Le violenze di Roma? Figlie di una politica cieca e sorda

Le violenze di Roma? Figlie di una politica cieca e sorda

Una importante giornata di lotta è stata turbata da troppe violenze e da un clima di guerriglia urbana che ha investito molte città. A Roma un corteo di giovani ha inveito contro la Sinagoga e si sono persino, scrive “La Repubblica”, ascoltati slogan inneggianti a Saddam Hussein.

Alcune foto mostrano anche manifestanti colpiti e feriti dai poliziotti che a loro volta subiscono numerosi agguati. Era prevedibile. C’è un’aria pesante nel paese che nasce sicuramente dalla crisi e dal suo carico di paura e di disillusione ma che ha trovato anche impreparato il governo nella gestione dell’ordine pubblico e le stesse forze sindacali, incapaci di metter fuori dalle proprie manifestazioni le aree più violente. Forse siamo all’inizio di una stagione in cui il conflitto esploderà, così come l’abbiamo visto manifestarsi in altri paesi europei.

C’è chi coglierà l’occasione per mettere in discussione la legittimità le manifestazioni sindacali, non capendo che il tema della violenza non è legato al conflitto sociale ma alle mancate risposte ai problemi più acuti che sono di fronte a noi. Perché questo è il primo dato su cui bisogna riflettere. Il paese non sta avendo risposte né per l’immediato né per il prossimo futuro. Qui si verifica il limite strutturale di un governo tecnico, la sua mancanza di progettualità che non gli fa vedere oltre la mission che gli è stata affidata.

Nasce da questa consapevolezza la necessità che la manfrina sulla legge elettorale e sulla data delle elezioni abbia termine. Si metta un punto e si dica con chiarezza quando il paese sceglierà il suo governo politico. Nel frattempo, tutte le forze più responsabili smettano di tirare al piccione coinvolgendo un governo chiamato a gestire una difficile transizione in uno scontro sociale che può portare a molti guai. Non c’è molto tempo davanti a noi. Se le forze politiche non decidono assieme di stabilire la data della sfida decisiva e non si preparano con schieramenti, leadership e programmi chiari, la confusione germinerà nuovi momenti di tensione.

Il Pd sta facendo la sua parte, gli manca però l’indicazione di uno schieramento e di un breve programma di emergenza che faccia capire che cosa potrà fare il suo leader una volta entrato a palazzo Chigi per sfebbrare il paese.

Nel frattempo è bene che le forze sindacali trovino l’accordo almeno sui dossier più importanti, tipo la Fiat, l’Ilva, le miniere sarde, e sappiano dare prova di poter guidare senza lasciar spazio agli estremisti l’intero movimento di protesta. Il governo e il ministro dell’Interno devono guardare con più attenzione alla gestione dell’ordine pubblico.

È un compito difficile che ha due paletti: il primo è il non ripetersi di fatti di violenza come quelli che si sono avuti a Genova. La forza d’urto della polizia va usata con molta prudenza e con l’esortazione a non dar vita a scene riprovevoli che turbano l’opinione pubblica. Vanno proibite, questo è il secondo paletto, le manifestazioni vicine ai luoghi sensibili. Che senso ha avuto dare la possibilità al corteo studentesco di passare accanto alla Sinagoga di Roma? Lì, come ha ben ricordato Riccardo Pacifici, leader della comunità ebraica della capitale, vi fu trent’anni fa un brutto corteo sindacale che offese gli ebrei e il sentimento democratico. Non doveva ripetersi, non deve ripetersi. La Comunità ebraica va tutelata, ad ogni costo.

Nel movimento e nei suoi ispiratori politici vanno scoraggiate le posizioni più estreme. Se il movimento viene guidato o accetta la presenza di frange estreme che addirittura inneggiano a Saddam, quel movimento è un fatto negativo che deve spingere altre organizzazioni a prendere le distanze. Siamo seduti su un barile di benzina con troppi che hanno in mano l’accendino.

Insomma, è stata una brutta giornata che ha modificato l’immagine di una legittima lotta. Se si dovesse ripetere, se il governo si dimostrasse incapace di governare con intelligenza l’ordine pubblico, se le forze politiche non si dimostrassero in grado di prendere in mano la situazione, se i sindacati non si rivelassero capaci di guidare i propri militanti, se gli studenti dovessero cadere sotto il dominio degli avventurieri, l’Italia avrebbe poche speranze di farcela.