La “Bella addormentata” non è un film. Perché ne contiene almeno tre. Non perfettamente riusciti allo stesso modo, intrecciati insieme costituiscono però un affresco potente che parte dal fine-vita e finisce per misurare al mercurio la temperatura morale dell’Italia corrente, in un drammatico rimbalzo tra scena pubblica e scene private.
Il primo film dei tre è la narrazione serrata dei tre violenti giorni che scandirono il caso Englaro: l’8, il 9 e il 10 febbraio. Tre giorni in cui una terminale storia privata di sofferenza lunga 17 anni divenne scintilla di un incendio politico senza precedenti. Fondamentale in questa scansione è il ruolo di uno dei personaggi non dichiarati della pellicola: SkyTg24, le cui immagini audiovisive accompagnano come un coro greco il trasporto del corpo di Eluana da Lecco a Udine, la polemica istituzionale che vide uno scontro tra governo Berlusconi e Quirinale, l’iniziativa dei gruppi ultracattolici che organizzarono sit-in dinanzi alla clinica La Quiete dove Eluana è ricoverata, infine la morte della donna e quel che ne segue. Questa è la scena pubblica, che vide l’alternarsi di coraggio (e per tutti vale la figura di Beppino Englaro, tra le più significative che la cronaca italiana abbia registrato in questi anni ed erroneamente trascurata – forse per eccesso pur ammirevole di pudore – nel racconto di Bellocchio) e infamie senza fine, in cima alle quali – Bellocchio ci ricorda – l’agghiacciante dichiarazione di Berlusconi sul “ciclo mestruale” di Eluana e il vomitevole intervento di Gaetano Quagliariello, un tempo radicale pannelliano pro-aborto e pro-biotestamento, oggi vicepresidente dei senatori del Pdl, che alla notizia della morte della donna nell’Aula ammutolita di Palazzo Madama ebbe l’ignominia di dire che “Eluana è stata ammazzata”.
Ma su questa fiammante scena pubblica Bellocchio compie un’operazione di zoom, impietosa e grottesca, che è il vero colpo da maestro del regista piacentino: perché il secondo dei tre film è sostanzialmente il racconto dei laici socialisti di Forza Italia. Una componente fondamentale di quello che è stato a lungo il primo partito italiano. Fabrizio Cicchitto, Giulio Tremonti, Maurizio Sacconi, Renato Brunetta: nomi tra i più in vista del berlusconismo, che li ha accolti dalla diaspora del craxismo stroncato da Mani Pulite. L’operazione di Bellocchio è sofisticata: non usa i nomi veri né tantomeno crea personaggi immediatamente riconoscibili, tranne uno, che nella vicenda Englaro fu l’eccezione dissidente al sistema: nel film è il senatore Uliano Beffardi (un Toni Servillo molto più contenuto del solito), che corrisponde nella realtà a Ferruccio Saro, compagno nel Psi friuliano di Beppino Englaro, entrambi udinesi. Saro fu l’unico che nella Forza Italia allineata e coperta sulla questione si schierò dalla parte della famiglia di Eluana. Va considerato che la Forza Italia di quel febbraio 2009 è un partito posto in stato semivegetativo dal predellino di San Babila, un anno e mezzo prima: i deputati bellocchiani sono depressi, infelici, bisognosi delle pillole del parlamentare psichiatra (un impareggiabile Roberto Herlitzka). Un mese e mezzo dopo, a fine marzo 2009, sarebbe ufficialmente nato il Pdl, la nuova “caserma” del Cavaliere allargata ad Alleanza Nazionale, dove lo spirito laico-socialista sarà – come già nel partitissimo azzurro – sottoposto al superiore e non discutibile spirito di gratitudine per il capo che li ha portati in Parlamento (ci sarà poi la fuoriuscita finiana di Fli). Piccola nota: Saro continua a essere un senatore del Pdl, per quanto nella posizione dissidente incarnata nella linea Pisanu. Dice di essere stato un politico della Prima Repubblica, di essere oggi uno della Seconda, e che spera di esserci anche nella Terza.
Ma la “Bella addormentata” è anche un terzo film, che potrebbe intitolarsi più propriamente “Belle addormentate”, e racconta delle storie private di persone e famiglie che vivono il dramma vissuto pubblicamente da Eluana e dagli Englaro. Forse questa è la parte più debole del film, appesantita di qualche personaggio inutile, più autocitazionistico che funzionale, e di passaggi drammatici un po’ appiccicati. In ogni caso, una pellicola importante, a dimostrazione della bravura di Bellocchio a reinventarsi e ad affrontare senza paure e cautele alcuni temi particolarmente spinosi, lui che potrebbe comodamente adagiarsi su un’immagine di autore superconsacrato. Feroci polemiche in vista.
Peraltro, la profondità e il coraggio della “Bella addormentata” risaltano ancor di più nel confronto con l’altro film “politico” in concorso, ossia “Après Mai” di Olivier Assayas, che racconta l’immediato post-sessantottismo francese (il film è ambientato nel 1971) tra inasprimento ideologico rivoluzionario, derive personali in fallimenti e tossicodipendenze, impossibilità di far coincidere la propria vita con le proprie ambizioni (soprattutto artistiche, visto che si parla di imberbi e affluenti bobò; i figli degli operai passano invece senza discontinuità dalla scuola alla fabbrica). Ottima confezione (Assayas è pur sempre l’autore dell’eccezionale “Carlos” televisivo) ma scarsissima personalità: a camminare sul troppo liscio, si rischia di scivolare.