È fatta: quel Falstaff è stato salvato, una piccola vittoria per Linkiesta

È fatta: quel Falstaff è stato salvato, una piccola vittoria per Linkiesta

È fatta, quelle bozze iniziali del Falstaff che mercoledì sono state battute all’asta da Sotheby’s sono state acquistate da due soci della Scala (Intesa ed Eni) che hanno in animo di donarli al museo del teatro. Battute al prezzo di circa 130 mila sterline, l’annuncio del loro acquisto è stato dato oggi da Giovanni Bazoli, Paolo Scaroni e Francesco Micheli che si sono occupati dell’operazione, su spinta di quest’ultimo. Assieme a quel Falstaff, sono stati acquistati anche altre due cimeli verdiani (portando il totale oltre i 300 mila pound) fra cui il telegramma con cui Verdi ringrazia Toscanini che, nel 1899, riporta alla Scala l’ultima opera del compositore emiliano dopo la prima del 1893. Un ritorno su cui Giulio Ricordi nel marzo di quell’anno fece uscire sulla Gazzetta Musicale di Milano fiumi di veleno dando voce alle lamentele di chi si opponeva alle radicali riforme che stava introducendo Toscanini. Per noi de Linkiesta che abbiamo lanciato l’appello dal basso da cui è partita l’iniziativa perché questi documenti fossero acquistati e resi pubblici, sottolineando l’importanza di una mossa che dota Milano di quell’evento verdiano che fin qui non era stato programmato, donando al pubblico ciò che rischiava di finire sotto qualche teca privata, si tratta ovviamente di una soddisfazione.  

«Oggi Milano è interamente purificata da ogni caligine ultramondana. Ma dopo il risanamento di Milano bisogna procedere al risanamento della capitale» scrisse a Verdi il librettista dell’opera Arrigo Boito (figura chiave della scapigliatura milanese e fratello di Camillo, l’autore di «Senso») per convincerlo a prendere parte alla prima romana che si sarebbe tenuta al Teatro Costanzi di Roma. Forse le parole di Boito sono troppe enfatiche per un’opera considerata da Massimo Mila «anticipatrice» mentre, ad esempio per Eduard Hanslick, è il frutto di un Verdi che non ha più «la fiorente fantasia della gioventù». Ma danno bene la misura dell’evento che fu per la Scala, per Milano e per la storia della musica la messa in scena di questa ultima fatica verdiana, scritta da un maestro ormai stanco, che non si infuria più coi cantanti, ma ancora, malgrado gli acciacchi e i lutti che lo circondano, capace di un’ ampia rielaborazione musicale. Alla prima c’erano Pietro Mascagni (reduce dal trionfo di Cavalleria Rusticana), Giacomo Puccini, Giosuè Carducci e molti altri. Quella notte venne attrezzata, in un locale del Ridotto, una sala stampa collegata con l’ufficio centrale del telegrafo da cui partirono 300 telegrammi per i giornali di tutto il mondo. 

Insomma, il nostro appello si chiude con un happy ending, che, spiegò anni fa un produttore holliwoodiano, «serve proprio per fare vedere che il cinema è diverso dalla vita» dove infatti, in genere, il finale non è propriamente «happy».  E la vicenda comico-tragica dei vaneggiamenti senili di Sir John Falstaff ben si appresta a questa dell’acqusito dei manoscritti verdiani. Che è comica, nel senso che questo finale da Hollywood mette il buon umore, ma anche tragica, se così si può dire, nel senso che mette tristezza pensare a quante istituzioni milanesi avrebbero dovuto agire prima di noi. Fra l’altro, nel suo piccolo, questa storia evidenza anche l’importanza della funzione dialogica del web rispetto  a quella monologica della carta stampanta. È stato infattil il dialogo diretto con un lettore che commentava un post  a darci lo stimolo finale per lanciare l’iniziativa. 

In questo modo tornano quindi in Italia dei documenti che erano finiti negli Usa. Appartenevano infatti a Toscanini che trovò riparo Oltreoceano dopo la vicenda degli schiaffi di Bologna da parte delle orrende squadraccie fasciste per non avere voluto eseguire Giovinezza. Altra vicenda di cui non ci stanchiamo di ripetere l’importanza storica e civile. Insomma la valenza di questo ritorno, per cui ringraziamo tutti quelli che ci hanno aiutato, si presta a varie letture e sarebbe bello che questi documenti fossero esposti alla Scala già in occasione della prima wagneriana del 7 dicembre.  Se poi dovesse servire anche a riaprire il dibattito su come i privati possano intervenire a salvaguardia di un patrimonio culturale per cui i finanziamenti sono stati ridotti del 35% tra il 2008 il 2011, per arrivare allo 0,2% del pil (negli anni Cinquanta e Sessanta era quattro volte tanto), mentre la cultura e le attività creative costituiscono ormai il 3,3% del pil Ue (contro il 2,6% del 2006), allora sarà un altro piccolo tassello da aggiungere all’importanza di questo lieto fine. Forse non ha la valenza purificatrice proposta da Boito, ma almeno può servire a suonare la sveglia. 

Twitter: @jacopobarigazzi

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