Cari tifosi, se volete una bella squadra, compratevela

Cari tifosi, se volete una bella squadra, compratevela

Il presidente del Borgo Rosso Football club va in pensione. Oggi è il turno dell’azionariato popolare. L’esempio l’hanno dato alcuni club stranieri, in primis Barcellona e Manchester City, ma in Italia sono nate già 12 realtà nelle quali i club dei tifosi sono entrati nella componente societaria e riescono a condizionarne le scelte, anche di mercato. Ma lo fanno non solo dal punto di vista tecnico e calcistico, anche da quello amministrativo e finanziario, riuscendo in alcuni casi anche a tenere lontani dai loro colori presidenti dissipatori e poco oculati, o anche in odor di malavita. Si tratta di società che vanno dalla serie A alle categorie dilettantistiche.

Sono nella fattispecie: Modena sport club (serie B), Rimini Calcio, Mantova, Vicenza, Salernitana e Trapani (Lega Pro Seconda divisione), Torino (Serie A tramite l’associazione Toromio), Lucchese (oggi serie D dopo aver vinto l’Eccellenza), Arezzo (serie D) e Gallipoli (Eccellenza dopo essere stata in serie B nel 2010/2012). Alle spalle ci sono storie di presidenti che hanno scialacquato, che sono scappati con la cassa, o che hanno ceduto le quote a persone in odor di ‘ndrangheta. Ma soprattutto c’è la storia di tanti tifosi che per nulla al mondo rinuncerebbero ai colori della loro città, alle trasferte in pullman attraverso l’Italia, ai nasi gelati in campi improbabili al mese di dicembre, magari dopo aver mangiato un panino e litigato con la moglie, perché non l’hanno portata a far compere al centro commerciale.

Ci sono vite spese nel calcio minore, tra altalenanti risultati, boriosi proclami degli ambiziosi presidenti di turno, disfatte e cadute sportive, ma in certi casi anche finanziarie. Perché una squadra di calcio non è mai di proprietà di chi ne ha rilevato le quote. Lo diceva in tempi non sospetti l’uomo simbolo del Manchester United Bobby Robson: «In ogni caso, che cos’è un club? Non gli edifici, i direttori o le persone che sono pagate per rappresentarlo. Non sono i contratti televisivi, strappare clausole, il marketing o l’ufficio del direttore esecutivo. È il rumore, la passione, il sentimento di appartenere. È orgoglio nella tua città».

Così tanti tifosi hanno deciso di prendere in mano le redini della loro passione e hanno raccolto i fondi sufficienti per entrare in società. Sta anche nascendo una federazione che raccoglierà tutti questi club, che si sono relazionati tra loro scambiandosi esperienze e consigli. Tra i pionieri ci sono i supporter del Modena. «Cominciò tutto», racconta Andrea Gigliotti, presidente dei tifosi del Modena, tra i primi a costituirsi in un club, «quando l’allora proprietario dei “canarini” Romano Amadei dopo averci portato nella massima serie vendette al Napoli il nostro calciatore migliore, Rubino. Da lì iniziò la china discendente. Dal momento che mia moglie è catalana, abbiamo deciso di andare a Barcellona e abbiamo suonato il campanello del Camp Nou, per chiedere al Barcellona come avevano fatto a costituirsi in un gruppo di azionariato popolare. Ci siamo fatti spiegare per bene le procedure e abbiamo capito che in questo campo l’Italia era l’unico Paese a non avere squadre alla cui gestione partecipassero i tifosi».

«In Germania», prosegue, «succede per quasi tutti i club, in Inghilterra ce ne sono 160 e anche in Portogallo e Spagna ci sono diverse operazioni di questo tipo. Siamo partiti in quattro e oggi siamo in trecento. Abbiamo soltanto l’1 per cento delle quote societarie ma il presidente del Modena è nostro socio, e anche altri proprietari di quote hanno aderito. Certo il rapporto con la presidenza è a volte di amore e odio, dal momento che comunque noi ragioniamo da tifosi».

A Mantova, invece, il “Mantova United” è nato per risollevare le sorti della squadra passata troppo velocemente dagli altari alla polvere, dopo la gestione di Fabrizio Lori, che portò la squadra prima a lottare per la serie A (perse la finale play-off col Torino) poi alla bancarotta. In questi giorni Fabrizio Lori è stato arrestato per distrazione di capitale, ma i tifosi ci sono ancora, pur avendo rinunciato alla loro quota del 25 per cento. Dopo un’estate turbolenta, in cui hanno osteggiato l’arrivo di una compagine di acquirenti, con alcuni componenti in odor di ‘ndrangheta, oggi gestiscono l’Atletico Mantova, società che di fatto compone il vivaio del Mantova. «Siamo convinti – spiega il loro rappresentante Glauco Nicolini – che si debba puntare al calcio sostenibile e al calcio giovane. Negli anni in cui siamo stati parte della compagine societaria abbia cercato di limitare le spese e soprattutto di puntare sui giovani. Oggi ci occupiamo soltanto di ragazzi. Andiamo a cercare giocatori sempre nelle città vicine, per realizzare un vivaio, Pulcini ed Esordienti per il momento, che lavori in sinergia con il Mantova. Siamo riusciti anche a realizzare un agriturismo, grazie agli sponsor, con quindici stanze, in cui vivono i ragazzi del settore giovanile del Mantova. La salvezza del calcio non può non passare dai settori giovanili». E dall’azionariato popolare. Il concetto l’ha ribadito recentemente lo stesso Michel Platini, che ha incoraggiato la partecipazione dei tifosi alla gestione delle società. In Italia la mentalità è ancora chiusa sotto questo aspetto. «I tifosi – dice Nicolini – vogliono ancora il campione e il nome di grido, anche nelle categorie inferiori». Poco importa se certi contratti rischiano di far fallire delle società e si arriva in certi casi nudi alla metà. Come ad esempio a Gallipoli, società che ha rischiato il debutto in serie B con una squadra di ragazzini, e oggi gioca in Eccellenza. Poco importa se spesso dietro alle repentine scalate ci sono capitali di dubbia provenienza e se ogni tanto ai polsi di qualche munifico presidente scattano le manette.

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