Spread alle stelle, l’Europa ha un piano B l’Italia?

Spread alle stelle, l’Europa ha un piano B l’Italia?

L’Italia, a un anno di distanza dal contagio della crisi europea, non è fuori pericolo. Nell’arco di questi 12 mesi gli italiani hanno compreso che il barometro della paura si chiama spread, cioè il differenziale di rendimento fra i titoli di Stato italiani con scadenza decennali e i corrispettivi tedeschi. Ma presto dovranno forse imparare una nuova parola, cioè bailout, o salvataggio. Sta per iniziare infatti il periodo più duro dell’Italia nonostante la presenza del governo tecnico di Mario Monti, lo stesso che doveva salvare il Paese dal disastro.

Strozzata fra l’austerity, un carico fiscale sempre maggiore, una crescita anemica e la sfiducia degli investitori internazionali, cresce sempre più l’idea che sia necessario un intervento esterno. Ipotesi confermata da una conversazione che Linkiesta ha avuto con un alto funzionario della direzione generale Affari economici e finanziari della Commissione europea: «Se non ci sono sviluppi positivi, è possibile che si arrivi a misure di sostegno dell’Italia, nel caso Roma perdesse l’accesso ai mercati obbligazionari. Non è l’unica delle ipotesi, ma questa sicuramente è sul tavolo». A peggiorare la situazione ci sono le stime macroeconomiche della Commissione Ue, che sanciscono come l’Italia stia percorrendo la linea tracciata dalle altre nazioni più deboli dell’Ue. A oggi gli osservati speciali di Bruxelles sono Grecia, impegnata nelle trattative per la formazione di un nuovo governo, e Spagna, che sta cercando di ridurre la propria spesa pubblica a livelli sostenibili. Ma fra pochi mesi, se nulla cambierà, sarà l’Italia a tornare sotto i riflettori della crisi.

Il quadro che di fronte hanno Commissione europea e Fmi non è quello che si attendevano. Sono in pochi quelli che si lasciano andare a dichiarazioni. Tuttavia, a Bruxelles come a Washington, le facce sono tirate. Quando Monti si è insediato a Palazzo Chigi erano due gli obiettivi primari: ridare credibilità nell’Italia e mettere in sicurezza i conti pubblici. Se per il primo è bastato che il governo di Silvio Berlusconi terminasse in anticipo il suo mandato, per il secondo serviva qualcosa di ben più significativo. «Riforme strutturali, consolidamento fiscale e crescita», disse a ripetizione il commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn fra settembre e novembre. Il programma prevedeva diversi interventi, ma di questi pochi ne sono stati fatti, se si esclude la riforma delle pensioni. «Ci preoccupa tutto il tempo perso per la riforma del lavoro, uno dei punti cardine», ha detto ancora la scorsa settimana Rehn. Oggi però il politico finlandese ha ricordato che «nel medio termine i conti italiani sono positivi». Parole che sono state però smentite a microfoni spenti da diversi funzionari della sua divisione.

In ambito comunitario la parola più utilizzata è ring-fence. La stessa che utilizzò a gennaio Willem Buiter, ex membro del Monetary Policy Committee della Bank of England e ora capo economista di Citigroup. Ring-fence si può tradurre come anello di protezione. E in questo caso gli anelli sono tre. «Se tutto restasse così o peggiorasse, ci sono tre armi a disposizione: l’Ue, la Banca centrale europea e il Fmi», dicono a Linkiesta dalla Commissione europea. Da un lato c’è il firewall europeo, il fondo salva-Stati permanente European stability mechanism (Esm) con una dotazione di 500 miliardi di euro. I primi conferimenti partiranno a inizio 2013, anche perché nel frattempo ci sono ancora i fondi dell’European financial stability facility (Efsf) e il fondo salva-Stati temporaneo da 440 miliardi di euro che sta sostenendo Grecia, Irlanda e Portogallo. Dall’altro lato c’è il firewall del Fmi, del valore di circa 335 miliardi di euro. Ma anche questo sarà attivo solo dal prossimo anno.

Infine, sullo sfondo, c’è sempre la Bce. Tramite il Securities markets programme (Smp), lo speciale programma di acquisto di bond governativi sul mercato secondario, la Bce ha placato il nervosismo degli operatori nell’ultimo anno, dimostrando così la sua presenza. Ma da quasi due mesi l’Smp è fermo. Merito delle due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-term refinancing operation, o Ltro), con cui la Bce ha aperto linee di credito triennali per circa 1.000 miliardi di euro con gli istituti di credito europei. «Nel caso servisse, tuttavia, la Bce potrebbe riattivare l’Smp per Italia o Spagna», affermano dalla Commissione Ue. Del resto, la situazione non è positiva.

Il mandato di Monti doveva essere funzionale al ritorno alla normalità. Invece, così non è stato. E la conferma arriva dalle previsioni economiche di primavera della Commissione europea, pubblicate oggi. Il pareggio di bilancio non sarà raggiunto nel 2013, come invece aveva garantito Monti al Consiglio europeo del 9 dicembre scorso. Il primo allarme lo aveva dato il Fondo monetario internazionale (Fmi) durante il meeting di primavera. «L’Italia non raggiungerà il pareggio di bilancio prima del 2017», aveva dichiarato il direttore generale Christine Lagarde. Secca la replica di Monti, che aveva ribadito gli obiettivi. Questi però, a meno di nuove misure di consolidamento fiscale, non saranno toccati. Il rapporto deficit/Pil continuerà a calare, ma nel 2012 sarà del 2%, al di sotto dei parametri del Fiscal Compact europeo, il nuovo sistema di controllo del budget a livello comunitario. Il prossimo anno, invece, il deficit sarà dell’1,1%, molto al di sopra degli accordi presi da Monti.

Ciò significa che il governo dovrà intervenire ancora per ricercare le risorse necessarie per riportare i conti pubblici sotto controllo. E non è facile farlo con un Pil in contrazione dell’1,4% per l’anno in corso e con un debito pubblico in aumento dal 120,1% del Pil nel 2011 al 123,5% nel 2012, come ha spiegato proprio oggi Bruxelles.

Uno dei maggiori problemi per la seconda parte dell’anno sarà la gestione del debito pubblico. A fine dicembre il direttore generale del Debito pubblico del Tesoro Maria Cannata aveva spiegato che nel 2012 l’Italia sarebbe scesa sui mercati obbligazionari per circa 440 miliardi di euro. A fine aprile, il giro di boa. Dal primo maggio a fine anno, l’Italia deve rifinanziarsi per 244 miliardi. Fra giugno e ottobre il periodo più tosto, con quasi 160 miliardi di euro di titoli di Stato da collocare. Come hanno spiegato diverse banche d’affari, da Citigroup a UBS, «il rifinanziamento italiano, sotto il profilo dei costi, è già insostenibile». Ciò significa che il tasso d’interesse con cui l’Italia si presenta sui mercati, sopra il 5% nel caso dei Btp decennali, è già fuori controllo. «Se non ci sono misure di consolidamento fiscale adeguate, unite alla crescita economica, per l’Italia potrebbe essere inevitabile una richiesta di aiuti internazionali», scriveva Morgan Stanley pochi giorni fa.

Se dopo luglio il costo del rifinanziamento italiano fosse ancora sopra il 5%, il rischio di un avvitamento è reale. Dalla Commissione europea stanno monitorando con attenzione la crisi italiana e nei meeting europei di giugno saranno discusse le eventuali correzioni da apportare al programma di finanza pubblica italiano. Come ci spiegano diversi funzionari della Commissione europea, «la soglia del pericolo per l’Italia, banalmente, è uno spread di 350 punti con la Germania». Oltre quella soglia, «occorre uno sforzo immane per Roma, sotto il profilo delle misure di consolidamento fiscale, per arginare l’elevato costo del rifinanziamento». O nuove manovre o richiesta di aiuti: per Roma potrebbero essere queste le alternative.

Anche dal Fondo monetario internazionale stanno monitorando la situazione italiana. Per questo la settimana scorsa ha inviato i suoi tecnici a Milano e Roma. Il Fmi sta controllando i margini operativi che ha il governo Monti. Tre sono le possibili azioni dell’istituzione della Lagarde. L’uso delle Flexibile credit line (Fcl), quello degli High-access precautionary arrangements (Hapa) o quello del firewall da 335 miliardi di euro, unito a quello europeo. Difficile che siano utilizzati gli Hapa, cioè i meccanismi di prestito volti a «garantire la concessione di prestiti di entità elevata anche in assenza di una crisi effettiva», come definito dallo stesso Fmi. Più probabile che, nel caso, si decida di optare per una soluzione mista, con il sostegno europeo, come era già emerso dal G20 di Cannes dello scorso novembre.

Il primo luglio dell’anno scorso lo spread fra Btp e Bund era a quota 118 punti base. Dopo 18 giorni, era a 332 punti. Ora, veleggia intorno a quota 400, i picchi oltre i 550 punti base di novembre. Questo vuol dire che, rispetto allo scorso luglio, l’Italia si sta rifinanziando, almeno sui titoli di Stato decennali, a quasi quattro volte tanto. Tanto, troppo. Con una recessione in corso, le elezioni sempre più vicine e un’eurozona in pieno dissesto, soluzioni che prima erano solo ipotesi di studio potrebbero rendersi inevitabili. 

(pubblicato originariamente l’11 maggio del 2012)

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