Temo che al Vernacoliere la riunione quotidiana del giornale oggi sarà problematica. Forse anche scomposta, finirà a sediate in testa, al grido di «io te l’avevo detto», accusa imeritevole e definitiva che dovrebbe accompagnare alla fossa le residue speranze della satira. Oggi, infatti, è il giorno zero per la Signora Satira. Ma domani non sarà il giorno uno, sarà il meno uno e via così sempre con il segno negativo, sprofondando in un crepaccio senza ritorno. Sì certo, poi al Vernacoliere tenteranno di buttarla in vacca comunque, proviamoci ancora, reagirà il redattore più giovane e meno scafato dagli altri, il direttore tenterà anche un titolone di prima, ma poi si dovrà arrendere alla durissima realtà. «Non c’è un cazzo da fare», sarà la sua ragionevole e melanconica sentenza.
Cos’altro devi produrre, del resto, se poche ore prima, fresco come il pescetto appena pescato, avevi tirato su dai giornali «normali» questa notizia: «Emilio Fede e i soldi rifiutati dalla Svizzera, vuole depositare due milioni e mezzo in contanti, ma la banca rifiuta: provenienza sospetta». Cosa devi fare, se tutti i giorni, ad uso del popolino, cerchi qualche spunto, tra una sobrietà e l’altra, per buttare un po’ di sale sulle ferite italiane, che fai, ti ammazzi? Stamattina, facciamo pure il giro delle sette chiese a religione ironica del Paese, dovremmo ragionevolmente trovare impiccati, Vauro, Vincino, la Guzzanti, tutta la banda Dandini, e via e via e via.
È storia memorabile, come sono sempre memorabili le cose della cronaca vera, quella che spunta dalla placida Svizzera, ma che purtroppo porta con sé le conseguenze del caso. Sull’ironia e la satira s’è detto, perché, dai ragazzi, neppure il più fantasioso degli sceneggiatori, neppure il più cazzone dei cinepanettoni, avrebbe mai potuto proporre un’idea del genere: «Allora, facciamo che Emilio Fede si presenta a Lugano con una valigetta piena zeppa di grana, più o meno due milioni e mezzo di euro in contanti, e che però il direttore della Banca, il dottor Gervasoni, gli dica: ehm ehm, guardi direttore ci sarebbe un problemino…» Ma chi poteva mai avere il coraggio dell’inaudito?
Solo che questa storia ha anche una sua morale altra. Che comprende Berlusconi e, in fondo, lo assolve, anche se in modo surrettizio. Nel senso che l’episodiuccio supergustoso (moralmente valutatelo voi), è sì l’Elemento Finale del berlusconismo – cos’altro ci dev’essere ancora e di più? – ma riesce a spostare il centro del problema sugli improbabili replicanti, macchiette di un regime che ormai si è completamente sfaldato, clown dalla valigetta facile che girano per mete furbe e da queste addirittura respinti.
l Cavaliere un bel giorno si è sottratto a tutto ciò, lo ha capito un attimo prima di sprofondare per sempre, inghiottito dalla sua incontinenza sessuale e dall’ipotesi del tutto fragile d’essere ancora unico e solo sul mercato politico. L’esercizio di pazienza con cui ha accettato l’arrivo di Monti sta per lo meno dando i suoi frutti modesti ma sinceri, si è riparato dietro la sobrietà del Professore, sembra opporre (vedremo se durerà, ma l’età avanza) una vita personale del tutto decorosa, il reparto Olgettine appare momentaneamente «in sonno», è il dietro le quinte di un uomo certamente sconfitto per la parte trionfalistica di sé, ma a cui resta una speranziella nel domani. Se proprio non vogliamo dire che è stato intelligente, dobbiamo almeno ammettere che è stato furbo. Ciò che non pare Emilio Fede, insomma.
Accadde anche a Craxi, poi le conclusioni furono assai diverse. Accadde che i suoi replicanti, con il leader in difficoltà, facessero strame d’ogni decenza, rubando a man bassa in nome e per conto del Capo. Il quale avrebbe potuto forse salvarsi, se avesse capito in tempo che lasciare il proscenio agli ingordi gli avrebbe almeno valso il titolo di morigerato. Ma morigerato poi non fu neppure lui, per cui possiamo dire, almeno una volta, che il figlioccio Silvio è stato decisamente (e politicamente) più sveglio del padre Bettino?