«Siae: si scrive Società degli Autori e degli Editori, si legge Sistema di Difesa di Privilegi Consolidati». Ha le idee chiare, chiarissime, Umberto Palazzo, quarantottenne cantante e chitarrista pescarese, membro fondatore dei Massimo Volume e anima del progetto Il Santo Niente, una delle band più influenti dell’alternative rock nostrano. Da un po’ di tempo a questa parte, Palazzo ha deciso di intraprendere una carriera parallela, quella di difensore dei diritti perduti dei musicisti italiani. Una battaglia nata e proseguita su Facebook, dove la sua pagina personale è diventata ormai una sorta di agorà in cui si dibatte sulle sorti della musica nello Stivale.
Tutto ha avuto inizio lo scorso 13 febbraio, quando Palazzo ha avanzato la proposta di una class action contro la Siae, società che in Italia detiene il monopolio della gestione dei diritti d’autore per i musicisti. In una nota sul social network, Palazzo denunciava la presenza in seno alla società di «un meccanismo chiaramente iniquo, che costituisce un arricchimento senza causa dei soci maggiori e dei loro editori, costituiti da gruppi economici potentissimi». Secondo Palazzo, la stragrande maggioranza dei musicisti iscritti alla Siae non percepisce pressoché nulla per le canzoni che suona durante i live. I soldi che, almeno in teoria, spetterebbero al gruppo finiscono nelle tasche dei musicisti più affermati e conosciuti. E questo impoverirebbe ulteriormente i già esigui cachet delle band “minori” italiane. Palazzo ha toccato con mano questa situazione nel 2011: nonostante un gran numero di live in giro per la penisola per promuovere l’uscita del suo ultimo disco e malgrado la pubblicazione di una compilation-tributo alla carriera del Santo Niente, «l’anno scorso ho pagato 180 euro di iscrizione alla Siae e, tra diritti di concerti e dischi venduti, ne ho incassati all’incirca 350 totali».
Palazzo racconta a Linkiesta la sua esperienza diretta. «Nell’ultima settimana ho suonato a Milano, Bologna, Fiorenzuola, Carpi. Quattro live in piccoli locali, con un pubblico tra le 80 e le 100 persone. In eventi di queste dimensioni, che la Siae definisce “concertini” (e che rispondono a determinati requisiti tecnico-logistici), il gestore del locale deve versare una quota agli autori dei brani eseguiti live durante la serata. Tocca a chi suona dichiarare quali sono i brani eseguiti in un documento apposito, il borderò, in modo che gli autori dei brani ricevano i compensi che gli spettano per l’esecuzione delle loro opere. «Il problema è che questi fogli non vengono quasi mai analizzati», accusa Palazzo. «Nel 75% dei casi i borderò vengono pagati con un sistema “a campionamento”: ogni anno, gli suoi ispettori Siae partecipano a 500 serate in cui prendono nota dei pezzi più suonati, quindi quelli più famosi, quelli che il funzionario conosce. Solo per quei brani la Siae versa effettivamente i diritti, a tutti gli altri invece non viene in tasca nulla».
Con queste premesse, sostiene Palazzo, i compositori minori non vedrebbero mai i frutti della propria arte, dal momento che i “concertini” rappresentano il palcoscenico standard per tutte le band non famose. «Quello vigente è, in generale, un meccanismo che penalizza tantissimo gli artisti che suonano le proprie canzoni. I profitti vanno sempre agli stessi, i cosiddetti “big”. La Siae non legge nemmeno più la maggior parte dei borderò, è il caso a decidere di quali serate vengono pagati i diritti. Questo deve cambiare: suonare dal vivo per fare arricchire ancora di più Zucchero, Ligabue and company è un’ingiustizia che ci tocca tutti personalmente e che ritengo non essere più tollerabile».
Ad essere pesantemente colpiti sono dunque i piccoli artisti, vittime di un circolo vizioso. Prendiamo l’esempio più semplice, quello di un cantautore che suona i suoi brani. Il locale sottrae una cifra attorno ai 70 euro dal suo cachet per pagare i diritti della serata alla Siae: fino a qui tutto normale. Il problema è che questi soldi, anziché rientrare nelle tasche dell’artista-autore, denuncia Palazzo, finiscono in una sorta di «calderone» i cui proventi vengono spartiti tra i «soliti noti». La situazione che si crea «è paradossale: l’autore coincide col musicista che è sul palco, ma, grazie al meccanismo a campionamento, quei soldi che già svaniscono dal suo cachet non vanno a lui, ma in parte alla stessa Siae, in parte agli autori dei grandi successi più suonati dal vivo in Italia. In breve: tu componi e suoni dal vivo ciò che hai composto, Vasco Rossi incassa».
Le conseguenze economiche di questa situazione non fanno altro che affossare ancora di più i bilanci degli artisti, togliendo ulteriore ossigeno alla già difficile situazione della musica italiana. Per Palazzo è, soprattutto, un’occasione persa: «Se un autore facesse in un anno 50 concertini e da ognuno di essi ricevesse anche solo 30 euro di diritti d’autore o d’incremento di cachet, a fine anno si ritroverebbe 1500 euro in più in tasca. Moltiplicate questa somma per tutti i concertini non di cover che si fanno in Italia e avrete un’idea del mare di soldi che viene sottratto alla creatività seria e onesta e, più in generale, alla musica e alla cultura».
Di qui l’idea di avviare una class action «per chiedere alla società di cambiare le regole e per sensibilizzare l’opinione pubblica a riguardo», spiega il frontman del Santo Niente. Grazie al passaparola su Facebook – dove è stata aperta anche una pagina di sostegno all’iniziativa – e all’interessamento di numerosi blog e testate, l’iniziativa ha raccolto molte adesioni. Diversi artisti si sono schierati al fianco di Palazzo, tra di loro anche componenti dei Marta sui Tubi e degli Zen Circus. L’eco della class action ha raggiunto infine gli uffici di Via della Letteratura a Roma, sede della Siae. Che il 15 marzo ha risposto sul proprio sito con un lungo comunicato intitolato “Siae: legittimi i criteri di ripartizione e rilevazione della musica” (leggi testo integrale).
La società non ha smentito i metodi di analisi dei borderò contestati da Palazzo: «Sotto il profilo tecnico-statistico i campioni in questione sono costituiti da registrazioni dirette delle esecuzioni sul territorio nazionale e da programmi musicali compilati dagli stessi esecutori, estratti in base ad algoritmi di scelta casuale», si legge nel comunicato. La società però non ritiene che questi metodi penalizzino gli autori: «Nel caso dei concertini, per la quale la tecnologia di riconoscimento informatico non è utilizzabile, vengono adottate metodologie di identificazione interamente “manuali” e tuttavia accuratissime che, utilizzando tutte le fonti disponibili (database interni, esterni, documenti sonori, partiture, ecc.) consentono di identificare, mediamente il 97% dei brani rilevati». L’istituzione spiega che simili sistemi di ripartizione “a campione” sono adottati da tutte le Società di Autori del mondo «e non costituiscono certo una invenzione o prerogativa della sola Siae».
Nella giornata di ieri, Palazzo ha controreplicato al comunicato della Società. «Quello che è sempre mancato, sta mancando e probabilmente continuerà a mancare sempre, da parte della Siae, è la trasparenza. Non è possibile consultare nessun dato sul numero complessivo dei borderò, sugli incassi, sul luogo e le modalità di rilevamento e soprattutto sui beneficiari dei campionamenti. Basterebbe che ci dicessero a chi vanno effetivamente quei soldi, se sono così sicuri dei loro metodi di rilevazione. Rendete pubblici i dati, lasciateceli analizzare. Ma soprattutto verificate i nostri borderò, quelli con le canzoni che suoniamo, non quelli presi a campione».
Per il musicista, poi, la Siae sottovaluta l’incidenza dei concertini. «A leggere il comunicato, sembra che i concertini siano la minima parte degli eventi musicali in Italia, praticamente solo le esibizioni di piano bar. La realtà è un’altra: i cosiddetti “concertini” sono la maggioranza assoluta, perché è in quella categoria che rientrano tutti gli eventi minori che si svolgono nei bar, nei club, nei centri culturali. Secondo i dati di cui dispongo i concertini sono 28mila l’anno, i cinque sesti della produzione live dal Paese. In pratica, sono la vera ossatura artistica della musica italiana». Per questo Palazzo è intenzionato ad andare avanti con la protesta: «Non ho la pretesa di abbattere la Siae e ricostruirla da zero, mi piacerebbe solo ci fossero un po’ più di chiarezza e metodi più equi. Più della class action in sé, conta che se ne parli. Per questo non ho fretta… continuerò questa battaglia fino in fondo, anche se ci dovessero volere anni».