Il finanziamento pubblico della politica è un patto di fiducia tra eletti ed elettori. Come una stretta di mano, intensa, robusta, convinta, questo è il legame che permette a una democrazia, intesa come governo di tutti, di esser tale. Il finanziamento pubblico infatti la libera dai rischi di finire schiava e succube di pochi, se esso, ovviamente, è strutturato per essere trasparente, accountable, basato su regole e garanzie certe. D’altronde, posto che la politica ha un costo, non riconoscerlo o è da miopi idealisti o da ipocriti interessati; dunque, meglio riconoscerlo per conoscerlo e governarlo per non esserne governati.
La trasparenza delle informazioni sul finanziamento della politica, intesa come conoscenza pubblica e aperta, diviene, quindi, importante tanto riguardo al modo in cui come si formano, si sostanziano e si regolano le entrate della politica quanto riguardo alla conoscibilità delle uscite e di come le stesse sono state iscritte in bilancio (dalle voci che le compongono all’ammontare che le riempiono).
Perché? Perché sia le entrate che le uscite rappresentano un fattore decisivo per dare prova di un rendiconto democratico che non può, laddove fatto per bene, che essere finalizzato a rinsaldare, appunto, quel patto fiduciario su cui si è costruita, nel tempo, la democrazia come forma di governo. Altrimenti, nella concretezza che, con brutale lucentezza, solo il denaro può far trasparire, ci troviamo di fronte ad una bassa qualità democratica e ad un crescente deperimento della fiducia che dovrebbe sostenere il circuito politico-democratico.
In ciò troviamo il primo – meritorio – architrave che si può evidenziare scorrendo questo viaggio-inchiesta, curato da Alberto Crepaldi, nei conti dei partiti. Infatti, a la recherche de la vertu perdue, questa indagine sembra mirare, pur in qualche modo inconfessato, a ritrovare quel filo rosso di fiducia tra cittadini e governanti, eletti ed elettori, che rappresenta la ragione delle ragioni per un finanziamento pubblico della politica. La prova di ciò è nella cura meticolosa con la quale vengono raccolti ed esaminati i dati, analizzate le voci, esaminate le spese. In ogni articolo a commento, c’è la ricerca, alla luce delle tabelle excel desunte una ad una dalla Gazzetta Ufficiale, del senso di una scelta politica o della valutazione comparata delle opzioni disponibili (e non praticate); insomma, tutto è fatto per trovare in quei conti la «ragione democratica» che sostiene il finanziamento pubblico. E, come vedrete, in molti casi, questa – ahinoi – sembra perdersi, sfilacciata da spese e conti davvero poco spiegabili.
Il secondo architrave, molto condivisibile, è stata la scelta di operare questa indagine dal 2008, cioè da quando Pd e Pdl hanno deciso di scommettere, pur con tutte le dinamiche di avvicinamento e le resistenze di queste situazioni, su un bipolarismo non posticcio né imposto nel nostro Paese. Un bipolarismo imperniato su due grandi partiti, come si dice, a vocazione maggioritaria. Mi è parsa una scelta metodologica interessante in quanto, in fondo, evidenzia un paradigma di schema politico che neanche il governo Monti e le recenti consultazioni per le amministrative paiono fortunatamente aver scalfito. Cosicché analizzare i conti dei partiti nell’ottica del bipolarismo può essere un modo per migliorare tanto gli uni quanto l’altro. D’altronde, il finanziamento è funzione della struttura del sistema politico-partitico, guai se fosse viceversa, e in quanto tale non può che non rappresentarlo. Certo, in questa ottica, si sconta una legge sul finanziamento ancora in transizione e che tuttavia, proprio in questi giorni, dovrebbe essere novellata, appunto per favorire una logica bipolare: a conferma, bontà dei partiti, dell’efficacia della scelta di metodo che ha mosso fin dal primo articolo la ricerca di Alberto Crepaldi.
Infine, il terzo architrave, quello dell’analisi comparata ed incrociata che emerge leggendo tutto d’un fiato – si può fare, lo merita – questo ebook. Ne uscirete fuori con la sensazione e la voglia che sia tempo di cambiare, di migliorare, di fare per bene (e perbene) nelle vostre cose e soprattutto in quelle della politica. Che sia tempo dell’impegno di tutti e di ciascuno per migliorare la qualità democratica della propria partecipazione, per interrogarsi sul senso del proprio apporto al vivere comune, per denunciare quello che di nascosto si tollera per quieto vivere. Insomma, che è tempo, per un’Italia più civile e responsabile.
Ecco perché, dunque, ritengo questo libro-inchiesta di Alberto Crepaldi una lettura da consigliare: perché nell’analisi oggettiva di freddi dati certificati, riesce a suscitare curiosità, interesse e passione, fattori che sono alla base di qualsiasi politica di buona qualità e di qualsiasi finanziamento pubblico che non voglia apparire, oltre che essere, una ruberia.
Questo ebook, da parte sua, lo fa, mostrando in controluce – come si dice – l’effetto del bianco sul nero. Lo fa con onestà, concretezza, chiarezza, richiamandoci istintivamente a quei valori del vivere civile che sono alla base, e dovrebbero esserlo sempre, del nostro vivere in comune. È poco? Non credo. È molto, anche perché tutto ciò avviene partendo dalla sgradevolezza di numeri che nessuno guarda, di cifre che tutti inventano, di scelte di cui nessuno rende conto. Di questi tempi, far emergere il fiume carsico dei valori della democrazia – responsabilità, rendiconto, trasparenza – mi pare che sia un gesto da sottolineare. Soprattutto se fatto – come è fatto – con l’onesta intellettuale di chi, in fondo, non ha fatto altro che fare, semplicemente, il proprio mestiere.
Buona lettura.
*Professore associato di Diritto Pubblico Comparato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Perugia