Le prime elezioni degne di nota, dopo la nascita del Governo Monti, non sono le elezioni amministrative di maggio, ma quelle che si svolgono da oggi al 7 marzo per eleggere le rappresentanze sindacali unitarie nel pubblico impiego, le cosidette Rsu. Per il Governo, si tratta di elezioni importanti; per certi aspetti, più del fatto in sé.
Due sono le ragioni principali. Perché costituiscono il primo “test” di impatto intorno alle proposte del Governo in discussione riguardo alla riforma del mercato del lavoro, ossia uno dei tre pilastri principali che hanno portato alla nascita del Governo Monti (gli altri due sono la riforma delle pensioni e il riassetto e il rilancio dell’economia di fronte alla crisi). E perché, il loro esito determinerà, in buona parte, il posizionamento sindacale che poi consentirà di dare (o meno) alla luce quella riforma del mercato del lavoro, essenziale nel nostro Paese.
Eppure, nonostante siano chiamati al voto circa 3 milioni di lavoratori del pubblico impiego (quelli di scuola, Stato, parastato e sanità), tutto tace. La grande stampa ne ha dato pochissima evidenza (ho contato meno di 10 articoli negli ultimi due mesi); i media televisivi si può dire che non conoscono il tema; su internet, ne danno conto soltanto i siti specializzati.
Per essere chiari, il tema della democrazia sindacale sembra essere il grande assente nel dibattito pubblico. Un fatto grave -e molto- soprattutto se si considera che oggi, invece, il rilancio dell’economia passa innanzitutto nella riscoperta di un modo nuovo di fare sindacato, innanzitutto nel pubblico impiego.
D’altronde, è ormai convinzione diffusa che è tempo di realizzare un pubblico diverso dall’attuale: meno pesante, più trasparente, più accountable. Un pubblico, più civico: perché attento innanzitutto al cittadino; perché considera la spending review, la valutazione e la trasparenza meritocratica, regole e non eccezioni; perché scatena nei suoi dipendenti un fattore di vanto e di orgoglio e non una spinta al vivacchiare parassitario, di cui socialmente vergognarsi.
I corporativismi da abbattere, quindi, sono tanti.
Prendiamone uno per tutti: saranno le nuove Rsu del pubblico impiego disponibili ad applicare e a far applicare integralmente le regole privatistiche del diritto del lavoro (dalla costituzione alla risoluzione del contratto di lavoro), proposte da Amato e Cassese all’inizio degli anni novanta, perfezionate da Bassanini e D’Antona alla fine degli anni novanta, e poi tuttavia mai più prese davvero sul serio?
Di sicuro (anche su questo) il Governo Monti non può tirarsi indietro, perché è nel suo mandato. Dunque non potrà fare come il Governo Berlusconi del 2001, che fece esentare il pubblico impiego dalla Riforma Biagi; o come il Governo Prodi del 2006, che rese in qualche modo “salvo” il pubblico impiego con il famoso memorandum del 2007; o, infine, come il Governo Berlusconi del 2008 che, con l’operazione della c.d. riforma Brunetta, ha sostanzialmente impantanato e bloccato l’intero settore.
E allora, torno a dire, saranno le nuove rappresentanze sindacali all’altezza di queste sfide? Saranno le gambe sulle quali potrà contare il Governo Monti per dare a questo Paese, oltre al resto, anche un settore pubblico di rango europeo?
Vedremo. Di sicuro, il cambiamento del (e nel) settore pubblico è ineludibile, anche in ragione, appunto, del mandato del Governo Monti. Per cui, comunque, sarà: hic Rhodus hic salta.
Ecco perché le elezioni prossime saranno tanto decisive. Sicché, come dire, badiamoci.
Articolo pubblicato originariamente venerdì 2 come post nel blog di Francesco Clementi con il titolo: “Le (prime) elezioni che contano per Monti”
Video di Fainotizia, il sito di inchiesta di Radio Radicale, sulla democrazia nella rappresentanza sindacale.