E così, caro Nord, vent’anni dopo il culetto ti brucia ben peggio di prima. Venti anni fa, dopo le ruberie democristiane e socialiste, dopo uno strano insieme di abnegazione, creatività vera, evasione diffusa (e vai a capire in quale esatta proporzione…), il nord Italia incrociava la fine delle ideologie e dell’Unione Sovietica: che per un produttore significava che concorrenza e mercati si aprivano su strade che sembravano infinite. Ma nel mare piccolo, molto più finito, della sua piccola Italia la situazione non aiutava certo a pensare in grande. Un fiume di tasse, una burocrazia lentissima, stecche ed “extra-costi” da mettere comunque nel bilancio mentale (cioè quello vero). Il mondo che correva veloce e la “tua” politica, viveva invece mollemente adagiata, ripiegata, quasi rinchiusa a Roma. Se no, vivacchiava sul territorio: finanziamenti, intelligenze, favori e sensibilità non regolate in ordine sparso a fare “il mercato”. Banche pubbliche in gran parte, pubbliche le reti, pubblico il grosso insomma della roba.
Venti anni dopo – un grande classico cui anche le nostre generazioni non potevano sottrarsi – quelli che hanno avuto il potere, ad ogni livello e in giudizio ovviamente complessivo che non trascura le virtù degli episodi, hanno peggiorato la situazione. Hanno utilizzato male il loro potere, e in nessun caso seriamente rispondendone a chi glie lo aveva dato. Né nel pubblico, né in quello che in Italia chiamiamo “privato” anche quando vive nel e del pubblico. Va anche detto, a onor del vero, che se mai ne hanno risposto è anche perché seriamente mai è stato loro chiesto conto, se non per una confusa via giudiziaria.
Sta di fatto che vent’anni dopo, caro Nord, la bandiera che porta il tuo nome sta scomoda in mano un po’ a tutti. La Lega, quella che ha il copyright, l’ha “buttata nella merda”: e anche in questo caso il copyright potrebbe essere tranquillamente loro. Inutile stare a fare tante analisi, venire fuori di lì non è mai facile. Gli scandali della famiglia del Bossi che sembra la caricatura di un padrino. Un partito di governo sempre appeso al traino di Berlusconi e del “Giulio”, come lo chiamava Bossi nelle lunghe serate sulle montagne lombarde a rimembrare i tempi andati.
Di tutto questo cosa ci resta? Aumento del debito pubblico, della spesa e della tassazione. Infrastrutture logorate e non rinnovate. Una strategia rispetto alla globalizzazione davvero inesistente. E infatti vent’anni dopo il Nord rappresentato sta peggio di prima. Non che stia meglio il Sud, beninteso. Tra nominifici coi soldi di tutti in Sicilia e stabilimenti che chiudono dappertutto, coi soliti problemi strutturali di mafie usciti serenamente da ogni dibattito, il sud resta sempre parecchio indietro. Anche di più di prima secondo molti indicatori: di certo il “fardello” sul quale il Nord fondò quasi trent’anni fa il suo partito non è più leggero. E il nord è intanto più vecchio, più stanco e meno produttivo: e se non dimostra il contrario, anche meno intelligente. Già, perché è un bel parlare dire che la Lega Nord non ha combinato niente, e del resto, lo diciamo sempre anche noi de Linkiesta. Ma la Lega ha avuto il merito indubbio di porre il problema Nord-Sud di questo paese con parole chiare. Inoperose e colluse coi peggiori poteri, ma oggettivamente fondate su una realtà non sostenibile nel lungo periodo: e per capirlo, basta vedere quale casino ha saputo aggiungere a tremende incertezze la vicenda greca su un continente e delle leadership assai più strutturate, rispetto alla nostra immaginaria Padania. In Padania, quelle risorse donate a fondo perduto al Sud, pesano come macigni, ben più dei miliardi tedeschi che finiscono in Grecia.
A Mezzogiorno, le ragioni di malcontento popolare ovviamente non mancano: i ceti colti elaborano richiami storici in vario modo utilizzati da movimenti politici di matrice sudista che sembrano una mal riuscita caricatura della Lega. Tutto dire. Per il resto, brusio, rumori di fondo.
Il Nord, in teoria, è forte al governo. Monti, Fornero, Passera: te la do io la Padania! Peccato che, fin dalla sua costituzione, si è capito che il tema degli squilibri tra nord e sud non era – non poteva essere – in nessuna agenda seria. C’era la crisi internazionale, lo sprofondo di credibilità, la speculazione e le richieste di un’Europa che voleva vedere numeri, tanto meglio che poco, ma soprattuto subito. E un problema che esiste da secoli non si risolve in tre mesi. E quindi, si prendono risorse anzitutto dove ci sono, cioè dove si lavora in modo lineare: quindi al nord più che al sud, tanto che perfino la moribonda Lega Nord di questi tempi rischia di resistere nel consenso impastato – come da tradizione – di malcontento. Si lanciano poi – e davvero non è poco – segnali culturali giusti: il perimetro dello stato e della sua spesa possono anche ridursi. La parola spending review va insomma imparata, ma soprattutto bisogna imparare a prendere sul serio l’impegno a praticarla. Ma non si può credere, razionalmente, che quella così azionata dal governo Monti sia un’azione destinata a cambiare sorti e percezioni di un paese, e del Nord su cui la maggioranza di quei costi grava.
E quindi, “che fare” come si chiedevano quelli per cui la politica era una cosa fin troppo seria? E troppo seria è la domanda per pensare di rispondere, qui e ora. Ma certo, anche troppo seria per non essere battuta e ribattuta costantemente, con insistenza, ricordando che l’urgenza della domanda ha due ottime ragione a suo sostegno.
La prima è morale. Non è giusto un sistema che toglie a chi produce per dare, sostanzialmente senza una vera ragione, a chi non lo fa. E questo vale a svantaggio, egualmente, dello statalismo assistenzialista che salva tanti privati cittadini del sud (e del nord) come ha beneficiato tante grandi imprese del nord, e caste assortite e capillarmente diffuse. Non sono il Nord e il Sud, in realtà, a essere divisi, ma i produttori e i parassiti, I Luigini e i Contadini come li definisce Gabrio Casati in un libro molto intelligente, e non è certo una divisione accettabile da nessun punto di vista.
Ma poi c’è un’altra ragione più bieca: questa volta le risorse da redistribuire, seppur iniquamente, potrebbero proprio non bastare. Insomma, colpa dei mercati e dello spread, della globalizzazione e del mancato governo di questi processi lunghi, ma questa volta i parassiti potrebbero dare il colpo finale ai produttori.
Che dovrebbero, loro sì, trovare il modo di rappresentarsi davvero, e di mettere faccia, cervello e coraggio alla guida di un movimento sensibile alla voglia di fare impresa, di inventare nuove forme di lavoro, di valorizzare chi ha talento e saperi. Sapendo che Nord e Sud sono parole che aiutano a capire, ma non confini dentro a cui chiudere e dividere la parte migliore di un paese che deve farcela, e deve sapere che non è scontato.