Italia in crisi ma i giovani laureati non vogliono più emigrare

Italia in crisi ma i giovani laureati non vogliono più emigrare

I cervelli di domani proprio non hanno voglia di fuggire. Per gli universitari italiani il loro Paese rimane il futuro ed esprimono la voglia di continuare a lavorare senza trasferirsi all’estero. È quanto emerge da una ricerca della fondazione Istud su un campione di 1.667 studenti degli atenei italiano. Alla domanda «Cosa farò da grande?» coloro che sono nati tra il 1980 e il 1990 rispondono nella maggior parte dei casi: «Voglio lavorare in Italia e in una grande azienda». Solo il 7 per cento di loro subisce il fascino della piccola e media impresa, un tempo ossatura dell’economia tricolore, e oggi considerata una struttura dove non c’è possibilità di crescita professionale, mentre il 53 per cento si vede già proiettato in un grande palazzo dalle pareti a vetro a occuparsi di import-export.

Ma non di certo a Londra o a New York: la Y generation,cioè coloro che oggi frequentano l’università, non vuole rinunciare alla pizza e alla pasta. Complici i tagli degli ultimi anni è tramontato anche un altro mito tutto tricolore, quello del posto pubblico. Solo il 13 per cento degli intervistati, che frequentano sette atenei italiani e hanno partecipato ai focus group in otto città, sogna ancora un impiego statale, così ambito ancora dai loro genitori. La ricerca della Fondazione Istud sfata anche un altro luogo comune, cioè “i giovani d’oggi” hanno poca voglia di lavorare. Anzi.

I laureati non vedono l’ora di abbandonare il nido e di conquistare la loro indipendenza, anche perché il 67 per cento di loro vive ancora a casa con i genitori. Ne fanno le spese gli ultimi due gradi del cursus honorum scolastico cioè il dottorato e il master. In alcuni casi il dottorato è ritenuto uno strumento utile, ma non in Italia. Solo il 2 per cento valuta l’ipotesi di diventare un dottorando, mentre l’8 per cento pensa all’eventualità di un master.

Il problema a questo punto diventa come trovarsi un lavoro. In questo caso subentrano le differenze tra Nord e Sud, dove in realtà l’ipotesi del concorso pubblico è ancora molto sentita. Spiega la stessa ricerca: «Relativamente ai canali attraverso i quali cercare impiego, l’invio spontaneo del curriculum alle aziende si conferma l’opzione preferita dai giovani, coerentemente con quanto già rilevato nel 2009 e nel 2010. Nell’analisi dei dati raccolti, tuttavia, si rilevano alcune differenze nelle risposte fornite dai diversi segmenti della popolazione coinvolta nell’indagine: gli studenti del Nord, infatti, accordano un’ampia fiducia ai servizi di placement delle proprie università (30,2 per cento ), mentre quasi uno studente del Sud su quattro (23,3 per cento) esprime il desiderio di tentare la strada dei concorsi pubblici. Se il primo dato non sorprende, poiché conferma una specificità degli studenti del Nord già rilevata nel corso delle indagini del 2009 e del 2010, il secondo rappresenta un elemento di novità, che colloca il concorso pubblico al secondo posto tra le scelte degli studenti del Sud». Nelle zone del paese dove si trova un minor sviluppo industriale resiste quindi il mito del posto statale, che un tempo era tra i principali obiettivi non soltanto dei laureati, ma anche dei diplomati.

Un’altra novità che si registra in seno alla rilevazione è quella dell’interesse di un buon numero di studenti italiani nel terzo settore. Sono lontani i tempi degli yuppies anni ‘80, quando la borsa e l’azienda erano l’orizzonte a cui tendere. Il 14 per cento dei ragazzi che compongono la Y Generation sono portati a lavorare in quello che viene definito come terzo settore.

Nell’analisi si cerca anche di capire cosa i ragazzi italiani si aspettino dal mondo del lavoro. Vincono ancora la voglia di carriera (40 per cento) e la retribuzione (33 per cento). «In particolare, — continua nello specifico la ricerca — la possibilità di svolgere attività varie e non ripetitive rappresenta una variabile considerata importante soprattutto dagli studenti del Nord (18,6 per cento), e del Centro (17,6 per cento) mentre registra preferenze minori tra gli studenti del Sud (9 per cento). Anche la possibilità di viaggiare registra maggiori preferenze al Centro (19,8 per cento) e al Nord (18,3 per cento) rispetto al Sud (10,9 per cento)».

In controtendenza con le opinioni dei loro padri i ragazzi della Y Generation danno pochissimo peso alla sede di lavoro vicina e al prestigio sociale che può derivare dal lavoro. Il 26 per cento di loro invece si aspetta di imparare qualcosa dalla futura professione. Spesso le scelte e le aspirazioni vengono orientate in base alla possibilità di migliorarsi professionalmente.

Le aspettative sono dunque alte, ma c’è la coscienza, anche da parte dei ragazzi della laurea triennale, che sperano di trovare lavoro senza iscriversi alla specialistica in buona parte dei casi, che fuori dall’università non li aspetta un mondo facile. Lo confermano la testimonianze dei ragazzi che hanno partecipato ai focus group, dalle quali emerge spesso anche un forte senso di sfiducia. «Di solito, ci prendono in considerazione solo per gli stage, soprattutto per quegli stage di cui si sa già che non ci sarà un seguito» spiega uno di loro, mentre un altro, sulla stessa lunghezza d’onda dice: «Nelle inserzioni di lavoro si chiedono sempre almeno due anni di esperienza lavorativa, ma come facciamo questa esperienza se non abbiamo la possibilità di cominciare?».

La richiesta generalizzata è quella che ci sia «un po’ più di coraggio da parte delle imprese. Dovrebbero scommettere un po’ di più su di noi». A confortare questa visione del mondo ci sono anche le esperienze dei coetanei, l’età media degli intervistati si aggira attorno ai 25 anni, che si sono già imbattuti nel mondo del precariato dei contratti a progetto e degli stage, spesso ripetuti e hanno deciso di ritornare sui banchi nella speranza di un futuro migliore. «Ho un amico che aveva lasciato gli studi dopo la triennale.— spiega uno dei partecipanti ai focus — ha avuto un paio di esperienze di lavoro (parlo di stage) poi ha deciso di tornare a studiare, sperando di poter avere opportunità migliori».
 

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