Sudest asiatico rimane fortemente dipendente dalle esportazioni e non si è ancora pienamente ripreso dallo shock del 2008-09. Non è chiaro in compenso se la situazione del mare della Cina meridionale, dove la prospettiva di enormi ricchezze petrolifere attizza gli appetiti di molti paesi, sarà all’ordine del giorno. Lo hanno chiesto Brunei, Filippine, Indonesia, Malesia, Thailandia e Vietnam, ma la Cambogia sembra opporvisi, per timore di contrariare i cinesi. Pechino infatti preferisce le discussioni bilaterali, vede con sospetto il dialogo regionale e soprattutto si oppone risolutamente all’ipotesi di una deriva multilaterale, che aprirebbe la strada all’intervento diplomatico di americani e indiani.
E l’Italia? Che questo sia un governo ben più attento alle nuove dinamiche dell’economia globale che quello precedente lo mostra la lunga missione asiatica di Mario Monti e lo conferma la decisione della Farnesina di tenere la settimana scorsa il primo Asean Awareness Forum, cui hanno partecipato Surin Pitsuwan e lo Sherpa cambogiano, Sok Siphana. Ma certo la presenza tricolore sul campo è scarsa. In Cambogia per esempio sono poche dozzine gli italiani, senza rappresentanza diplomatica, mentre i tedeschi sono varie centinaia e francesi e inglesi qualche migliaia. Italiani che lavorano in multinazionali, in organizzazioni internazionali, in ong italiane e straniere. Uno dei brand locali più innovativi, Smateria, è frutto del senso imprenditoriale italico e si esporta in Australia. A Phnom Penh è pure possibile mangiare un’ottima pizza, cotta da un pizzaiolo napoletano recentemente assunto su Internet che utilizza mozzarella locale prodotta da un altro connazionale, che si favoleggia produca anche una porchetta degna di Ariccia! Anche i clienti del ristorante Bella Italia sperano però che non siano vere le voci che danno come imminente la chiusura dell’Ambasciata in Birmania.