Portineria MilanoMaroni chiede la testa di Bossi, ma continua a difendere Calderoli

Maroni chiede la testa di Bossi, ma continua a difendere Calderoli

Il triumviro Roberto Maroni arriva a chiedere la testa di Umberto Bossi per il presunto dossieraggio dell’ex tesoriere Francesco Belsito («Non ci saranno sconti per nessuno, a tutti i livelli»), ma continua a difendere l’ex ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Incomincia a non essere chiara neppure a qualche barbaro sognante la strategia dell’ex ministro dell’Interno, che se da un lato paragona l’ex tesoriere ad Al Capone («Ne pagherà le conseguenze» minaccia su Facebook), dall’alta non dice una parola sull’altro triumviro, su cui indagano i magistrati e che secondo un’informativa del Noe si sarebbe fatto pagare dal movimento una casa a Roma per 2200 euro al mese. Pensare che proprio Maroni a Venezia, il 18 settembre, disse: «Perchè noi siamo diversi da quelli che si fanno regalare la casa (Claudio Scajola ndr) o dal mondo delle intercettazioni (Silvio Berlusconi ndr)».

Chi ha avuto modo di parlare in queste ultime ore con Maroni, ormai leader in pectore del movimento, racconta di una persona molto «preoccupata» per come si stanno mettendo le cose dentro la Lega Nord. A parte gli scandali e le guerre fratricida, ultimo è il caso tra Gianluca Pini e Marco Reguzzoni, c’è chi ricorda che il 6 e 7 maggio ci sono le elezioni amministrative. E la «valanga verde» delle elezioni regionali del 2010, con la vittoria in Veneto e Piemonte, rischia di diventare un cartolina ingiallita, tanto che nella sede di via Bellerio ci si appresta già a ragionare sui «sorci verdi». In questo contesto da fine «del mondo padano» quindi, nelle ultime ore tra i barbari sognanti c’è chi ha iniziato a rumoreggiare per come è stata gestita da Bobo la pratica «Calderoli».

Non è un mistero che il presidente delle segreterie federali del Carroccio sia da tempo sulla lista di quelli da espellere. Anzi, nel 2010, dopo la vicenda di Aldo Brancher ministro breve per il Federalismo, scoppiò pure un mezzo giallo su una sua presunta «espulsione» durata lo spazio di 24 ore. Ne parlò il Riformista, che poi fu smentito da tutti i maggiorenti lumbard. Eppure di malumore ce ne fu molto in via Bellerio in quei giorni di inizio estate. Anche perché tutti capirono, dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fino alla casalinga di Voghera, il motivo della nascita del ministero per il Federalismo: far sì che Brancher sfruttasse il legittimo impedimento per sottrarsi al processo su Antonveneta dove era coivolto pure Calderoli.

Tra i più «incazzati» sul caso Brancher c’era di sicuro Bossi, che si ritrovò a spiegare ai suoi militanti persino la differenza tra le deleghe del suo ministero per le Riforme e quelle dell’Aldo. Furono giornate infinite, tra chi accusava Calderoli di averlo fatto per appunto pararsi dalle indagini su Antonveneta e chi invece diceva che il Senatùr era perfettamente al corrente insieme con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti della situazione. Anche allora Maroni evitò di commentare. Forse perché sul caso Fiorani e Fazio si era speso anche lui nel 2005, forse perché non voleva evitare frizioni con l’allora mediatore dei leghisti.

Calderoli, infatti, nel corso di questi ultimi anni, all’apice dello scontro tra cerchio magico e maroniani ha sempre ricoperto il ruolo di intermediario. Coordinatore delle segreterie nazionali, tutt’ora gestisce insieme al fidato Maurizio Bosatra l’organizzazione di Pontida e di molte altre kermesse padane, hDopo la vicenda Brancher, il Cald (copiryght Belsito) se ne uscì dicendo: «Io delfino? No, un tonno. Andrò in pensione con Bossi». Fu quello, secondo tanti, il giorno del suo addio alla rincorsa per la leadership della Lega Nord.

Del resto, la rivalità tra i due «Roberti» è sempre stata sotto gli occhi di tutti militanti. Dopo l’uscita di scena di Roberto Castelli, dicono i bene informati, «è stato soprattutto Calderoli a soffrire il protagonismo e le mosse vincenti di Maroni». Mentre dall’altro lato, Bobo ha sempre riconosciuto il merito all’ex ministro per la Semplificazione di aver lavorato «bene» sul federalismo fiscale. Ma su tutto il resto?
Negli ultimi anni Maroni è sempre stato a fianco di Calderoli. Persino a inizio legislatura, quando dalla Libia fecero sapere a Silvio Berlusconi che non sarebbe stato un caso nominare il leghista bergamasco a ministro: le magliette anti islam che fecero scoppiare un finimondo a Bengasi non erano ancora state digerite. Ma anche allora l’ex ministro dell’Interno abbozzò.

Ma una cosa che alcuni leghisti proprio non hanno digerito è che durante la kermesse di Venezia il 18 settembre, non solo Maroni non difese i due sindaci Attilio Fontana e Flavio Tosi dagli strali di Calderoli. Alla fine aggiunse: «Ma quali divisioni, sono tutte balle». Ecco, a mesi di distanza il registro è un po’ cambiato.

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