Portineria MilanoBossi riprende «i pantaloni» e caccia il Trota. Ora tocca a Formigoni?

Bossi riprende «i pantaloni» e caccia il Trota. Ora tocca a Formigoni?

Sacrificare il Trota per mettere alle strette il governatore Roberto Formigoni e far cadere la giunta di regione Lombardia. L’ex segretario della Lega Nord Umberto Bossi ha ancora qualcosa da dire sullo scacchiere della politica italiana. Solo il Senatùr, infatti, avrebbe potuto convincere il figlio Renzo, incalzato da tutto il movimento, al grande passo: rassegnare le dimissioni da consigliere regionale. E se il piccolo Bossi continua a ripetere di non essere stato «cosigliato» da nessuno, in realtà gli spifferi della casa di Gemonio raccontano una realtà molto diversa. La moglie Manuela Marrone, vero sponsor del Trota al Pirellone e punta di diamante del cerchio magico, ha provato fino all’ultimo a convincere il marito a desistere, ma non c’è stato nulla da fare. Lo stesso Renzino pare abbia puntato i piedi.

«Bossi si è ripreso i pantaloni», suggerisce un dirigente di via Bellerio che conferma quello che il nuovo triumviro Roberto Calderoli va ripetendo in queste ore: «Maroni e Bossi sono uniti, non ci sono correnti». Virgolettato che oltre a sedare la rabbia di una fetta di militanza contro l’ex ministro per la Semplificazione («Se ne stia al suo posto che è meglio» suggerisce un maroniano), conferma il via libera da parte del Senatùr alle pulizie volute da Bobo.

Sulla lista di proscrizione maroniana, dopo le dimissioni di Renzo, verrà stralciato domani quello della «badante» Rosi Mauro che lascerà la vicepresidenza del Senato ma resterà senatrice. Nei prossimi giorni dovrebbe cadere anche l’assessore regionale lombardo allo Sport Monica Rizzi, detta anche «Monica della Valcamonica», già indagata per dossieraggio illegale e una laurea fasulla. Il suo nome compare persino nelle indagini sull’ex tesoriere Francesco Belsito. Proprio quest’ultimo, parlando con la segretaria Dagrada, avrebbe confessato in un’intercettazione di aver consegnato alla Rizzi dei soldi per la campagna elettorale di Renzo. 

Del resto, che sarebbe finita in questo modo era ormai sicuro. Il Capo, come confermano alcuni suoi confidenti, è rimasto molto affranto da quando emerso in questi giorni dalle indagini e dalle ricostruzioni quotidiani. Le macchine, i dossier, la lauree false a Londra sul primogenito del secondo matrimonio, lo hanno amareggiato e imbestialito allo stesso tempo. E come un vecchio navigatore della politica italiana ha deciso di sacrificare una pedina nello scacchiere padano per tentare lo scacco matto agli ex alleati del Popolo della Libertà.

Le dimissioni del Trota, infatti, piombano come una mina nell’aula del grattacielo Pirelli. In una regione che è sotto la lente della magistratura mezza giunta, non c’è da stare allegri quando uno dei pochi a non aver ricevuto (ancora) avvisi di garanzia decide di lasciare. Tremano in queste ore l’igienista dentale del Pdl Nicole Minetti, coinvolta nello scandalo Ruby. Ma soprattutto l’assessore pidiellino alla Sicurezza Romano La Russa, l’altro consigliere Angelo Giammario, compresi Franco Nicoli Cristiani e Massimo Ponzoni, uno ai domiciliari e l’altro in carcere, senza dimenticare l’ex esponente Partito Democratico Filippo Penati. Quindi il presidente del consiglio regionale Davide Boni, che però dice di aver già presentato le sue dmissioni in Bellerio e che sono state respinte. Non solo. Se i due assessori La Russa e Rizzi dovessero lasciare scatenerebbero la vera crisi in giunta. «Bisogna andare a votare, basta, ci siamo rotti», chiosa un pezzo da novanta della Lega Nord, a cui non interessa che il sostituto del Trota sia la leghista Clotilde Lupatini.

Al momento «Monica della Valcamonica» ha deciso di difendersi. «Non sono indagata, non c’entro nulla in tutto questo, non mi sono mai occupata di conti in campagna elettorale, nè per la mia, tantomeno per quella di Renzo – ha spiegato in un comunicato -, e Belsito praticamente nemmeno lo conosco. Le mie dimissioni in bianco sono nelle mani di Umberto Bossi dal 2005. Dovrei dimettermi per solidarietà? O perchè qualcuno più che pulizie sta cercando di fare delle epurazioni?». Eppure la segreteria provinciale leghista di Brescia, tramite il segretario Fabio Rolfi le rinnova l’invito: «Faccio gli interessi del mio territorio, chi potrebbe avere preso soldi dalla Lega è meglio che se ne vada». 

Formigoni ha detto di essere soddisfatto del passo indietro del Trota. Ma il quadro accusatorio che ha portato Bossi jr alle dimissioni non è molto dissimile dalle diverse ricostruzioni a mezzo stampa che in questi mesi hanno caratterizzato la «corruzione» nella regione Lombardia del Celeste. Dallo scandalo del San Raffaele alle indagini in procura sulle tangenti che sarebbero circolate nella precedente giunta lombarda, su urbanistica e bonifiche, a Formigoni le dimissioni di Renzo potranno pure andare bene, ma rischiano di essere una «nuova spinta» per le sue. Del resto, il Senatùr lo aveva detto a fine gennaio durante la manifestazione di Milano: «Attento Formigoni che stacchiamo la spina». Una promessa è una promessa.  

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