Nove morti, quattro feriti, 66 arresti, 3500 incidenti, decine di atti di squadrismo e due autobombe esplose che, a loro volta, hanno fatto due morti tra le forze di polizia e sette feriti in vari stati del Messico. Non è il saldo dell’ennesima operazione antinarcos dell’esercito né quello dello scontro tra i cartelli del crimine organizzato, ma il bilancio della giornata elettorale messicana di domenica scorsa.
Mentre la notte del primo luglio il virtuale presidente, Enrique Peña, celebrava la vittoria col 38% dei voti, dopo i primi exit poll, i quotidiani esteri, come Le Monde, già parlavano del ritorno di quella che il Nobel per la letteratura Vargas Llosa aveva definito “la dittatura perfetta”.
Lo scrittore si riferiva al dominio di un partito egemonico in un regime dalla parvenza democratica, cioè al Messico del Pri (Partido Revolucionario Institucional) dal 1929 al 2000, anno in cui la destra del Pan (Acción Nacional) vinse la presidenza.
Tra il 2005 e il 2011 Peña è stato governatore nell’Estado de México, il più popoloso del paese situato intorno alla capitale, ed è ricordato per le sue grandi opere inconcluse, per i suoi scandali familiari – due figli fuori dal matrimonio malgrado la sua vicinanza all’Opus Dei – ma soprattutto per il triste record dei femminicidi, conteso alla settentrionale Ciudad Juárez, e la brutale repressione della polizia contro gli abitanti di Atenco nel 2006. Quell’anno il Pan mantenne il potere con la vittoria di Felipe Calderón che lanciò un attacco frontale ai cartelli dei narcos schierando più di 20.000 militari in una guerra che ad oggi ha provocato oltre 60.000 morti, 16.000 desaparecidos, 230.000 trasferimenti forzati della popolazione e un forte deterioramento del tessuto sociale oltre che dell’immagine del paese all’estero.
La candidata governativa, Josefina Vázquez, ha ottenuto solo il 25% dei voti e non è riuscita a proporsi come “differente” – così recitavano i suoi slogan di campagna – dal suo predecessore il quale all’ortodossa stabilità dei fondamentali macroeconomici, inflazione e tassi d’interesse in primis, non ha saputo associare la crescita dell’occupazione e del Pil.
La sera del primo luglio Calderón, senza neanche attendere i risultati ufficiali, ha tenuto un discorso in tv elogiando la riuscita del processo elettorale e l’affluenza salita al 64%, ma poi ha rotto il protocollo e la “sobrietà istituzionale” da capo di Stato complimentandosi anzitempo con Peña, «il nuovo Presidente».
La stampa messicana parla di una «cronaca d’una vittoria annunciata» del candidato del Pri, in riferimento al sostegno da lui ricevuto negli ultimi 7 anni da TeleVisa, principale catena tv nazionale, e dalla diffusione continua dei sondaggi d’opinione che lo davano in testa anche con 15 punti di vantaggio sul rivale del movimento progressista, Andrés Manuel López Obrador (Amlo). Il risultato delle sinistre è stato complessivamente positivo e la coalizione ha evitato che il Pri ottenesse la maggioranza assoluta alla camera e al senato, oltre ad aver mantenuto il suo bastione storico, l’amministrazione di Città del Messico.
Anche se Amlo è staccato di 7 punti rispetto a Peña nei conteggi preliminari, terminati lunedì sera, il leader ha assunto una posizione attendista. Non ha ammesso la sua sconfitta né ha disconosciuto la vittoria dell’avversario, chiedendo invece «pazienza» per un nuovo conteggio di tutte le schede, date le numeroe irregolarità documentate durante il voto. Tra mercoledì e domenica l’Istituto Elettorale (Ife), che ha ammesso la presenza delle irregolarità e delle condizioni per la riapertura delle urne, provvederà a ricontare circa un terzo (ma non il 100%) delle schede per poi dare i risultati definitivi.
Martedì il quotidiano messicano La Jornada ha sbattuto in prima pagina la foto dei supermercati Soriana, presi d’assalto da centinaia di sostenitori del Pri, che in cambio del voto avevano ricevuto delle carte prepagate con dentro 60 euro o dei contanti: tra i 30 e i 70 euro per voto a seconda della zona. Nei quartieri slum del bastione del Pri, l’Estado de México, una regione con 10 milioni e mezzo di votanti, basta poco per farsi corrompere. Sulle colline interminabili coperte dallo smog e da formicai umani, fatti di case di lamiera e mattoni grigi e strade polverose, l’emarginazione e la povertà la fanno da padrone e non c’è ideologia che tenga.
Molte sezioni erano quasi irraggiungibili o inagibili, sono stati segnalati ritardi rilevanti quasi ovunque e in alcuni casi c’era propaganda di partito o striscioni di sindacati legati al Pri, come quello dei maestri, il Snte, di fronte alle cabine. Una schiera di facilitatori, con spille tricolori del Pri al petto, invitavano dalle prime ore del mattino a votare per Peña con in mano liste e quaderni per verificare la fedeltà al partito dei loro vicini di casa.
Gli osservatori internazionali hanno denunciato «alterazioni del voto» e la presenza di persone «che ostacolavano l’ingresso ai seggi e, secondo molti testimoni, offrivano cibo e soldi in case private per comprare il voto», dichiara Giulia Sirigu, osservatrice elettorale e ricercatrice italiana. Un altro ricorso previsto dalla legge che la coalizione progressista promuoverà riguarda l’impugnazione dei risultati nelle circoscrizioni in cui si sono registrati atti di violenza fisica, intimidazione, coercizione, compravendita e alterazione del voto.
Non sono affatto poche visto che secondo i dati del Partido Revolución Democrática (Prd, partito principale dei progressisti) ben 114.000 potrebbero presentare anomalie gravi. I ricorsi, però, saranno diretti al Tribunale Elettorale Federale che deve decidere entro settembre se annulla, convalida o aggiusta i risultati impugnati. In queste condizioni, secondo Julio Muriente, osservatore di Porto Rico, «c’è un discorso ideologico che pretende di legittimare a priori le elezioni, ma non potrei veramente esprimermi sulla validità del risultato». I seggi speciali aperti per chi si trovava in viaggio hanno esaurito le schede spesso prima dell’una pregiudicando il diritto al voto di migliaia di cittadini.
In un paese in cui l’80% delle persone forma la propria opinione politica grazie alla tv sono stati gli studenti a ridare aria fresca al panorama sociale. Il movimento YoSoy132 è nato a maggio come reazione degli universitari alla «dittatura mediatica» del duopolio televisivo, in particolare di TeleVisa che, secondo il quotidiano inglese The Guardian, stipulò un patto con Peña per portarlo alla presidenza.
Gli esponenti del Pri non sono stati teneri con gli studenti accusandoli di essere dei «cooptati», venduti all’opposizione, scatenando così una reazione di massa che ha condotto a decine di mobilitazioni, ultima quella di lunedì con 30.000 persone in piazza. L’indignazione di chi per vari motivi non ha potuto votare s’è unita quindi al rifiuto dei ragazzi di YoSoy132 nei confronti d’un processo così viziato. Tremila universitari, accreditati come osservatori, hanno riportato furti di urne, rapimenti di funzionari, compravendita di voti, sparatorie e altre irregolarità, evidenziando così la fragilità della democrazia messicana su cui promettono di continuare a vigilare.