Altro che Tea Party, in California hanno votato a favore di tasse più alte

Altro che Tea Party, in California hanno votato a favore di tasse più alte

NEW YORK – Non ci sono state sonore manifestazioni in questi ultimi mesi di campagna elettorale. Occupy Wall Street non ha alzato la voce neanche a Tampa e Charlotte, durante le Convention, in cui i partiti si riuniscono per approvare il programma da seguire.

Il Tea Party invece si è fatto sentire eccome, senza riuscire però a bissare i successi del 2010. Nonostante abbia riconfermato parte dei suoi uomini arrivati al Congresso nell’onda fortunata di due anni fa, hanno perso poltrone fondamentali per i repubblicani al Senato.

I due opposti movimenti sono riusciti comunque a influenzare la corsa di Barack Obama e Mitt Romney alla Casa Bianca. Anche se non sono mai stati citati dai due candidati durante i comizi, le loro idee erano nell’aria.

Ad esempio, le posizioni estreme di esponenti del Tea Party su aborto e stupro non sono piaciute molto agli americani; sicuramente neanche a Romney, che per salvare capra e cavoli (sostegno del movimento e voti degli indipendenti e dei repubblicani moderati) ha spesso avuto opinioni confuse in merito. Al senato hanno perso sia Todd Akin in Missouri che Richard Mourdock in Indiana, due Stati roccaforte dei repubblicani. Akin era finito nel ciclone delle polemiche per aver detto che in caso di stupro “reale” il corpo femminile ha il potere di evitare la gravidanza; mentre Mourdock, recentemente ha sostenuto che, nonostante la violenza sia una cosa orribile, se questa porta alla procreazione, vuol dire che era nei piani di Dio. In generale, tutto il Tea Party è contro l’aborto, anche quando a rischio c’è la vita della donna.

La crociata populista contro le tasse rappresenta la seconda bocciatura. Secondo un sondaggio dell’Associated Press, sei elettori su dieci riconoscono la necessità di un incremento delle tasse per migliorare il bene pubblico. Numeri a parte, nello Stato della California e nella città texana di San Antonio, gli elettori dopo aver messo la crocetta sul candidato alla presidenza, hanno approvato una misura che prevede l’aumento delle tasse per migliorare ed estendere rispettivamente l’istruzione pubblica e l’accesso all’asilo nido per le famiglie a basso reddito.

Da questi due esempi, emerge che sono molti gli americani a non essere così diffidenti verso l’intervento pubblico, come sostengono invece quelli del Tea Party. Anzi, proprio con l’aiuto dello Stato, necessario a bilanciare le disuguaglianze, credono in un’America dove «chi lavora duramente riesce in quello che fa. Che sia bianco o nero, ricco o povero, gay o eterosessuale», come ha pronunciato Obama a Chicago subito dopo la rielezione.

Parole del presidente, rivendicazioni di Occupy Wall Street. Da quando è nato, il movimento si batte contro ogni iniquità sociale ed economica. Certo, non servivano loro a ricordarlo al primo inquilino afroamericano della Casa Bianca, che proprio nel settembre 2011, aveva proposto, in un discorso al Congresso, nuovi posti di lavoro, attraverso sgravi fiscali al ceto medio e finanziamenti pubblici alle infrastrutture.

Occupy non ha dettato l’agenda ovviamente, ma ha sicuramente ravvivato l’attenzione su alcuni temi importanti. Michael Moore, ad esempio, scrivendo sulla vittoria di Obama, li ha ringraziati, perché secondo lui, dando voce al 99%, «il movimento ha inspirato in parte questa campagna elettorale, facendo capire che c’è un enorme sentimento popolare contro quello che molti ricchi hanno fatto al Paese e che si è sbagliato qualcosa se solo 400 miliardari hanno in tasca quanto 160 milioni di americani messi insieme. Questo ha portato Romney a pronunciare il suo pensiero sul 47%, segnando l’inizio della fine della sua campagna».

Anche se è assente dalle piazze principali, Occupy Wall Street non è morta. Certo con la sua scelta di non organizzarsi politicamente, non è diventato, come molti speravano, un movimento simile al Tea Party. Non ha inserito nessuno dei suoi nel partito democratico e non è neanche un think thank che sforna riflessioni e teorie socio-politiche. Ma a un anno dalla sua nascita, rimane un cappello, che ogni movimento prende in prestito ogni volta che c’è da lottare contro lo strapotere dell’alta finanza, contro la mancanza di regole strette a Wall Street e le discriminazioni sul posto di lavoro dovute all’età, al sesso, al Paese di provenienza. È una proposta di solidarietà sociale che non può essere misurato dal successo mediatico.

Una prova ce l’hanno data proprio in questi giorni prima del voto. Mentre l’uragano distruggeva parte della costa orientale degli Stati Uniti, alcuni di loro hanno creato “Occupy Sandy”, per arrivare dove la Croce Rossa non poteva riuscirci da sola. In meno di una settimana, secondo quanto riportato sul sito internet della ABC, il gruppo è riuscito a raccogliere 264mila dollari da devolvere agli abitanti dei quartieri più colpiti dal maltempo. Una rete di volontari che ha dato una mano a chi non aveva luce, riscaldamento, cibo, convinti che anche questo sia un modo, come la protesta, per rinsaldare i principi di democrazia e influenzare l’agenda politica.