Non vorrei essere un elettore del Pd, stretto tra Renzi e Bersani

Non vorrei essere un elettore del Pd, stretto tra Renzi e Bersani

Perché Repubblica, il giornale che più d’ogni altro fece da levatrice ai nostri entusiasmi giovanili, trascinandoci in quella passione del cambiamento che ha segnato decisamente un’epoca, perché il «nostro» quotidiano di quel tempo bello oggi non ha neppure il coraggio civile di dire a D’Alema, Bindi, Veltroni, Marini e tutti gli altri grandi vecchi del Pd di rimanersene tranquillamente a casa e godersi la pensione, forse perché – ma è appena una malizia – teme d’essere scambiato per il pappagallino di Renzi, che lo va ripetendo incessantemente da mesi e mesi?

Da elettori (molto virtuali) del centro-sinistra, ci siamo disposti con animo leggero e consapevole alla visione di uno scontro assai poco fratricida tra i due contendenti del momento, il Matteo e il Pierluigi, pensando (sperando) di trarne qualche utile elemento di comprensione in vista di quelle primarie che definiranno il candidato premier del Pd. Essendo borghesi, per estrazione e anche per una certa visione liberale della società, dovremmo immediatamente dichiararci molto delusi dal tono dello scontro e cercare altrove la nostra definizione politica. Ma visto che ci appartiene anche una certa tigna, l’idea di rassegnarci subito e passare ad altro ancor più deprimente (Montezemolo) non ci sfiora neppure.

Il primo motivo (a pelle) per cui considerare deludenti sia Renzi, sia Bersani, è da ricercare proprio nel loro tratto morfologico, nell’essere fisicamente (e spiritualmente) come sono, l’uno spavaldamente tamarro, l’altro tristemente legato a quella rappresentazione depressiva del funzionariato di partito che negli anni 2000 se permettete vorremmo tanto lasciarci alle spalle. Di Renzi convince poco o punto la visione sbrigativa dei rapporti umani e politici, quel bianco e quel nero che sarebbero colori anche straordinari se solo applicati con intelligenza e sensibilità.

Nessuno mai riuscirà a farci diventare simpatico (e ancora meno indispensabile alla vita politica) la figura di Massimo D’Alema, eppure i modi ultimativi del sindaco di Firenze avevano quasi raggiunto il terrificante obiettivo. Non ci si rivolge da maleducati, nelle parole e nei modi, a persone che hanno vent’anni più di te e una storia politica decisamente più corposa. Non si cancellano quelle personalità con un tratto di penna, con lo scopino della storia, buttando tutto sotto il tappeto. Questo è un modo volgare di eliminare le persone sgradite. E generalmente si produce esattamente il risultato contrario (vedi Bindi, che grazie a Renzi ci ritroveremo sicuramente sul gobbone).

Ma parliamoci chiaro, Renzi è un volgare. Con quel tratto da provinciale che non abbandona mai, tutto nelle sue mani diventa discretamente volgare (e qui sarebbe sin troppo facile esaminare il livello medio dei riferimenti musicali che propone, autentiche cagate senza neppure il gusto della provocazione, ma magari!). Il problema delle persone così sbrigative è che magari possono diventare utili in quelle battaglie di cambiamento che sono necessarie nelle nostre città, in cui una certa assenza di sensibilità, in favore di un decisionismo con l’accetta, può anche produrre risultati concreti e apprezzati dalla popolazione. Ma quando si tratta dello «sguardo» sul mondo, di quel respiro necessario per interpretare le sfumature di un Paese, quando serve insomma la visione, beh, datemi un solo motivo per concludere che Matteo Renzi è davvero un buon candidato alla guida della nostra povera Italia (al di là delle sue ricette politiche di cui sarebbe bello sapere qualcosa).

Dall’altra parte, c’è una persona decisamente più elegante. Più sobria. Sicuramente più simpatica (tra un emiliano e un fiorentino ovviamente non c’è gara). Elementi che qua e là spuntano in Pierluigi Bersani, facendone un tipo con cui condividere anche una buona birretta. Solo che il segretario del Partito Democratico è oggi un uomo legato, molto trattenuto, per via di un passato certamente ingombrante, quello del vecchio Pci, per via delle persone “autorevoli” con cui deve dividere gli spazi del partito (i succitati D’Alema, Bindi, ecc.), e per via di quella condizione solo apparentemente favorevole d’essere, il Pd, decisamente favorito alle prossime elezioni.

Sembra un paradosso (quasi) inspiegabile, ma il Bersani ministro, il ministro delle uniche liberalizzazioni del Paese, era un uomo politico molto più sciolto e felicemente disinvolto di quanto in realtà non sia da segretario del partito. Potremmo essere a pochissimi mesi dalle elezioni – anticipate a ottobre? – e lui non è ancora riuscito a consegnarci la lista ufficiale dei suoi alleati. Di Pietro è fuori? Lo si dica con chiarezza (sarebbe meraviglioso per un autentico liberale liberarsi di quella visione sbirresca). Vendola è dentro, e a quali condizioni? (anche un liberale timorato ricorda che quei tipini lì, alla Vendola, volevano fare una crisi di governo – a governo Prodi appena iniziato – per quella baggianata dell’aeroporto Dal Molin, ricordate: la base americana?).

E’ chiaro che il Partito Democratico deve acchiappare gente moderata per vincere, lo sfondamento al centro è sempre stato decisivo. Si faccia pure la corte a Casini, che è sempre buono per tutte le stagioni, ma non gli si vada troppo dietro. A un liberale sincero, il genero di Caltagirone fa discretamente schifo (politico). Là fuori, caro Bersani, è pieno di moderati che non c’entrano nulla con i Casini della situazione, se li vada a cercare!

Insomma, la situazione è grave ma purtroppo anche seria. Qui, di due candidati non se ne fa uno.  

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