Dalle grida ai click, la regressione dei mercati finanziari è completa. Finiti i tempi del floor, l’anfiteatro finanziario per eccellenza nel quale fra le urla dei broker si vendeva di tutto, è arrivato il tempo delle macchine. I computer hanno rivoluzionato la finanza, proprio come le piazze finanziarie hanno rivoluzionato il modo di negoziare un bene. E ora i normali computer sono già vecchi. È arrivata l’era dei microsecondi. È iniziata l’epoca dei sistemi High-Frequency Trading (HFT).
Negli ultimi cinque anni è cresciuta una generazione di strumenti che ha cambiato il mondo della finanza. Nella tecnologia si è arrivati a livelli impensabili fino a pochi anni fa. Ma nella pratica, i mercati finanziari sono tornati a essere plutocratici. Come nella Wall Street fra 1920 e 1930, l’universo finanziario odierno è governato dai soldi. Se novant’anni fa più denaro avevi e più informazioni privilegiate potevi comprare, oggi più dollari hai e più veloce sarà il sistema informatico che potrai acquistare. L’evoluzione maggiore è quella dei sistemi di negoziazione ad alta frequenza, o HFT, che non sono altro che programmi informatici. Basati su algoritmi modellati sulla base delle esigenze del cliente finale, svolgono il compito di centinaia di trader.
Nati alla fine del secolo scorso, fra il 1998 e il 1999, hanno preso il posto dei normali strumenti di negoziazione. Dai terminali Telerate o Quotron si è passati a sistemi molto più complessi. «Sono installati su supercomputer, con una potenza di calcolo che non sfigurerebbe con le macchine della Nasa di alcuni anni fa», spiega a Linkiesta un analista di Tradeweb. Operano in microsecondi e possono movimentare grandi volumi. In genere, ma la tendenza è in calo, operano con posizioni di breve durata, molto spesso intraday. Non ci sono mercati in cui non sono presenti: dalle azioni alle obbligazioni, passando per le commodity e i metalli, sono ovunque. «Li riconosci subito, quando operano – racconta l’analista di Tradeweb – perché certi movimenti su un indice o su un altro, tanto veloci quanto profondi, sono imputabili a loro».
Nel corso degli anni sono nati diversi sistemi HFT. Limitarsi a dire che sono dei robot è tanto sbagliato quanto ingenuo. La personalizzazione è totale. Cisco System, IBM, Oracle: i big dell’informatica hanno programmi che si possono modellare come si vuole. E poi ci sono tante società minori in grado di creare sistemi HFT a caro prezzo. E poi ci sono i team di matematici finanziari per modificare i singoli sistemi. «Le cifre sono molto elevate: alcuni sistemi hanno costi di diversi milioni di dollari», spiega un analista di Nomura. Ci sono HFT basati sui volumi di mercato, sulle valutazioni mark-to-market, sulla volatilità, sulle performance degli indici, su quella dei singoli titoli, su qualsiasi cosa che sia possibile da utilizzare come benchmark. Quasi tutti hanno incorporato un feed di notizie, grazie al quale la macchina può decidere di aprire o chiudere una posizione. Se per esempio sul terminale Bloomberg viene battuto un lancio d’agenzia in merito a raggiungimento di una determinata soglia dell’indice FTSE MIB, il principale di Piazza affari, un sistema HFT programmato per vendere i futures sul FTSE MIB che aveva comprato, inizia a farlo. Automaticamente. «Ho visto scene molto singolari di trader su HFT che fanno la metà del lavoro che facciamo noi che abbiamo i sistemi tradizionali. Certo, ci sono più rischi, ma puoi lasciar lavorare la macchina in solitudine», afferma a Linkiesta un trader sulle commodity di una primaria banca italiana.
Non esistono cifre esatte sul valore che riescono a smuovere. Dato che molto spesso chi possiede un sistema HFT opera su mercati Over-the-counter (Otc), ovvero non regolamentati, non ci sono dati ufficiali. Le più verosimili stime sono state effettuate dall’International organization of securities commissions (Iosco) nello scorso maggio. Il tasso di partecipazione degli HFT ai mercati finanziari europei è compresa fra il 55% e il 65 per cento. Questo valore sale per i mercati statunitensi, dove il tasso di presenza è fra il 70% e l’80 per cento. Cifre simili sono quelle relative all’Asia, anche se bisogna sottolineare che, in questo caso, la regolamentazione sta subendo più ritardi che in Europa o Stati Uniti. In un mercato come quello valutario, circa 4.000 miliardi di dollari il valore degli scambi giornalieri, trovano la loro naturale collocazione: trade veloci, carry trade spinto, leverage elevato, molta volatilità. Ma nessuna menzione a quanto realmente sono capaci di smuovere. Anche perché molto spesso operano sulle Dark pool, ovvero la versione anonima delle Multilateral trading facility (Mtf), piazze parallele a quelle ordinarie. La Federation of european securities exchanges (Fese) ha calcolato che ogni giorno le Dark pool muovono circa 5.500 miliardi di dollari di liquidità alternativa. Il tutto in forma anonima. Non si sa chi entra, chi ha cosa, come lo negozia, come forma il prezzo. Visto (a malapena), piaciuto (il prezzo), comprato (l’asset). L’ambiente ideale per gli HFT.
Guardando ai volumi, in costante aumento, si potrebbe facilmente sostenere che se non hai un HFT sei out. E non è solo un modo di dire. Banche, fondi hedge, fondi d’investimento: gli investimenti in HFT sono sempre maggiori. Fra i maggiori utilizzatori troviamo alcuni hedge fund statunitensi, come Getco LLC, Knight Capital e Citadel LLC, più alcuni europei, come Vega o Brevan Howard. E poi ci sono le banche d’investimento, come Goldman Sachs, Morgan Stanley, UBS, J.P. Morgan. Quasi tutte si sono dotate di questi sistemi di negoziazione. Il motivo lo spiega a Linkiesta un trader di Morgan Stanley: «La prima volta che ho visto in azione un HFT sono rimasto affascinato. Noi non lo avevamo, avevamo un normale CBT (Computer based trading system, ndr) e non ho fatto in tempo nemmeno a fare la mia operazione che l’HFT mi ha negoziato in faccia». Microsecondi contro secondi. Non c’è competizione. I primi ad avere un sistema del genere sono stati alcuni fondi hedge americani, come Renaissance. Poi, via via, la diffusione è diventata sempre più elevata. Fino a essere parte integrante dei mercati finanziari.
Ma perché conviene utilizzare un sistema HFT? Banalmente, la prima risposta sta nel nome dello strumento stesso. La velocità di esecuzione permette di aver un vantaggio competitivo senza precedenti rispetto agli operatori normali. Come evidenziato U.S. Securities and exchange commission (Sec), l’organo di vigilanza finanziaria americano, in un rapporto del 2010 sugli HFT, «la maggiore velocità garantisce anche una maggiore stabilità dei sistemi». Parole vere in teoria, come ha poi dimostrato il Flash crash del 6 maggio 2010, quando l’indice americano Dow Jones Industrial Average (DJIA) crollò di svariati punti nel giro di pochi minuti, salvo poi riprendersi. Come ha spiegato la Commodity futures trading commission (Cftc) americana in un rapporto di fine 2011, «l’esecuzione degli ordini tramite HFT ha raggiunto livelli ottimali».
In altre parole, nessun problema fra operatori. Se A vende un asset a B, tramite un HFT c’è una probabilità minima che ci sia stato un errore nell’ordine. Non solo. La tecnologia ha abbattuto i costi di transazione. Come spiegato dallo UK Government’s Foresight Project on The Future of Computer Trading in Financial Markets, fra il 1975 e il 2010 i costi per i singoli trade sono diminuiti fino quasi a scomparire. «Si può negoziare con nulla, basta avere liquidità», scrive Sir John Beddington. Ed ecco forse il vantaggio più grande del dotarsi di un sistema HFT. In un mondo finanziario così rapido e interconnesso, chi rimane senza liquidità è fregato. Lo ha evidenziato al meglio l’esempio di Long-Term Capital Management (LTCM). Il fondo dei Premi Nobel, così fu ribattezzato, crollò nel 1998 dopo essersi trovato scoperto su svariate posizioni legate al crash del mercato russo. Sarebbe stato diverso con un HFT? «Probabilmente sì, dato che si può negoziare direttamente liquidità su un dark pool o più d’una in forma anonima e immediata», ha spiegato in un paper di inizio 2011 Andy Haldane, numero uno della divisione Stabilità finanziaria della Bank of England.
Un vantaggio non irrilevante. Più ci sono voci diverse durante una consultazione pubblica, più è facile che si arrivi a una soluzione ottimale. Allo stesso modo, la Sec e la Cftc hanno evidenziato, insieme anche alla controparte britannica Financial services authority (Fsa), che gli HFT permettono una migliore formazione del prezzo. «Insieme ai sistemi di trading tradizionali, alle Dark pool e alle Mtf in generale, questi strumenti hanno portato benefici per gli operatori, che possono trovare il prezzo ottimale per gli asset molto più velocemente», scriveva nel novembre 2011 la Fsa. Dopo aver analizzato 26 società (valore complessivo circa 2,8 miliardi di dollari, ndr) che usano HFT per operare, un economista della Northwestern University, Jonathan Brogaard, ha spiegato che questi sistemi migliorano l’efficienza dei mercati. Nel paper “High Frequency Trading and Its Impact on Market Quality” si evidenzia infatti che in assenza di HFT il movimento di prezzo di un titolo è «sensibilmente più elevato, fino al 5,6% in più». Tanto, specie considerando che l’esigenza di ogni operatore è quella di andare verso il miglior prezzo. Resta indiscusso, tuttavia, che la più grande virtù resta la velocità. Ma questo significa però anche più rischi.
Non sono pochi i pericoli che si portano dietro i sistemi HFT. Date le diverse tipologie di algoritmi che muovono gli HFT, esistono diverse categorie di rischi. Come ha evidenziato il Flash crash, la vulnerabilità è tanta. Prendiamo l’esempio di un sistema HFT basato sulla volatilità. Se il VIX, ovvero l’indice che misura la volatilità, tocca un dato valore, esistono HFT pronti a vendere le posizioni aperte sul VIX. Un altro trader, questa volta di Morgan Stanley, non è però d’accordo: «È come camminare su un lago ghiacciato di notte: non hai idea di cosa c’è sotto. Se si blocca il computer, se c’è un HFT più veloce del tuo, se un bug ti chiude tutte le posizioni che hai, beh non ci puoi far nulla». Il riferimento è a Knight Capital, che poche settimane fa ha dovuto fare i conti con perdite per 440 milioni di dollari in seguito a errori di negoziazione sul proprio sistema. Tanto più si può guadagnare, tanto più si può perdere.
La guerra fra uomo e macchina sarà la prossima costante. Per ora, noi la stiamo perdendo. La perdono i trader tradizionali, perché non hanno possibilità di negoziare in modo vincente contro un HFT. La perdono i regolatori, che mentre guardano al piccolo risparmiatore non hanno colto che il mondo è cambiato. Ma la perdono anche le banche. In un universo in cui la liquidità, e non la solvibilità, è diventato il parametro di valutazione del rischio di controparte, restare senza fondi nell’intraday significa lasciarsi attaccare senza potersi difendere. «I soldi si trasferiscono sempre. E gli HFT stanno rendendo i mercati finanziari sempre più piccoli», fa notare un trader di Goldman Sachs. Come? Con le barriere all’ingresso, che sia il prezzo dei sistemi di negoziazione o che sia il margine per le singole operazioni. Solo chi ha grandi capacità può permettersi di avere un HFT. E la ancora precaria stabilità di tali strumenti, tuttavia, ha influenza su tanti. Non solo.
I sistemi HFT amplificano l’effetto “Butterfly”: se una farfalla batte le ali in Australia, potrebbe scatenare un tornado negli Stati Uniti. In pratica, una piccola variazione di una parte del sistema può causare grandi variazioni nel sistema stesso e in tutti quelli a esso correlati. Allo stesso modo, se un sistema HFT chiude per errore una posizione su una banca sana, è possibile che l’azione di questa crolli. L’effetto a catena potrebbe avere sviluppi devastanti. «Pensiamo ai Black swan (cigni neri, gli eventi con poca probabilità di avvenimento, ma con effetti catastrofici se accadono, ndr) e al rapporto con gli HFT», si è chiesta HSBC in un report di due anni fa. Il discorso regge. Se alle probabilità di un Black swan si aggiungono quelle che un sistema HFT possa sbagliare un’operazione, i rischi aumentano. «Chi non vuole rischiare, è meglio che non si metta a giocare con questi strumenti, che rappresentano già il futuro», dice il trader di Morgan Stanley. Del resto, come ogni operatore finanziario sa, non esistono investimenti risk-free.