CASTELNUOVO SCRIVIA (AL) – Milano dista 60 chilometri, ma in autostrada ci si arriva in poco più di mezz’ora. A pochi passi c’è l’outlet di Serravalle Scrivia dove il fine settimana turisti affollano la piazzetta per fare acquisti a poco prezzo. In mezzo ci sono loro. Quaranta marocchini che da anni lavorano in campagna alla raccolta di frutta e verdura per un euro all’ora. Appena usciti dal casello autostradale di Casei Gerola ci si imbatte nei campi a perdita d’occhio. Grano, ma anche verdura e pomodori, che finiscono sugli scaffali della grande distribuzione. Siamo all’inizio del Piemonte, e alla fine della Lombardia, ma le condizioni dei lavoranti di questi campi ricordano quelli delle Puglie.
Chissà quante volte i cittadini di Castelnuovo Scrivia hanno pensato, guardando al telegiornale i servizi sul caporalato, «queste cose qui da noi non succedono». Invece la colonna di biciclette che ogni mattina partiva dai paesini verso la campagna era formata da uomini e donne, quasi tutti provenienti dalla zona attorno a Rabat, che andavano a lavorare nei campi 14 ore al giorno, per pochi euro. Il proprietario dell’azienda agricola Bruno Lazzaro si è giustificato dicendo al giornale locale La Provincia Pavese: «La grande distribuzione mi sta strangolando, non posso fare altrimenti».
Ma i quaranta migranti hanno deciso venerdì scorso che si poteva fare altrimenti. Alla mattina alle 8 hanno incrociato le braccia e hanno pronunciato una parola che in un frangente del genere non era mai stata detta. «Sciopero». Il proprietario della tenuta agricola ha chiamato i carabinieri che, intervenuti sul posto, altro non hanno potuto fare che dare il via all’iter legale per la denuncia per il reato di riduzione in schiavitù.
Il sole in questi giorni cade a picco sulla pianura padana, ma i lavoratori, quasi tutti di origine berbera, non se ne curano. Ai bordi della statale per Tortona, quella che porta i turisti vogheresi al mare, hanno piantato delle piccole tende di fortuna, costruite con bastoni recuperati in campagna e un po’ di stracci. Il sindacato Cgil Flai, la Croce Rossa e la comunità Don Orione si sono attivati per aiutarli. I sindacalisti fanno la spola per recuperare cibo e acqua, la comunità di Tortona prepara il cibo. Solo la notte, a causa delle zanzare, viene abbandonato il presidio.
Ci sono tante donne in cerchio, ma anche uomini. Nel piccolo boschetto dove è stato improvvisato il sit in si beve tè marocchino e si chiacchiera. Quasi completamente in arabo, anche perchè i lavoratori altra lingua non conoscono. Solo qualcuno mastica un po’ di italiano, mentre il francese ormai se lo sono dimenticato. «Sono arrivato nel 2006 – racconta Elkhoumani Lahcen – . Sono partito dal Marocco e sono passato dalla Libia, prima di arrivare in Italia. Ho pagato mille euro per venire qui e sono finito in un centro di prima accoglienza. Dopo una settimana, grazie ad alcuni conoscenti che lavoravano da queste parti, sono arrivato qui. Vivo a Castelnuovo e lavoro per cinque euro l’ora. Ma da due anni non mi viene nemmeno corrisposto lo stipendio completo: solo acconti. A questi devo togliere anche le spese per il materiale che uso per lavorare come ad esempio i guanti».
L’affitto per la casa è di 260 euro e va diviso tra i tre inquilini, ma quello che più inquieta è il fatto che ci siano sorveglianti italiani, e una filiera diretta che lega il Piemonte alle coste della Puglia e della Sicilia, dove sbarcano i clandestini. Sul tavolo c’è anche l’ipotesi che alle spalle di questa tratta di uomini ci siano delle organizzazioni criminali. La realtà sul tavolo però è che nel Nord Italia, a pochi passi dalla città che ospiterà il prossimo Expo, esistono ancora gli schiavi. Lo dimostrano gli orari di lavoro ai quali sono sottoposti i quaranta migranti.
Si inizia alle 6.30 e la pausa è prevista alle 14.30. Mezz’ora per mangiare, dopo di che si torna a raccogliere frutta e verdura, anche fino a quando il sole è tramontato. «Non avevano diritto nemmeno all’acqua – dice Sabatino Saggese della Camera del Lavoro di Tortona – . Se la dovevano portare da casa, e quando era finita erano costretti a bere quella dei canali di irrigazione, che arriva direttamente dal torrente Scrivia. Che non credo proprio sia potabile». Attorno alla piccola tenda che fa capolino dalla statale si affastellano oggi storie di solidarietà e sostegno, ma anche di disperazione. È quella di Latiris Mimouna, una donna che si è ritrovata sola, dopo la separazione dal marito. «Pago 300 euro al mese di affitto – dice – e ne guadagno al massimo 600, visto che da mesi non veniamo nemmeno pagati. Per noi è impossibile anche tornare in Marocco, non avremmo la possibilità economica».
Oggi però tutti loro chiedono soltanto un trattamento più dignitoso. Una paga che anche soltanto un po’ si avvicini al minimo sindacale, che già in agricoltura è imbarazzante. «I braccianti sono in assoluto i lavoratori trattati peggio – spiega Anna Poggio del Cgil Flai – . Non esiste contratto nazionale, ma soltanto provinciale. E vengono pagati anche 4,50 euro l’ora. È difficile fare anche attività sindacale. Se si entra in una cascina si finisce addirittura denunciati per violazione della proprietà privata, quando non vengono liberati i cani». Nella zona quella dei quaranta extracomunitari non sembra essere una situazione isolata. Attraverso i siti internet sono arrivate altre segnalazioni. Tutte da verificare naturalmente. In un paesino vicino si parla di un’azienda che fa vivere nelle roulotte i propri braccianti. Una realtà simile a quattro donne che fanno parte del gruppo di scioperanti, costrette a vivere in un’ala abbandonata della cascina ai limiti della decenza. Oggi queste donne si trovano in un centro di accoglienza dove è stata prestata loro assistenza e dove vengono seguite dai volontari.
Intanto carabinieri e polizia hanno interrogato tutti i lavoratori in sciopero, raccogliendone le testimonianze. L’inchiesta continuerà nei prossimi giorni e non è detto che non si possa approdare a nuove conclusioni o che altre aziende finiscano nel mirino delle forze dell’ordine. La Cgil di Alessandria ha messo a disposizione i propri avvocati per seguire i lavoratori extracomunitari dal punto di vista legale, anche in merito ai permessi di soggiorno che non tutti hanno. Intanto Bruno Lazzaro, raggiunto al telefono, dopo le prime dichiarazioni si chiude dietro al silenzio e rimanda al proprio avvocato.