C’é chi avrà tre anni di tempo. E c’è chi, probabilmente, non avrà nemmeno un giorno a disposizione. Qui non c’entra la concorrenza, qui c’è un problema di opportunità. Perché all’aeroporto di Brescia Montichiari il governo di Mario Monti allunga la vita nonostante venga considerato «un aeroporto di serie B». Montichiari avrà a disposizione tre anni per dimostrare di essere nelle «condizioni di sostenibilità economiche che non prevedano trasferimenti di risorse pubbliche per la gestione». Altrimenti «dovranno essere valutate opportune forme di coinvolgimento di capitali privati, anche all’interno di progetti di sviluppo territoriale». Il tutto, senza che vi siano finanziamenti pubblici.
Montichiari è un aeroporto che si trova nelle campagne bresciane, a circa venti chilometri da Brescia. E’ gestito dalla Società Aeroporto Gabriele d’Annunzio, costituita il 14 giugno del 2002, con capitale iniziale di euro 15.500.000,000 detenuto per il 99,99% dalla Società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Spa e per il restante 0,01% dalla Provincia di Brescia. Come ha scritto qualche mese fa Fabrizio Gatti su L’Espresso, la d’Annunzio «in nove anni da quando è stata costituita, ha perso la bellezza di 40 milioni 383 mila 462 euro». Il record negativo è datato 2009: meno 5 milioni 813 mila 55 euro e una ricapitalizzazione per perdite da 15 milioni 500mila euro. Una cifra che dovrebbe far riflettere sull’esistenza dell’aeroporto lombardo. Oltretutto «i passeggeri e le compagnie latitano, preferendo muoversi sugli scali di Bergamo e Verona, ciascuno dei quali dista dal D’Annunzio 40 chilometri al massimo».
Secondo uno studio riportato dal Giornale di Brescialo scorso 31 maggio, «le ragioni del sottosviluppo dello scalo di Brescia Montichiari vanno quindi cercate in particolare nel rapporto con il vicino scalo di Verona, la cui società di gestione possiede anche la concessione per lo scalo bresciano, generando un conflitto d’interesse di difficile risoluzione». Il sindaco di Verona Flavio Tosi, rieletto poche settimane fa, ritiene che «è evidente che i conti soffrono a causa di una malagestione che non ci possiamo nascondere e che ha portato a una perdita di 600mila euro al mese cioè 7 milioni l’anno per lo scalo bresciano e a un contratto costosissimo con Ryanair. Detto questo, non dobbiamo dimenticare che non possiamo fare a meno dell’aeroporto: è fondamentale per il turismo, per la Fiera, per l’economia della città, per la logistica, per la nostra finanza». Anche se, continuo anche lo studio riportato dal Giornale di Brescia, «la condizione necessaria per sfruttare appieno queste opportunità è legata alla possibilità di ottenere un’effettiva indipendenza di gestione rispetto allo scalo scaligero. Se così non fosse, il recente piano degli aeroporti italiani adottato dal ministero dello Sviluppo, che prevede un taglio di risorse pubbliche agli aeroporti minori senza prospettive di sostenibilità economica, potrebbe mettere in discussione la sopravvivenza stessa dello scalo».
Da Brescia a Comiso, estremo lembo dello Stivale, esiste una situazione di natura opposta. La cittadina del ragusano, balzata negli anni ’80 agli onori della cronaca per l’insediamento di una base Nato osteggiata da gran parte della società civile, vive ormai da anni un’attesa spasmodica per una struttura aeroportuale, sorta sulle ceneri dell’ex base, pronta già dal 2007 ma mai entrata in funzione.
L’aeroporto di Comiso, il Vincenzo Magliocco, si adagia sulla pianura ai piedi di Ragusa, ormai universalmente nota come la patria del commissario Montalbano, patrimonio Unesco e punta di diamante del barocco della Val di Noto. La struttura non ha avuto un destino facile e già la vicenda della sua intitolazione a Vincenzo Magliocco, un aviatore d’epoca fascista, è emblematica. Inizialmente la giunta di centrosinistra, guidata da chi ha “fortissimamente voluto” l’aeroporto, cioè l’attuale deputato regionale del Pd Giuseppe Digiacomo, l’aveva intitolato a Pio La Torre, il leader del Pci ucciso dalla mafia. La giunta di centrodestra cambiò il nome, ma adesso con un colpo di teatro la Regione Siciliana, che è proprietaria della struttura, ha deciso di ritornare al vecchio nome.
Ma questo è il minimo. Al di là del nome a Comiso ballano 47 milioni di euro. A tanto ammonta il finanziamento del Cipe concesso nel 2004 per potenziare l’aerostazione, destinata a diventare complementare al Vincenzo Bellini di Catania, sia per i voli di linea sia per i voli low cost.
Nonostante il volo inaugurale di un airbus 319, risalente al 2007, dell’allora ministro Massimo D’Alema e di una festa per l’apertura dello scalo ad oggi su Comiso non é volato nessun aereo.
Il nodo é rappresentato dalla copertura economica che lo Stato, precisamente i ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture, non intende garantire per i controllori di volo. Roba da pochi milioni di euro che però lo Stato, in tempi di vacche magre, non intende sborsare. Nel gennaio del 2011 l’allora ministro alle Infrastrutture Altero Matteoli, in visita nella cittadina del ragusano, raccomandò ai cittadini di tenere in frigo lo champagne per l’estate perché il Magliocco sarebbe stato finalmente operativo. Il gran rifiuto di Tremonti, che reggeva il dicastero dell’Economia, di firmare il decreto interministeriale fece congelare lo champagne nei frigoriferi dei siciliani.
Adesso sono i tecnici del governo Monti a negare la copertura finanziaria, che sarebbe di circa due milioni di euro l’anno, adducendo al fatto che lo scalo non sia di “interesse nazionale”. La Regione Siciliana ha comunque garantito la copertura, con 4,5 milioni di euro, delle spese per i primi due anni ma alle compagnie aeree ciò non basta per poter firmare i contratti.
Eppure converrebbe a tutti l’apertura: alla provincia di Ragusa storicamente penalizzata a livello infrastrutturale, all’economia del sud est siciliano, al turismo forte dell’effetto Montalbano e all’aeroporto di Catania spesso bloccato dalla cenere vulcanica. Non da ultimo per non perdere un finanziamento di oltre 40 milioni di euro e rischiare di aver costruito l’ennesima cattedrale nel deserto.
Tra l’altro l’Unione europea è già sul piede di guerra. Se entro il 2012 il Vincenzo Magliocco non verrà aperto, Bruxelles chiederà la restituzione di 20 milioni di euro di fondi strutturali erogati per la costruzione dello scalo ragusano. L’Ue eroga i fondi (circa il 50%) per opere di interesse pubblico sulla base di piani precisi e poi il progetto viene poi monitorato da Bruxelles.
Secondo il piano industriale presentato dalla società di gestione, la Soaco, già nel terzo anno di attività con due sole compagnie si raggiungerebbe la quota di un milione di passeggeri e il break even point. Tradotto per lo Stato si avrebbero introiti per 200 – 300 milioni di euro l’anno, secondo una recente interrogazione presentata in Senato da Beppe Lumia del Pd.
Adesso, con la notizia della chiusura dell’aeroporto di Catania, l’ipotesi Comiso è ritornata sul tappeto. Lo scalo etneo, già duramente provato dalla vicenda Wind Jet che generava il 25% del traffico aereo totale, dovrà fermarsi per un mese, dal 5 novembre al 5 dicembre per dei lavori di adeguamento della pista e altri a livello strutturale, anche per evitare i continui allagamenti che lo nei mesi più piovosi hanno messo in ginocchio il quartiere di Santa Maria Goretti.
Sarà un bel disagio: Fontanarossa è il primo aeroporto del Mezzogiorno, sesto in Italia per traffico passeggeri. Dove andranno gli oltre 400mila passeggeri? Il neo ad di Sac, Nico Torrisi, aveva proposto Comiso ma il suo invito è rimasto lettera morta. Le alternative sono Sigonella, che però lo Stato Maggiore dell’Aeronautica ha negato, oppure Reggio Calabria o Palermo. Con nuovi disagi per tutti coloro che hanno già acquistato un biglietto. Al momento pare che la soluzione più in auge sia quella di Sigonella, a seguito dell’incontro avvenuto ieri tra il presidente dell’Enac Vito Riggio e il capo di stato maggiore dell’Aeronautica Giuseppe Bernardis. Quindi il Magliocco dovrà attendere.
Intanto scorre, veloce di bocca in bocca, una diceria. Comiso, si sa, è la città di Bufalino anche se questa pare non essere una “diceria dell’untore”. Pare che la Sac, società che gestisce l’aeroporto di Catania e che ha quote a Comiso, sia una concorrente diretta del Magliocco e per questo ne ostacoli l’apertura.
L’ex sindaco di Comiso Digiacomo, dopo i flop dei recenti incontri tra gli esponenti locali e i vertici del ministero alle Infrastrutture, é deciso a continuare nelle sue proteste eclatanti. Dopo essersi incatenato allo scalo ragusano, dopo aver condotto uno sciopero della fame per chiedere un incontro con il ministro Passera, ha anche occupato simbolicamente Fiumicino. Adesso su Comiso incombe la questione del Muos, un sistema di comunicazione americano presente a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, poco lontano dall’aeroporto. Secondo alcuni esperti le onde generate dal Muos potrebbero disturbare gli aerei in volo sul Magliocco. E così ai due lati della penisola si assiste a due bei pasticciacci brutti.