A Scampia la scuola calcio dove i bambini possono non essere campioni

A Scampia la scuola calcio dove i bambini possono non essere campioni

Napoli Nord, un pomeriggio di almeno venti anni fa. “Ma sei sicuro” gli dicono i compagni della sezione del Pci del quartiere “Una scuola di calcio a Scampia?”. “E dove se no?”, gli risponde Antonio Piccolo. Troppo facile allenare nei quartieri bene dove i campetti ci sono già e sono lisci come i biliardi, gli spogliatoi se non proprio lucenti sono decorosi, le divise belle e pronte. Lì il calcio c’è sempre stato, aiuta, fa sognare e disperare tanti ragazzi e altrettanti genitori che pensano di avere un fenomeno dentro casa e invece, mi dispiace proprio no, non ha tecnica o non ha carattere o gli ha detto solo sfiga. A Scampia non c’era nulla di questo. C’era la strada con porte improvvisate, ma troppe siringhe da scansare con i piedi, cani randagi da allontanare, sporcizia che d’estate emanava un puzzo nauseante. E poi, nessun arbitro, nemmeno l’ombra di una panchina, nessuna indicazione per fare un buon pressing e zero spirito di squadra. Di squadra, non di branco perché quello nei quartieri come Scampia c’è sempre in quantità industriali. “Andava fatto” racconta Mister Piccolo. E lo fece.

Scampia, Napoli, primavera 2012. Antonio Piccolo, magro e baffuto, racconta di essere diventato Mister Piccolo nel settembre del 1986 quando fondò la scuola di calcio Arci Scampia. Al primo allenamento si presentarono sette ragazzi, figli di amici e parenti. Pochini. Piccolo stampò altri volantini con scritto, “Sono aperte le iscrizioni alla scuola calcio”, e li lasciò ovunque, nei negozi, sui muri, li consegnò a mano alla gente del quartiere. Al secondo allenamento arrivarono quindici ragazzi. Al terzo diventarono trenta. La squadra scelse un simbolo, l’airone che porta in cielo un pallone, e i colori, il bianco e il rosso. Oltre a Mister Piccolo iniziarono a crederci in tanti: altri allenatori, che ancora oggi lavorano gratuitamente, la Fondazione Banco di Napoli e la Fondazione di Fabio Cannavaro e Ciro Ferrara che misero i primi soldi senza i quali il sogno non sarebbe diventato realtà.

L’Arci Scampia era, a quel punto, in regola e si iscrisse al suo primo campionato Giovanissimi. A dicembre era ultima in classifica. A fine campionato conquistò il quinto posto. Non male, “l’importante è non arrivare ultimi” disse all’epoca Mister Piccolo e lo ripete ancora oggi, 26 anni dopo.

È chiaro, già da quando si varca il cancello, che questa non è una scuola di calcio come le altre. Qui si può diventare bravi atleti, veri calciatori, alla fine degli anni novanta il Napoli scelse sei ragazzi dell’Arci, alcuni continuarono a giocare altri abbandonarono, ma l’allenamento, la convocazione alla partita, la disciplina sportiva, la divisa in ordine, (“i calzettoni su!”, “la maglietta dentro!”, urla da bordo campo un allenatore) e le parole dei mister, hanno una priorità più grande. Togliere i ragazzini dalla strada dando loro un pallone in mano non basta, bisogna far capire loro che la parola “regola” non è una parolaccia e che se ci sta c’è un motivo.

“Siamo molto attenti alla condotta scolastica. I ragazzi devono andare a scuola prima di tutto” dice Piccolo. Se non vanno, bisogna capire cosa c’è dietro, parlare con gli insegnanti e se il comportamento si ripete, noi dell’Arci prendiamo provvedimenti”. Cartellino rosso che qui significa mancata convocazione alla partita del sabato. Può sembrare roba di poco conto ma chi ha giocato a calcio sa che l’esclusione da una partita, seppur per una volta, fa stare male, più di una nota a scuola, più di una “cazziata” di un genitore, quando hai la fortuna di averlo.

Lo schema funziona spesso. “Ma non sempre” spiega uno dei venti mister dell’Arci che oggi conta più di 500 iscritti. Di storie brutte ce ne sono. “Non è una questione di chi ha problemi a casa, piuttosto dimmi chi non ce li ha”, dice uno degli allenatori. In un quartiere dove la camorra e la droga sono i tuoi vicini di casa, i tuoi dirimpettai, tuo fratello o tua madre diventa complicato capire che questa non è “la normalità”. Se è tuo padre a dirti di consegnare qualcosa o di fare a 12 anni il palo alla finestra per controllare chi entra o chi esce e poi ti dà una paghetta e con questi soldi ti guadagni il rispetto e la pacca sulle spalle di quelli che contano, che fai non ci vai?

In alcuni casi, non bastano e mai basteranno le partite e le parole dei mister a convincere un ragazzo che c’è di meglio nella vita, di più bello e che sa di pulito. Mister Piccolo racconta la storia di un suo ex allievo. “Si chiamava Luigi è stato da noi fino ai 16 anni, l’ultimo anno della scuola”. Era un ragazzo silenzioso, pure bravino, rispettoso dei compagni e degli allenatori. “Eh, ma non ce l’ha mica fatta”. Luigi si è cominciato a drogare. Un paio di anni dopo che aveva lasciato l’Arci incontra per strada un mister della scuola. “Io non l’avevo riconosciuto, lui sì”. Luigi si vergognava. Non voleva farsi vedere in quelle condizioni dal suo vecchio allenatore. Cercava di coprirsi il volto con i capelli e continuava a ringraziarlo per i bei tempi passati al campetto di calcio con gli altri. E poi, ciao mistè devo andare. “Non lo vidi più e un anno dopo morì in una rapina”. Sono passati una decina di anni da allora ma tutti all’Arci ricordano la storia di Luigi e anche Luigi, nonostante la vita difficile, si ricordava di loro.

Uno dei tanti problemi con cui i mister hanno a che fare è l’ambizione non tanto degli allievi ma dei genitori. “Per questo abbiamo scelto un motto molto significativo che è diventata la nostra filosofia” spiegano, “ogni bambino ha il diritto di NON essere campione”. Dice proprio così, il diritto di non essere campione. Forse sta proprio qua la differenza con tante altre scuole di calcio. Diventare un campione è difficile, “il mondo del calcio è molto cattivo”, dice Piccolo, “se il ragazzo ha i numeri facciamo di tutto per aiutarlo”.

Roy Keane, stella del Manchester United, diceva che il talento nel calcio non è il risultato dell’allenatore ma una questione d’amore tra il bambino e la palla. E se questo amore non è un colpo di fulmine? I ragazzi qui hanno una gran voglia di riscatto, di togliersi di dosso la stigmate della camorra, della droga e della delinquenza. Ma il pallone deve essere un mezzo per riscattarsi non l’obiettivo finale. “Il calcio non risolve tutto ma può aiutare”, scandisce bene Piccolo.

Uno dei mister della scuola, Rosario Esposito Lo Russo, ha scritto un bellissimo libro sulla storia dell’Arci Scampia. Si intitola “Sotto le ali dell’airone” (Marotta&Cafiero editori). In una delle ultime pagine Mister Lo Russo scrive: “Devo dire grazie all’Arci Scampia che mi ha formato prima come uomo e poi come atleta. Grazie perché mi ha fatto amare il mio quartiere perché con te l’ho difeso con una seconda pelle bianco rossa. Grazie perché… non è facile, ma ti fa sentire infinitamente uomo, uomo di queste terre di cemento”. In queste parole c’è la missione di quelli come Mister Piccolo. “Ogni volta che apro il libro mi viene una stretta al cuore. Se penso da dove eravamo partiti, la polvere, i cani randagi, le carcasse di moto e le siringhe e vedo dove siamo arrivati, mi viene da piangere per la felicità”. Tosti e generosi questi allenatori che con gli scarpini, in tuta da ginnastica, il fischietto al collo e gli occhi lucidi ti fanno pensare che forse Keane sulla storia del talento aveva detto una gran cavolata. 

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