Ci sono vicende che, viste da fuori, si mostrano come una lunga catena di errori, che si rivelano ancora più tragici quando il terminale, il parafulmine, è un bambino. Partiamo dalla fine della storia, da quel video di un minore portato via di peso da una squadra di poliziotti, mentre la zia lo filma e grida fuori dalla scuola. Scene tremende, tragiche, sbattute in prima pagina e così forti da spegnere la voglia di informarsi, di capire cosa sia davvero successo.
E dunque, per quel poco che si capisce la storia è questa: due genitori, un bimbo conteso, un padre che fa 23 denunce contro la madre, un bambino che lo rifiuta del tutto e vuole solo la madre. Interviene il tribunale e qui le fonti già non concordano: secondo alcuni per un affido improvviso al padre, che passa per un periodo in casa-famiglia, secondo altri invece non per modificare i termini dell’affido, che resta alla mamma, ma solo per “sterilizzare” la situazione e rendere possibile un percorso più pacifico di rapporto anche con il genitore non affidatario, che il bimbo rifiuta.
Arriva infine l’epilogo. Dopo diversi tentativi di prelevare il bambino a casa, la polizia (ma davvero c’era l’anticrimine, quella che si usa contro ’ndranghetisti e terroristi?) individua la scuola e va a prendere il bambino. La scena poi è quella che è stata per ore in apertura di Corriere e Repubblica online: il bambino trascinato via con le brutte, senza alcun tatto (che ovviamente non è il tratto distintivo delle squadre speciali), mentre la zia filma ed è già pronta a divulgare il video. Infatti, il video, viene divulgato: va a Chi l’ha visto?, poi arriva sui siti dei grandi quotidiani, fino a suscitare le reazioni di Schifani e di Fini. Che certo ricoprono cariche che consentono di “chiedere spiegazioni”, ma quando le spiegazioni son state chieste a loro non si sono mai mostrati – invero – così rapidi e brillanti.
Resta, come spesso in queste situazioni, quel senso di impotenza e amaro in bocca che si portano dietro situazioni personali e psicologiche davvero intricate, quando sbattono sul muro rigido e sprovvisto di misure umane delle istituzioni. Resta la sensazione che tutto sia sbagliato, che nessuno possa avere ragioni sufficienti a triturare così la vita di un bimbo e torna alla mente quel pensiero di Sartre che, mentre sognava una società perfetta, ammoniva che anche lì, senza scampo, i bambini avrebbero sempre sofferto ingiustamente.
Il bambino, già. Il protagonista suo malgrado di una storia che gli resterà attaccata addosso come colla. Il bambino che, anche se un giorno – speriamo sia vicino – felice e sereno, si troverà come uno specchio infinito quel video sbattuto in prima pagina e sempre e per sempre rintracciabile in rete. È vero, quel video ci ha permesso di parlare per un attimo (domani già sarà preistoria) di quel che capita nel mondo reale, lontano dai poteri della finanze e della politica. Ma quel video così forte, così violento, ci ha fatto da schermo nella comprensione di questa e di altre storie: perché un bambino portato via di peso da quattro poliziotti è uno spettacolo che lascia esterrefatti e indignati, e non sembra lasciare spazio ai grigi, mentre ci lascia da soli con una domanda tragica: quante volte lo Stato si comporta così, in questi casi?
Soprattutto, consegna il trauma di questo bambino alla viralità – indelicata, per definizione – della rete, senza illuminare le responsabilità e gli errori degli adulti. Nell’equilibrio complesso tra dovere di cronaca e diritto di privacy, questa volta, nonostante tutto, avrei preferito che vincesse la seconda. Ma visto che ormai il video resterà per sempre on air ci serva almeno per riportare il nostro Stato dalla parte giusta, la parte dei bambini.