“L’Europa sia più pressante: solo così l’Italia si riformerà”

“L’Europa sia più pressante: solo così l’Italia si riformerà”

Linkiesta intervista l’economista Alberto Quadrio Curzio, professore e vice-presidente dell’Accademia dei Lincei a proposito delle decisioni del Consiglio europeo e i summit dell’eurogruppo. La situazione è difficile per l’Italia, grave per la Spagna, e il tempo per la politica si sta rapidamente esaurendo: lo spread tra titoli italiani e tedeschi supera nuovamente i 480 punti base, la Germania continua a definirsi contraria alle richieste di accelerazione per un’unificazione fiscale che faccia fronte ai debiti sovrani e le decisioni stentano ad essere tradotte in pratica. 

Partirei dalle decisioni del Consiglio Europeo: la supervisione bancaria accentrata sulla Bce, i fondi anti-spread. Sono sufficienti queste proposte?

Secondo me quel summit, dal punto di vista facciale, è stato importante perché ha fissato tre linee d’azione significative, cioè quella dello stimolo alla crescita, quella dell’approfondimento dell’unione economica e monetaria, quella delle misure d’emergenza. Detto questo il passaggio dagli enunciati dei vertici all’operatività delle decisioni è molto complesso e per attuare queste decisioni bisogna che chi ha la responsabilità attuativa si muova. Vedo purtroppo che già l’Eurogruppo di oggi sembra aver segnato il passo. Stando alle indiscrezioni emerse finora, dai documenti programmatici, mi attendevo che l’Eurogruppo fosse più veloce sulle misure di contenimento degli spread fra i titoli di Stato europei e le misure di un intervento nel sistema. Ciò, a mio avviso, non è accaduto e si è rimandato ancora alle ultime decadi di luglio.

Rimandiamo ancora, ma abbiamo tempo?

È questo il problema. A mio avviso l’eurogruppo dovrebbe essere molto operativo, molto determinato e molto deciso, prendendo una serie di azioni che siano anche esposte a qualche critica o qualche rischio di andare oltre le proprie strettissime competenze. Tra l’altro, azioni di questo tipo, sono state assunte da altri soggetti d’Europa. Non siamo in un momento in cui si possono rimandare così le decisioni. Dieci giorni sono tanti, non tanto per l’Italia che riesce ancora ad andare avanti, quanto per la Spagna. Per Madrid il tempo stringe: c’è il rischio di un avvitamento in una situazione di non ritorno.

Una domanda per ritornare in Italia. Stamattina il tasso d’interesse sui titoli di Stato decennali ha superato il 6,10%. Lei dice l’Italia può ancora andare avanti, ma un tale rendimento è sostenibile?

È chiaro che nel lungo periodo questi livelli di rendimento sono insostenibili per l’Italia. Ma nel breve-medio termine ce la possiamo fare. Il caso della Spagna è diverso perché Madrid ha già fatto una richiesta per il sostegno del sistema bancario di 100 miliardi di euro. L’Italia non ha fatto una richiesta d’intervento per calmierare gli spread fra Btp e Bund, tant’è che il presidente del Consiglio Mario Monti ha detto che è un meccanismo importante, lo volevamo, ma non avevamo motivo di ricorrervi oggi. C’è una differenza tra i due paesi. Naturalmente il tempo non sta operando a favore dell’Italia per ragioni che vediamo sui mercati: lo spread che intorno al 29 giugno era sceso a 405 punti base, oggi è tornato oltre quota 480.

E quanta parte di questo spread è dovuto alla struttura economica italiana?

Quanto della quota di questo spread si debba ricondurre all’eurozona o all’Italia ci sono opinioni contrastanti. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ieri ha detto che 200 punti base sono dovuti a ragioni endogene, i restanti 280 a ragioni esogene. Io sostanzialmente condivido questa lettura: meno del 50% quindi.

Come mai?

Se torniamo indietro allo stesso periodo di un anno fa, quando già c’era la crisi dell’eurozona, ma questa non era ancora diventata così acuta, e l’Italia era ancora fuori dal centro delle tensioni, il nostro spread con i Bund tedeschi era a 180 punti base. Ecco perché dico che, dall’aggravarsi della situazione, i 280 punti base della lettura di Visco sono da attribuirsi alla crisi dell’eurozona.

Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi) e il finanziare George Soros hanno dato all’Europa tre mesi di vita a inizio giugno e un mese è già passato. Lei condivide questa lettura?

Io non credo che il sistema crolli. Le turbolenze continueranno, così come continueranno i problemi, ma non credo che l’Europa arriverà al collasso. Il Consiglio europeo di fine giugno ha dimostrato che anche la Germania sia stata ricondotta a una solidarietà europea dalle richieste unite di tre grandi paesi come l’Italia, la Francia e la Spagna.

La Germania non sembra, però, condividere questa visione. Lei pensa che questa sia un’opposizione di facciata che cede, in realtà, alle esigenze pratiche?

Io credo che la Germania seguirà questa soluzioni pur con resistenze che servono per l’opinione pubblica interna. Io non credo che l’eurozona collasserà. Consideriamo il fondo salva-Stati temporaneo European financial stability facility (Efsf) e il fondo permanente, lo European stability mechanism (Esm): entrambi hanno delle enormi potenzialità, specie lo Esm, che per ora non sono utilizzate, perché se fossero usate al meglio potrebbero benissimo contrastare la crisi dell’eurozona, che in quanto a debito su Prodotto interno lordo (Pil) sta molto meglio degli Stati Uniti. Il problema è un problema di coordinamento fra le nazioni europee, quindi soprattutto politico. Il vertice di fine giugno è un passo avanti; ora dobbiamo vedere se riusciranno a mettere in pratica le misure decise nell’ultimo Consiglio europeo nei prossimi summit.

Lei si sente, quindi, ottimista?

Io non sono ottimista: sono fiducioso. Non sono né negativo né pessimista, ma credo nella zona euro. Anche perché i costi di un eventuale collasso per l’Europa e il resto del mondo sarebbero catastrofici. Il fatto che il presidente americano Barack Obama sia stato in contatto continuo con Monti prima del vertice, dimostra quanta preoccupazione anche l’America abbia per le conseguenze sull’economia e sulla finanza mondiale un break-up dell’Eurozona.