Portineria Milano«Bossi ora è un pupazzo come voleva quel Giuda di Maroni».

«Bossi ora è un pupazzo come voleva quel Giuda di Maroni».

Il paragone più in voga tra i fedeli di Umberto Bossi nel giorno delle sue dimissioni da segretario federale è quello del Cristo in croce. Sarà la Pasqua in arrivo, sarà che Roberto Maroni viene raffigurato su un volantino come un «Giuda» (o anche come «Gianfranco Fini»), ma i bossiani di ferro, gli amici del cerchio magico, tengono a sottolinearlo più volte fuori dalla sede di via Bellerio. Anzi, se la prendono persino con le auto blu con i vetri oscurati in uscita, urlando «traditore» a un Maroni che invece si rivelerà Roberto Castelli. Alla fine c’è persino chi recita un versetto del Vangelo di Matteo. «Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’Uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo. Colui che mi tradisce è vicino». Nei prossimi giorni dalla Lombardia al Veneto ci si attrezza per mettere la bandiere della Lega a mezz’asta in segno di lutto.

Si chiude in questa cornice tra il mistico e il profano, più che altro barbaro e poco sognante, la parabola del Senatùr. Il fondatore della Lega Lombarda, il leader, il Capo, l’inimitabile Umberto Bossi si dimette da segretario e diventa presidente federale. «Un pupazzo da mostrare in piazza come voleva Maroni», dice Paola Goisis, deputato veneto e bossiana di ferro. Piangono le sciure arrivate in massa per sostenerlo. Si asciugano gli occhi le ragazze più giovani che tengono un cartellone con sopra scritto. «Umberto Bossi la Lega sei tu». 

«È un colpo al cuore», sibila una signora basita e pallida giunta da Venezia per l’occasione, mentre i fedelissimi Flavio Tremolada e  Marco Desiderati da Lesmo, appena diffusa la notizia delle dimissioni «irrevocabili», minacciano i giornalisti. «Non è vero. Tutte palle. Lo dite voi maroniani di merda». Ma invece è tutto scritto nero su bianco. Lo spiegherà un comunicato ufficiale del Carroccio a metà pomeriggio dove si spiega nel dettaglio che sarebbe stato lo stesso Bossi a presentare le dimissioni. Poi il consiglio federale le avrebbe respinte, ma alla fine le avrebbe accettate nominandolo presidente. Nominato un triumvirato con Maroni, Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago. Quest’ultima, veneta, ha l’obiettivo di calmare le acque nella Liga.

Nel dietro le quinte si dice che sia stata la moglie Manuela Marrone a convincerlo al grande passo. Le badilate di «letame» in arrivo dalle procure di Napoli, Milano e Reggio Calabria hanno fatto tremare i muri di Gemonio, più dei tanti barbari sognanti che gli avevano chiesto un passo indietro già da un anno a questa parte. Ha provato a resistere fino all’ultimo l’Umberto. Lo aveva detto più volte: «Finche vivo resterò a capo della Lega». Ma le carte sul figlio Renzo uscite in giornata, quelle sulla «badante» Rosi Mauro, quelle sull’altro figlio Riccardo con le segretarie sotto torchio in procura, l’hanno demolito.

«Me ne vado per il bene del movimento e per difendere la mia famiglia». Bossi ha annunciato le sue dimissioni prima di arrivare in via Bellerio, parlando con Maurizio Lucchi, giornalista dell’Ansa e suo grande amico. Nella sala lo ha detto quasi con le lacrime agli occhi. Poi l’abbraccio con Maroni e la promessa di Bobo che se vorrà ripresentarsi come segretario al congresso in autunno lui lo sosterrà. Finito il consiglio, si dice che il Senatùr abbia iniziato a scherzare, tirando persino su il morale delle truppe.

Ma c’è poco da ridere. Oltre alle inchieste che proseguono spedite, oggi è stato messo nel tritacarne pure il nuovo triumviro Calderoli, in Lega rischia di iniziare una guerra civile dagli esiti imprevedibili. Proprio la Goisis, da Padova, fuori dalla sede, urla che un «segretario federale lombardo non lo accetteremo mai». Incalza Bepi Covre, ex sindago di Oderzo. «Onore al guerriero Bossi che si è dimesso, dopo avere dato tantissimo al movimento, ma un triumvirato con due lombardi non mi rende felice: da domani però si volta pagina e inizia per la Lega una nuova primavera».

Per tutte la giornata in via Bellerio la tensione è stata alle stelle. Ha pianto persino Pino Babbini, ex autista di Bossi, arrivato con altri arzilli vecchietti per ricordare i bei tempi andati. Di quando la Lega era unita e senza Silvio Berlusconi. Di quando Francesco Belsito era solo un buttafuori di una discoteca di Genova e Renzo studiava alla Scuola Bosina di Varese. «Colpa della moglie, colpa della moglie», chiosa qualcuno. Ma poi a rincarare la dose ci sono sempre i bossiani di ferro. Non c’è Marco Reguzzoni, ma c’è in rappresentanza la sorella Paola. Ma è sempre la Goisis a far tremare i muri quando le si domanda se Flavio Tosi possa essere un buon segretario di partito. «Tosi non è un leghista, lo avete capito o no voi giornalisti».  

Un esperto di leghismo lo afferma senza troppi giri di parole. «Non sanno loro nemmeno cosa fare». Ma i prossimi mesi saranno fondamentali. Ci sono le elezioni amministrative. Ci sono i congressi in Veneto e Lombardia. C’è Pontida il 10 giugno. Cosa sarà il pratone sacro quest’anno? Bossi parlerà o toccherà ai triumviri? E poi ci sarà il congresso. Alcuni dentro il Carroccio la mettono così. «In questi mesi facciamo pulizia, togliamo tutti quelli che si sono approfittati del Capo dopo la malattia e poi lo ricandidiamo». Ma sarà dura. Tra i maroniani, se comunque si festeggia il passo indietro del Senatùr c’è un grosso rammarico. L’unica nota dolente della giornata è che Rosi Mauro, leader del Sinpa, non si è ancora dimessa. Non se n’è  parlato durante il consiglio. La moglie Manuela pare si sia opposta.