La questione potrebbe risolversi in tempi e ragionamenti brevissimi, cioè così: se il consigliere Rai lo fa Antonio Verro, già dirigente Edilnord di S.B., lo può fare anche la zia Letizia. Attraverso semplificazioni di questo tipo (del terzo tipo), la nostra azienda di stato è andata allegramente a fondo, compressa tra un pericoloso sentimento al ribasso e l’idea che l’occupazione dei partiti dovesse costituire l’ineluttabile destino a cui non poter sfuggire mai. Il presidente del Consiglio non ci ha neanche provato a immaginare una riforma della Rai, ha preferito agire sul sicuro, scardinando appena laddove poteva: un nuovo presidente “sorvegliante”, la signora Tarantola, un nuovo direttore generale, il manager Gubitosi. Stop. Per il resto si è affidato ai partiti, sempre e ancora loro.
Nel solco della vergognosa tradizione, tutti hanno fatto i loro nomi, meno Bersani che intelligentemente si è chiamato fuori. Il Pd – ha detto – stavolta non partecipa alla lottizzazione e dunque non farà nomi. (Li subirà allora, hanno pensato preoccupati i suoi dirigenti).
Dopo le sonore sberle prese per l’occupazione delle authority, il segretario del Pd ha optato per un profilo basso, così basso che il partito si è molto agitato chiedendogli di ripensare la materia, in pratica di (ri)beccarsi i posti in cda. Bersani ha tenuto generosamente il punto, optando per una soluzione apparentemente suggestiva: affidare la scelta dei nomi alle componenti della società civile: Libera, Se non ora quando, Libertà e Giustizia, Comitato per la libertà e il diritto di informazione.
Le quali componenti inevitabilmente hanno sbagliato. O meglio, hanno fatto l’unica cosa che sanno veramente fare: pensare che in Italia, in qualunque parte d’Italia e dunque in qualunque azienda in Italia, ci sia un problema di legalità. Quindi anche alla Rai. E così sono venuti fuori i due nomi di Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi. Nomi che non hanno senso, se non in quell’ottica emergenziale che è il segno distintivo e meritorio della lotta alla criminalità, alle mafie, al terrorismo. Ma cosa c’entra con gli orrendi programmi di Carlo Conti? O con le veline dei telegiornali? O con le prossime sfide tecnologiche da vincere?
Sia chiara una cosa, queste proposte vanno decisamente nel segno del decoro. Le persone sono stimabilissime. Ma sono proposte che non hanno alcun senso. Benedetta Tobagi collabora con Repubblica sui temi che sappiamo, conduce un Caterpillar mattutino con Solibello, ha scritto qualche libro tra cui quello molto intenso sul padre Walter, ma perché, per quale attitudine professionale, in virtù di quale specificità dovrebbe ricoprire la carica di consigliere di amministrazione Rai, se non, appunto, per l’unica, vera, grande ragione rappresentata dall’esistenza di Verro? Confidiamo davvero in un suo consapevole passo indietro.
Anche la scelta di Colombo è significativa di un certo ragionamento. L’ex magistrato, che oggi fa bellissime lezioni di legalità per i ragazzi delle scuole, è in questa nostra Italia spendibile per mille posizioni, per mille situazioni (e infatti è stato appena chiamato a presiedere il consiglio di sorveglianza di Bpm), lui sì che sarebbe stato preziosissimo per tante authority. Ma perché gli dobbiamo infliggere l’atroce sofferenza di doversi misurare con le trasmissioni di Antonella Clerici, a quale logica risponderebbe l’esigenza di averlo in consiglio Rai per verificare le note spese di qualche troppo allegro dipendente?
Siamo alle solite. Mai una persona giusta al posto giusto. Alla Rai va così. E’ andata così anche stavolta.
(E adesso il Pd si trova a dover votare due candidati sbagliati nella forma e nella sostanza, dicendosi anche contento e orgoglioso di farlo.)