Torino. Corso Marche ha il passo svelto della periferia. Una lunga arteria di scorrimento, anonima come tante, che dovrebbe diventare un nodo residenziale della Torino del futuro. Strade (forse il raccordo urbano della Tav), verde e palazzi al posto dell’area industriale Alenia. Attualmente però, al numero 41, smantellate le officine, ci lavorano ancora 1500 dipendenti, quasi tutti impiegati: il cervello dell’aeronautica militare. È una sede storica, centenaria (fondata nel 1916), prima col marchio Pomilio, poi Ansaldo, Fiat, Aeritalia e, infine, Alenia Aeronautica (dal primo gennaio ribattezzata Alenia Aermacchi), controllata da Finmeccanica.
Il 22 marzo scorso, dai suoi cancelli, sono usciti 800 colletti bianchi e hanno bloccato corso Francia «per protestare contro la riforma del mercato del lavoro e l’attacco all’articolo 18 del ministro del Welfare Elsa Fornero». Ministro che, lunedì, i lavoratori incontreranno a Caselle dove, entro il 2014, dovrebbero essere trasferiti accanto all’area produttiva dell’Alenia – a due passi dall’aeroporto internazionale – che impiega altre 1800 persone. In particolare, lavorano su due progetti: il C27J, un aereo militare da trasporto, e il miglior caccia multiruolo europeo l’Eurofighter Thyphoon (abbreviato in “Efa”), un po’ in crisi: ha diminuito i volumi iniziali, 53 velivoli nel 2011, 40 nel 2012. L’appuntamento è alle 9 nello stabilimento di Caselle Sud, strada per Malanghero. Il clima non è dei migliori, considerato che oggi, in corso D’Azeglio, davanti al Teatro Nuovo, è andata in scena una forte contestazione alla ministra Fornero con lancio di uova da parte di studenti e cariche della polizia.
Ma torniamo all’“evento Alenia”, capace di far saltare i tasselli nel quadro delle relazioni tra governo e sindacati. Di proporre insolite alleanze. Da una parte, Fornero e Fiom, che all’Alenia ha la maggioranza tra le Rsu (oltre il 60%) e ha sostenuto l’invito che 1300 lavoratori hanno rivolto, attraverso una petizione, al ministro, chiedendo di partecipare all’assemblea per confrontarsi sulla riforma. Dall’altra Cgil e Cisl imbufalite e scavalcate, con il segretario della Cgil Susanna Camusso, che sbotta contro il ministro: «Ci vedo della supponenza, una sorta di “vengo io che, così, gliela spiego la riforma”». E quello della Cisl, Raffaele Bonanni: «È molto bizzarro. È libera di fare quello che vuole però sostanza e forma sono importanti». «Non accettare sarebbe stato scortese» ha risposto Fornero. Ma Fim, Fismic e Ugl alzano le barricate: diserteranno l’incontro e saranno davanti ai cancelli.
Nell’organizzazione dell’assemblea di lunedì pesa anche l’abilità nel tessere relazioni sociali di Giorgio Airaudo, responsabile nazionale Fiat per la Fiom e già segretario torinese delle tute blu dal 2001 al 2010. Sulla Repubblica del 29 marzo lanciava una proposta: «Il ministro aveva confessato che lei sarebbe stata disposta a spiegare la manovra in un’assemblea di lavoratori e che i suoi consiglieri l’avevano dissuasa. La invitiamo noi a venire in fabbrica. Non solo a spiegare ma anche ad ascoltare qual è il punto di vista di chi rischia di perdere il lavoro per un’ingiustizia». Ipotizzava che potesse svolgersi «magari all’Alenia, un’azienda a capitale pubblico nella quale lavorano operai, impiegati, tecnici».
In realtà, non è la prima volta che Fornero partecipa a un’assemblea invitata dalla Fiom, capitò il 4 marzo del 2010, davvero altri tempi: l’attuale ministro del Welfare era vicepresidente della Compagnia di San Paolo e il collega Francesco Profumo era l’allora rettore del Politecnico di Torino, che ospitò il III congresso provinciale della Fiom.
Questa volta, però, si è alzato un polverone che intreccia macro, la ribalta nazionale, e micro, con toni tesissimi: Fim locale contro Fiom. I metalmeccanici della Cisl hanno addirittura minacciato azioni legali (secondo l’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori: “Non è stata concordata nessuna assemblea unitaria”); Airaudo definisce posizioni da «zitella isterica» quelle di Claudio Chiarle, leader Fim Torino, che, proprio all’Aeritalia, oggi Alenia, consolidò il suo impegno sindacale: «Penso che la Fiom si sia cacciata in una trappola – ha detto Chiarle – i lavoratori usciranno dall’assemblea con un senso di impotenza maggiore».
E se la maggioranza dei sindacati (compresa la minoranza di sinistra, Fiom di Cremaschi) è scontenta, l’azienda sembra, invece, felice dei riflettori puntati e della visita del ministro. D’altronde, l’Alenia è una società a partecipazione pubblica e non può che vedere di buon occhio un interesse del governo. La partecipazione statale dell’Alenia è uno dei motivi per cui il ministro l’ha scelta «per spiegare la riforma ai lavoratori». Poi, perché avrà un parterre – forse meno caldo che altrove ma qualificato – di operai specializzati, impiegati e ingegneri (che «pretendono di essere ascoltati, di non sorbirsi la lezione della professoressa e sono pronti a convincerla»). E, terzo, perché se un evento simile doveva avvenire, non poteva che succedere a Torino, sua città, dove con la Fiom locale aveva avuto, come economista esperta di previdenza, precedenti occasioni di incontro.
Con Mirafiori in costante crisi e il Lingotto pronto a recidere il cordone ombelicale con la città della Mole, l’Alenia, dopo il Politecnico e le Molinette, è una delle poche eccellenze rimaste. «Nella desertificazione industriale da media azienda che era, ora appare come grande» racconta Pier Paolo Calcagno, entrato in corso Marche nel 1976 e ora impiegato nella progettazione. Rsu Fiom e memoria storica, anche per passione di studioso della fabbrica. E in questo lembo di terra, che come un righello disegna gli angoli della periferia torinese, di storia ne è passata davvero tanta. Dall’ingegnere Pomilio a Finmeccanica, passando per la Fiat, l’Iri, il primo Tornado (sviluppato da Italia, Germania Ovest e Regno Unito) e anche per la guerra fredda, con tutti gli effetti collaterali. Come lo scandalo delle schedature Fiat, scoperto da un allora giovanissimo Raffaele Guariniello. E Fiat Aeronautica fu la fabbrica di Emilio Pugno, operaio e poi parlamentare del Pci, licenziato dall’azienda nel 1955.
Nel 1975 il controllo di Aeritalia divenne interamente pubblico perché Iri e Finmeccanica acquisirono la quota di capitale della Fiat. Ma – dopo le difficoltà dei primi anni ’90 – solo a metà decennio si realizzò il consolidamento di un polo aeronautico nazionale diviso tra Pomigliano d’Arco, aviazione civile, e Torino Caselle, velivoli militari. Per Torino fu una scelta fortunata: superò indenne e in piena salute il tracollo dell’aviazione dopo l’11 settembre fino all’attuale recessione, con la crisi dei debiti sovrani e i conseguenti tagli alla difesa. Un quadro ora complesso: commesse incerte, mobilità, cassa integrazione (esodati e precari stabilizzati dopo anni), a cui si aggiunge «lo scippo degli F35», i contestati e costosi cacciabombardieri Jsf della Lockheed Martin, che dovevano essere destinati a Caselle ma, grazie anche allo sponsor leghista che in Piemonte governa la Regione, sono stati traghettati sul sito militare di Cameri, nel novarese, culla del presidente Roberto Cota.
«L’F35 – commenta Calcagno – è la fine dell’industria aeronautica italiana ed europea. Siamo ridotti a meri subfornitori, solo assemblatori. Scompare la progettazione. Che idea è quella di un modello di difesa senza piani né progetti? Sì, perché gli ingegneri italiani venivano sistematicamente emarginati dalle riunioni negli Stati Uniti».
Intanto sale l’attesa per l’assemblea evento. Alla fine del turno, tra i lavoratori di corso Marche si discute. «Io – dice una donna – a Caselle vado di sicuro. È un modo per farci sentire in tutta Italia». «È un’occasione unica», aggiunge un collega. «Non penso che risolveremo chissà cosa, ma almeno potremo far presente al ministro il nostro punto di vista su tante questioni importanti e farle capire le nostre ragioni. Sull’articolo 18, per esempio, o sulle pensioni: loro dicono che bisogna pensare ai giovani, ma se dovrò lavorare fino a 70 anni, e me ne mancano ancora 40, chi sarà il giovane che prenderà il mio posto?». Qualcuno esprime dubbi e c’è anche chi a Caselle non andrà perché crede che «la passeggiata non sia necessaria». Altri, invece, nonostante il parere contrario del proprio sindacato di riferimento, sono favorevoli: «Potremmo avere delle risposte concrete». All’assemblea non potranno partecipare i giornalisti, l’esisto lo si scoprirà solo ai cancelli o alla conferenza stampa della Fiom, al termine dell’incontro.