Banche, moneta, potereUna banca contro la povertà, l’idea francescana nel 400

Una banca contro la povertà, l’idea francescana nel 400

Bill Gates, presente a Roma nella sessione annuale dell’Ifad, esprimeva forti critiche su come vengono gestiti gli aiuti destinati ai Paesi più poveri e sottolineava che: «Gli investimenti nell’agricoltura sono la miglior arma contro la fame e la povertà, e intorno ad essi passa la linea di demarcazione fra la vita e la morte per centinaia di milioni di persone. Se volete prendervi cura dei più poveri e sfortunati, dovete prendervi cura dell’agricoltura».

Occorre ripensare il meccanismo degli aiuti: le donazioni e gli interventi a pioggia servono a tamponare gravi emergenze ma non incidono sui problemi reali né migliorano le condizioni economiche delle popolazioni indigenti e non risolvono il problema della produttività agricola. In queste riflessioni risuonano istanze e motivazioni antiche: non si può non pensare alla straordinaria esperienza dei “Monti frumentari”, istituto creato dai francescani nella seconda metà del Quattrocento. Le parole di Bill Gates sulla «selezione delle sementi» o sulla «distribuzione ai piccoli agricoltori africani» fanno tornare in mente l’opera di frati come Andrea da Faenza, che nel XV fondò Monti frumentari a Spoleto, a Terni, a Piacenza a Cremona. Nel tardo Medioevo, nei momenti di gravi carestie o pestilenze, i Principi (quando vi erano regnanti avveduti e quindi neanche tanto frequentemente) o le autorità cittadine provvedevano a distribuire aiuti alimentari. Oppure procedevano a comprare dei quantitativi di grano per calmierare i prezzi. Ma i prezzi delle derrate agricole non scendevano e la miseria aumentava. Il sostegno misericordioso aiutava ma non era sufficiente. I Monti frumentari, invece, avevano un approccio radicalmente differente: fornivano un supporto al ciclo agrario, distribuivano le sementi e i contadini nelle stagioni successive restituivano parte del raccolto. Queste istituzioni accanto alle opere di carità, prestando sementi incentivavano la produzione agricola.

È interessante notare come nella moderna filantropia – si pensi alle iniziative della Bill & Melinda Gates Foundation con il supporto di Warren Buffet o ai programmi delle numerose “community foundation” americane – riemergono concetti e tematiche dell’approccio francescano all’economia. Il microcredito ne è un classico esempio. Negli ultimi anni è divenuto conosciutissimo Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank, che ha vinto il Premio Nobel per la pace nel 2006. Mentre è ancora poco nota la straordinaria attività svolta – oltre cinquecento anni fa – dall’Ordine dei Frati Minori Osservanti in particolare da frati come Bernardino da Feltre, Michele Carcano da Milano, Giacomo della Marca, Marco da Montegallo, Bartolomeo da Colle, Angelo da Chivasso che promossero i Mons Pietatis. In generale è poco conosciuto l’intero “disegno strategico” francescano che aveva l’obbiettivo di combattere la povertà: essi erano consapevoli che non era sufficiente elargire elemosine o la sola assistenza caritatevole, occorreva, invece, intervenire in profondità sul tessuto economico.

Se i Monti frumentari erano rivolti alle popolazioni delle campagne, i Monti di Pietà erano invece rivolti alle realtà urbane e all’economia cittadina. Nel XV secolo uno dei problemi più gravi era l’accesso al credito: vi era uno strutturale disequilibrio tra domanda e offerta nel mercato del credito. Per chi non avevi mezzi il “credit crunch” era perenne. Chi riusciva ad accedere al credito doveva invece sostenere costi esorbitanti ed offrire garanzie molto cospicue: i tassi erano elevatissimi (superiori al 20% erano la normalità), i pegni a garanzia dovevano essere almeno il doppio dell’ammontare del prestito ottenuto, l’usura era frequentissima diventando una vera e propria piaga sociale. In alcuni Principati o Comuni si cercava di porre dei tetti normativi al costo del credito. Il mercato del credito, tuttavia, era ingovernabile dalle autorità cittadine: i tassi rimanevano strutturalmente alti e gli stessi divieti venivano disattesi.

Per incidere in maniera efficace sul problema del credito e combattere in modo deciso la piaga dell’usura, l’Ordine dei minori francescani promuoveva, dunque, la creazione dei Mons Pietatis, non dei semplici enti assistenziali ma delle vere e proprie banche che avevano lo scopo di “curare la povertà”: la loro missione consisteva nel mettere a disposizione delle persone meno abbienti piccole somme di denaro con un basso tasso d’interesse, affinché potessero sopravvivere e “de illo denario subvenitur a chi compra panem, vinum, vestitum, medicinas et omnia.” Si può riassumere il programma dei Monti nell’esortazione presente nel Vangelo di Luca “Curam illius habe”: prendersi cura del corpo di Cristo significava prendersi cura degli altri. Queste istituzioni, dunque, operavano per “subventione et aiutorio de le povere persone” come veniva specificato nello Statuto del Monte di Perugia. La concessione del credito era diretta, in particolare, ai cosiddetti “pauperes pinguiores”, ai poveri sì, ma non poverissimi in quanto almeno in grado di offrire come garanzia qualcosa in pegno, oppure in grado di lavorare. Come ha messo in evidenza la storica Maria G. Muzzarelli il “Monte o meglio la città operava un investimento, una sorta di scommessa: la città tutta aiutava costoro e tutti se ne aspettavano un beneficio. È la scoperta del valore anche economico della solidarietà attuata in questo caso attraverso il credito”.

Ma per diffondere i Monti di Pietà i francescani combatterono su un duplice campo: dottrinale e operativo. Da un lato dovevano difendere la nascente istituzione dal divieto teologico di percepire interessi (ogni prestito che prevedeva degli interessi, seppur minimi, configurava il peccato di usura) e in particolare, si scontrarono contro le posizioni degli agostiniani e dei dominicani. Divennero numerose ed accese le dispute, a sostegno delle loro tesi i francescani ebbero il parere di importanti giureconsulti (si pensi al Consilium del Coppola), pareri che influirono favorevolmente sulla bolla papale “Inter multiplices” del 1515 in cui vi fu un sostanziale via libera all’istituzione dei Monti e alla riscossione di un minimo interesse sui prestiti concessi, interesse necessario per le spese del loro sostentamento e funzionamento.

D’altro canto era necessario diffondere il modello dei Monte di Pietà e trovare capitali, fondi, energie per far partire le numerose iniziative e far germogliare in ogni Comune un largo consenso sul progetto. Il logos francescano pervase le città: l’ordine mendicante sfoderò la sua straordinaria forza organizzativa e i frati predicatori, percorsero in lungo e largo l’Italia (e Spagna, Francia ed altre parti dell’Europa cattolica). I primi Monti sorsero nella seconda metà del Quattrocento in Umbria e nelle Marche, dall’Italia centrale si diffusero nel resto della penisola e in particolare nell’Italia settentrionale. Per convincere le folle i francescani utilizzarono “sapienti regie” (come sottolinea la Muzzarelli in “Il denaro e la salvezza”): processioni, oblazioni generali, apparati scenici ed iconografici e, soprattutto, il fervore dei sermoni e delle predicazioni. Quelle di frate Bernardino da Feltre furono particolarmente avvincenti e richiamavano grandi folle, con un “ars praedicandi” potentissima.

I francescani riuscirono inoltre – grazie ad una grande abilità diplomatica – a coinvolgere nel progetto le forze produttive della città, in particolare le congregazioni delle “Arti e Mestieri”e i mercanti, arrivando a generare un prezioso e straordinario “compromesso evolutivo” tra norme etico-morali e bisogni della realtà economica comunale.

Nel pensiero francescano vi era un pieno riconoscimento per l’ “ars mercatoria” e diventava centrale la lotta contro le rendite parassitarie, contro i privilegi, contro i rentiers. Sul finire del Duecento, Pietro di Giovanni Olivi già parlava della “seminalità del capitale” e Monaldo da Capodistria nella sua Summa indagava l’eticità delle pratiche mercantili e del “buon commercio”. Profonde riflessioni economiche, nel Trecento, gemmavano nelle opere di Guglielmo di Ockham, Giovanni Duns Scoto, Bernardino da Siena, Francesco Eiximenis. Si indagò, attraverso nuove lenti, il rapporto tra ricchezza e civilitas, ai mercanti veniva riconosciuto il ruolo di protagonisti degli scambi e di fondatori del bene economico, la mercatura portava utilità alla res publica mentre la rendita sottraeva ricchezza al bene comune. Nel XV secolo pertanto il francescano Matteo d’Agrigento, discepolo di Bernardino da Siena, valorizzò l’utilità pubblica dei commerci e dei mercanti e Giacomo della Marca denunciò l’immobilizzazione improduttiva del denaro ed esaltò l’attività mercantile con il suo prezioso risultato di moltiplicare i beni: “multo melius esset quod illud plus expenderent in mercantiiis et in artibus ad lucrandum et indevenirent multe divitie et lucra et e contrario multe paupertas et mala”.

Stefano Zamagni, profondo studioso dell’economia civile, mette in risalto come all’interno dell’antico discorso economico francescano emerga l’idea che “se si vuole trovare uno sbocco al sovrappiù generato in agricoltura e nella mercatura, e così ovviare all’imbarazzo della ricchezza, occorre dilatare lo spazio dell’attività economica facendo in modo che tutti possano parteciparvi”. Ecco il grande insegnamento francescano con la sua forte attualità: in tempi, come quelli odierni, di crisi economica, di “credit crunch” e di nuove povertà congiunturali occorre ripensare la solidarietà attuata attraverso il credito ed è sempre più necessario – come sottolinea ad esempio Luigino Bruni – riportare al centro dell’agire umano l’identificazione tra economico e civile.
 

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