Il settore del trasporto refrigerato di alimenti vive una profonda crisi, così come altri relativi alla movimentazione delle merci. L’attività è diminuita e le imprese anche, mentre i costi salgono (in particolare quelli del carburante) e le tariffe restano inchiodate intorno a 1,10 euro al km. Il che equivale a dire che per una tratta Milano-Roma un trasportatore con un Tir frigorifero da 44 tonnellate incassa appena 660 euro oltre l’Iva o giù di lì.
In più, c’è la particolarità tutta Italiana delle accise sul gasolio, che sono identiche (e pesantissime) sia per quello da autotrazione, sia per quello che serve ad alimentare il motore diesel dell’unità frigorifera, mentre all’estero (per esempio, in Francia), ogni operatore gode per quest’ultimo carburante di un regime fiscale agevolato per un certo numero di litri all’anno. Secondo Mauro Sarrecchia, segretario nazionale di Transfrigoroute Italia Assotir, l’organizzazione di categoria che rappresenta gli operatori del trasporto refrigerato, quest’anno l’attività è diminuita di circa il 10% e il problema dei costi del carburante pesa quanto quello dei ritardati pagamenti: mediamente, oggi i trasportatori ricevono il dovuto dopo 120 giorni dall’emissione della fattura e la tendenza è verso un ulteriore allungamento di 30 giorni.
Se si pensa che la maggior parte delle spese di funzionamento di tali imprese (carburante, assicurazione e autostrada) vengono pagati in contanti e che in questo periodo le banche non sono certo generose nell’erogare crediti, si può concludere che a soffrirne sono soprattutto gli investimenti per il rinnovo del parco autoveicoli e per la loro manutenzione.
Molte imprese, soprattutto quelle dei padroncini, non hanno materialmente il denaro per effettuarla. E proprio qui si entra in un aspetto delicato, poiché il trasporto refrigerato deve fare i conti non solo con la manutenzione dei Tir, ma anche con quella delle loro unità frigorifere, dalla cui efficienza dipende un fattore cruciale come il mantenimento della cosiddetta catena del freddo, cioè di una temperatura di conservazione idonea durante tutte le fasi che portano il prodotto dal luogo di fabbricazione o confezionamento a quello di vendita.
Riguardo ai surgelati, per esempio, la legge (DPR 327/1980 e accordo ATP, Accord Transport Perissable) prevede che il trasporto debba avvenire a una temperatura di -10°C per i gelati alla frutta, di -15°C per altri tipi di gelato e di -18°C per le altre sostanze alimentari. La conservazione a temperature inferiori e lo scongelamento anche parziale con successivo ricongelamento possono compromettere le caratteristiche organolettiche degli alimenti e portare a pericolose contaminazioni batteriche.
Ebbene, informazioni raccolte da Linkiesta presso alcune aziende specializzate nella riparazione delle unità frigorifere dei Tir indicano che molti autotrasportatori, alla disperata ricerca di risparmi che possano far quadrare i conti, sono passati dalla logica della manutenzione preventiva, ossia delle operazioni periodiche che permettano il corretto funzionamento nel tempo dei frigo, a quella della gestione dell’emergenza. In altre parole, i Tir circolano spesso con le unità refrigeranti in condizioni precarie perché non sono state sottoposte alla manutenzione prevista dal costruttore.
Quando arriva la stagione calda che le sottopone a condizioni di funzionamento gravose, le unità spesso cedono all’improvviso, il che costringe l’autista a rivolgersi a un’officina in grado di risolvere il problema il più rapidamente possibile, ossia prima che la temperatura all’interno del vano refrigerato salga oltre il limite previsto. Spesso l’intervento è sollecito e la merce non subisce traumi termici significativi, ma talvolta ciò non accade, soprattutto se l’avaria avviene negli orari di chiusura delle officine.
Quelle che operano con servizio 24 ore (e anche qui, c’entra la crisi) sono ormai pochissime: nel Norditalia, per esempio, sono solo due per Thermoking e altrettante per Carrier, le due marche più diffuse di unità frigorifere per i Tir. Nei casi di avaria prolungata gli alimenti vanno letteralmente a male e sono manifestamente invendibili, però in altri, abbastanza frequenti, lo shock termico si prolunga comunque a tal punto da compromettere la qualità del carico, ma non l’aspetto o l’odore che rendono immediatamente riconoscibile un alimento non più commestibile.
A dire il vero le unità frigo sono dotate per legge di un dispositivo che registra e stampa la “storia termica” del cibo surgelato durante il viaggio, e le aziende che ricevono il carico sono tenute a verificarla e a rifiutare la merce se ritengono che sia stata mal conservata. Tuttavia, non tutte le aziende, soprattutto quelle della piccola e media distribuzione, sono scrupolose allo stesso modo e c’è comunque il grosso problema dei transiti intermedi: il cliente finale controlla ovviamente la “storia termica” dell’ultimo viaggio, ma non può sapere che cos’è accaduto durante gli altri che eventualmente hanno portato il carico dal produttore al bancone dei surgelati.
Il segretario Sarrecchia, interpellato sulla reale possibilità di episodi d’interruzione della catena del freddo, ha risposto così: «A mio parere il vero problema è che cosa accade, e quanto tempo passa tra lo scarico delle merci al destinatario finale e l’esposizione nei banchi frigo di negozi e supermercati. La legislazione vigente in Italia in materia di trasporti refrigerati e la quantità di controlli effettuati dalle Autorità mi permettono di affermare che da noi la situazione è migliore rispetto a quella di altri Paesi, ma certamente la crisi incoraggia i comportamenti non virtuosi».
In altre parole, Sarrecchia non esclude abusi. Ma oltre alla mancata manutenzione e agli autisti che talvolta spengono il frigo per risparmiare un po’ di gasolio (le unità consumano mediamente un litro e mezzo l’ora), c’è da segnalare anche un intensificarsi delle sottrazione di prezioso gasolio che i trasportatori subiscono sia dai serbatoi delle motrici, sia da quelli delle unità frigorifere. E per queste ultime, va messa in conto anche la piaga dei furti di pezzi che alimentano il traffico dei ricambi rubati. Insomma, non è raro, per un autista che lascia incustodito il mezzo in un autogrill per un po’ di tempo, ritrovarsi svuotati sia il serbatoio della motrice, sia quello del frigorifero, e magari anche quest’ultimo inutilizzabile perché privato di qualche componente.