«Non mi piace il governo dei migliori». Giulio Tremonti, che da più parti è stato ormai definito «il più potente ministro della storia repubblicana»(copyright Peter Gomez), ritorna alle origini del socialismo, tra frecciate all’indirizzo di Karl Marx e citazioni dello «spirito» di Friedrich Hegel. L’ex ministro dell’Economia lo ha fatto presentando il suo libro «Uscita di Sicurezza» nella sede di Critica Sociale e dell’Avanti in via Formentini a Milano, spazio del vecchio Psi di Bettino Craxi, attaccando frontalmente il governo Monti come i suoi ex colleghi di centrodestra. Se non si tratta di una discesa in campo, di un «predellino» alla Berlusconi in sostanza, poco ci manca.
Perché Tremonti ha voluto sottolineare più volte la differenza, interna al centrodestra e centrosinistra, tra liberisti e non. Tra chi vuole mettere la «ragione al posto dello spread» e chi vuole lasciare ancora spazio «alla bisca della finanza». «Noi siamo di qua e loro di là», ha precisato il tributarista di Sondrio durante il suo intervento, quasi fosse pronto a una conta interna tra le forze politiche. «Aspetta di capire se si andrà a elezioni a ottobre», spiega una persona molto vicino all’ex numero uno di via XX Settembre. «Se così fosse, potrebbe sparigliare subito le carte, in caso contrario aspetterà il 2013». Ma il dado sembra tratto, anche se alcuni socialisti all’uscita dell’incontro non sembrano così convinti. Dice uno di loro: «Mi pare abbia parlato più da accademico che altro. E ricordiamoci che resta sempre uno che per 15 anni ha fatto il ministro di Silvio Berlusconi».
Nel giorno in cui il Popolo della Libertà festeggia i 18 anni di Forza Italia e la discesa in campo del Cavaliere, Tremonti stringe le mani agli ex sindaci socialisti Paolo Pillitteri, Carlo Tognoli e Piero Borghini, in prima fila per ascoltarlo. «Mi sento un po’ a casa», afferma tra le righe parlando del suo libro, incalzato dal giornalista Oscar Giannino sul rapporto tra gli stati e il mercato. E il ministro, che ancora adesso fa parte dell’ufficio di presidenza del Popolo della Libertà, ha proseguito nella sua filippica anti liberista, ormai nota dopo la partecipazione alla trasmissione Servizio Pubblico di Michele Santoro. Critica la manovra del governo («è sbagliata»), marca le differenze «con gli altri», «quelli che non vogliono mettere ordine al caos», ma per il momento sembra attendere l’evolversi degli eventi
D’altra parte, a fronte di questa sintonia con Rino Formica, ex ministro craxiano, Tremonti si è lasciato aperte diverse porte. Nel dietro le quinte di Critica Sociale, gli spifferi suggeriscono che sia ancora in attesa di prendere una posizione netta. Forse sta attendendo la discussione sull’articolo 18 a livello di governo, con il direttore di Liberto Maurizio Belpietro che giusto ieri titolava, «si vota a ottobre», pronosticando una caduta dell’esecutivo per mano del Pd di Pierluigi Bersani. L’idea di Tremonti, a quanto pare, sarebbe quella di lanciare una nuova forza politica socialista con aperture pure verso il vecchio partito repubblicano.
Insomma, sul punto più importante, quello di nuove iniziative politiche, che tutti un po’ attendevano in via Formentini, Tremonti prende tempo. Certo, ora il manifesto politico c’è, ma lo schieramento appare ancora vago. Del resto, c’è sempre il leader della Lega Nord Umberto Bossi che lo vorrebbe dentro il suo movimento. Ma l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni, uno che tra due mesi dopo i congressi nazionali sarà ancora più potente in via Bellerio, ha già posto più di un veto. E un barbaro sognante alla sola idea di consegnargli a tessera del Carroccio si mette a ridere e fa una battuta: «È meglio che continui a presentare libri….».
Fa comunque impressione come a distanza di pochi mesi, dell’asse del Nord sia rimasto poco o nulla. Nel giorno in cui Berlusconi festeggiava la sua discesa in politica, Bossi si attovagliava «scocciato», a detta dei suoi, in una pizzeria del suo quartier generale Gemonio, per un incontro tra Bobo e i militanti, organizzato per di più dopo la celebre fatwa anti-maroniana di gennaio. In fin dei conti, delle cene di Arcore o di quelle di Calalzo di Cadore non si ricorda più nessuno.