Storia MinimaPrima di parlare di fascismo (del web), meglio leggere Togliatti

Prima di parlare di fascismo (del web), meglio leggere Togliatti

La locomotiva di Francesco Guccini è il testo che ha ispirato Osama Bin Laden? Ovvero la fonte teorica dell’attacco alle Twin Towers è in una «locomotiva, come una cosa viva, lanciata bomba contro l’ingiustizia»? Solo un dissennato lo sosterrebbe e infatti nessuno ha mai pensato di accusare Francesco Guccini di essere il «grande vecchio» degli «uomini(donne)-bomba che hanno segnato il nostro tempo attuale».

Allo stesso titolo non sembra legittima la comparazione tra il Movimento Cinque stelle e Beppe Grillo con il fascismo, tema su cui molti si sbizzarriscono in questi giorni a partire dalle affermazioni del segretario del Pd Luigi Bersani. Da cui sono discesi un profluvio di parole, di chiacchiere senza costrutto e anche di analisi poco documentate e dove tutti hanno cominciato a usare le parole (fascista, comunista, ….) con una disinvoltura notevole. Qualcuno si ricorda di Palmiro Togliatti (Bersani compreso)? Bene. Forse leggerlo non sarebbe male. Così tanto per provare a usare la testa. Né per scuoterla, né per agitarla come un pupazzo.

Fascismo. Misurare la parola.

Il fascismo, la sua essenza, le sue origini, il suo sviluppo, come oggetto di studio, sembrano interessare sempre di più il mondo del lavoro e i partiti che costituiscono l’Internazionale comunista. Tuttavia non penso che a questo bisogno di conoscere corrisponda sempre una concezione esatta del fenomeno fascista esaminato sotto i suoi vari aspetti; credo che questo desiderio di sapere non sia sempre accompagnato dalla ferma intenzione di arrivare al sapere studiando attentamente il fascismo quale si manifesta concretamente in Italia e negli altri paesi.

Mi pare anzi che invece ci si lasci andare a sostituire allo studio approfondito di questo fenomeno l’esposizione di generalizzazioni del tutto astratte e non corrispondenti dunque completamente alla realtà. Pur tuttavia il difetto che consiste nel generalizzare a oltranza non è ancora la cosa peggiore, poiché non è raro che parlando del fascismo si commettano errori veramente grossolani di giudizio e d’interpretazione politica e storica. Non mi propongo qui di rilevare tutti questi errori; voglio semplicemente insistere su qualche aspetto del problema e tirarne alcune conclusioni. Mi servirò a questo fine dei risultati ottenuti mediante l’analisi e le ricerche effettuate in questo campo dal nostro stesso partito.

(…)

Si è presa l’abitudine di designare così ogni forma di reazione. Un compagno è arrestato, una manifestazione operaia è brutalmente dispersa dalla polizia, un tribunale condanna ferocemente dei militanti del movimento operaio, una frazione parlamentare comunista vede i suoi diritti lesi o abrogati, insomma in occasione di ogni attacco o violazione delle cosiddette libertà democratiche consacrate dalle Costituzioni borghesi, si sente gridare: «Ecco il fascismo! Siamo al fascismo!». Bisogna intendersi: non si tratta di una semplice questione di terminologia. Se si ritiene giusto applicare la designazione di fascismo a ogni forma di reazione, passi.

Ma non capisco che vantaggio vi troveremmo, salvo forse nell’agitazione. La realtà è un’altra. Il fascismo è una forma particolare, specifica della reazione; e ci è necessario comprendere bene in cosa consista questa sua particolarità. Né bisogna immaginarsi che questa analisi sia necessaria unicamente per arrivare a una distinzione obiettiva e scientifica. È egualmente indispensabile per giungere a un fine politico, per poter definire esattamente l’atteggiamento da prendere di fronte al fascismo quale è attualmente e soprattutto la condotta da adottare in avvenire durante il periodo di preparazione e di sviluppo di un movimento fascista.

Effettivamente, noi potremmo svolgere nel corso di questo periodo preparatorio un’azione precisa, destinata a ostacolare questi preparativi, a impedire questo sviluppo, ma la nostra attività potrà avere un successo soltanto se sapremo valutare esattamente quello che si trama nel campo avversario. Al contrario, se prenderemo come punto di partenza il famoso detto secondo il quale «di notte tutti i gatti sono grigi» e ne dedurremo che tutti i fenomeni di reazione sono fascisti, non arriveremo mai a occupare solide posizioni politiche e tattiche. 

Il primo esempio di cui voglio servirmi per provare la giustezza della mia affermazione, sarà preso dalla esperienza stessa del nostro partito. Nel 1921-22, mentre questo non aveva ancora che due anni di esistenza e l’offensiva fascista era giunta al suo punto massimo, senza tuttavia aver portato alla vittoria completa, cioè alla conquista del potere da parte del fascismo, noi vedevamo trionfare in seno al nostro Comitato centrale una dottrina che penetrò tutta la politica della nostra organizzazione e che partiva dalla affermazione che il fascismo era puramente e semplicemente la reazione capitalistica. È evidente che questa affermazione non era affatto sbagliata.

Essa esprimeva anzi una verità, poiché effettivamente nel corso di quegli anni l’attività sviluppata dalle squadre fasciste a detrimento del movimento operaio e contadino d’Italia si esercitava naturalmente a profitto del capitale industriale e finanziario. Ma il fascismo non era unicamente reazione capitalistica. Esso comprendeva nello stesso tempo molti altri dementi. Comprendeva un movimento delle masse piccolo-borghesi rurali; era anche una lotta politica condotta da certi rappresentanti della piccola e media borghesia contro una parte delle antiche classi dirigenti; era un tentativo di creare una organizzazione unificata, estendentesi a tutto il paese, raggruppante una frazione di piccoli borghesi delle città diretti da elementi declassati (ex-ufficiali, disoccupati professionali); era infine una organizzazione militare che poteva pretendere di opporsi con probabilità di successo alla forza armata regolare dello Stato.

Comprendendo il fascismo tutti questi elementi, oltre alla reazione capitalistica, il suo sviluppo doveva necessariamente essere complesso. Era assolutamente ingenuo credere che il capitalismo si sarebbe servito di questo movimento come di uno strumento destinato a rompere la forza del proletariato, salvo a metterlo in seguito da parte per continuare a mantenersi al potere tornando alle forme abituali, servendosi delle stesse istituzioni, degli stessi uomini politici, degli stessi metodi di prima. La complessità del fenomeno fascista fece si che l’evoluzione del movimento non fosse determinata esclusivamente dal fine verso il quale tendevano la borghesia e gli agrari, ma fosse anche influenzata da altri motivi, di carattere diverso, da altri impulsi, sorgenti dal seno stesso del movimento e che in certi momenti cercarono persino di dominarlo.

Il semplicismo di cui fece mostra il nostro partito ebbe due conseguenze che ci causarono grandi danni. Anzitutto noi non ci eravamo accorti che sarebbe stato possibile impedire al fascismo di conquistare certi ambienti della piccola borghesia; più esattamente, noi avremmo potuto contribuire ad accentuare le contraddizioni inerenti a questo movimento in seno alle masse piccolo-borghesi. Inoltre non c’eravamo resi conto che la conquista del potere da parte dei fascisti non poteva effettuarsi se non dopo una lotta abbastanza violenta tra questi e una parte delle vecchie classi dirigenti. Fino alla vigilia dell’avvenimento e mentre questo già si stava compiendo avevamo negato la possibilità di un colpo di Stato fascista. Erano conseguenze, come si vede, abbastanza importanti per la politica.

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