Ancora uno stop per Malagrotta, Roma rimane senza discarica

Ancora uno stop per Malagrotta, Roma rimane senza discarica

Puntuale come il cinepanettone, anche in questa fine anno è arrivata la proroga alla più grande discarica d’Europa: Malagrotta. Decreti, ordinanze, dichiarazioni pubbliche, pubbliche smentite, commissariamenti e manifestazioni di protesta non hanno avuto la dovuta forza per far cambiare il destino. Neanche l’approssimarsi della campagna elettorale ha potuto farci nulla: la chiusura di Malagrotta è un copione sempre annunciato, mai realizzato. Era stata ipotizzata la soluzione tampone più gettonata d’Italia: la spedizione dei rifiuti del Lazio in Olanda, attraverso un traffico via mare che però non potrà essere realizzato. Problema principale della soluzione tampone: l’ingestibile via vai di camion tra Roma e Civitavecchia e il diniego del comune laziale a ospitare i containers di immondizia.

Il prefetto Sottile aveva anche ipotizzato una exit strategy: una discarica provvisoria a Monti dell’Ortaccio, pochi metri da Malagrotta ma, con il sollievo dei già provati residenti, tra deduzioni e controdeduzioni, l’ipotesi galleggia tra le carte. E se pure l’autorizzazione integrata dovesse arrivare a ore, prima di quattro mesi (pioggia permettendo) la trasformazione della grande buca in “discarica controllata” non potrà essere completata. «Il ministro Clini – ha detto Massimo Jervolino, dei Radicali, uno dei principali esperti del problema, che ha scritto il libro L’Ottavo colle di Roma – ha auto un ruolo importante ma purtroppo non è stato ascoltato. Viviamo in una città dove il ciclo integrato non esiste, si pensi che più del 70% dei rifiuti prodotti nella Capitale vanno a finire a Malagrotta».

Ed è proprio Clini che ha annunciato un cambio passo, da gennaio. Comune e regione verranno sollevati dalla questione e la problematica sarà gestita da un commissario. Con il cambio di governo alle porte, però, siamo ancora una volta nel campo delle ipotesi. Roma rimane senza ciclo integrato dei rifiuti, con una percentuale di raccolta differenziata che la pone ben lontana dai vertici della classifica italiana, figurarsi da quella europea. In piena campagna elettorale, però, le soluzioni sembrano provenire dal basso. Tanto che sabato si riunisce in città la Rete nazionale dei Rifiuti Zero, che rappresenta 18 delle 20 regioni, con sedi in ogni città e una proposta di legge già tracciata, da rifinire con la quale la Rete raccoglierà firme e chiederà ai partiti di prendere una posizione netta. 

In sostanza si tratta di promuovere in tutta Italia una cultura diversa: non tanto il “rifiuto dove lo butto?” ma “Come posso produrre meno rifiuti?”. Una questione che è stata già posta nel resto del mondo e che ha trovato soluzioni perfino a Nuova Delhi dove da qualche anno in gran parte della città è stata avviata una raccolta differenziata porta a porta da fare invidia alle cittadine del Trentino.

Prendiamo Parigi: l’85% dei rifiuti sono rivalorizzati, o attraverso il riciclo o attraverso il recupero energetico. Solo il 15%, quindi, finisce in discarica. Quasi tutti i palazzi parigini sono dotati di cassonetti differenziati: uno per la carta, gli imballaggi e i piccoli elettrodomestici, uno per il vetro e uno per tutti gli altri rifiuti. 

La situazione in Europa è però tutt’altro che omogenea: ogni anno negli Stati membri vengono prodotti circa due miliardi di tonnellate di rifiuti, anche particolarmente pericolosi, e questa cifra è in continuo aumento. Lo stoccaggio di questi rifiuti non è una soluzione sostenibile e la loro distruzione non è soddisfacente a causa delle emissioni prodotte e dei residui altamente concentrati e inquinanti. «La migliore soluzione – ci dice Massimo Piras, della rete Zero Waste del Lazio e tra i promotori dell’incontro nazionale di sabato – rimane quella di evitare di produrre rifiuti e, quando esistano soluzioni ecologicamente ed economicamente sostenibili in tal senso, procedere al riciclaggio delle varie componenti dei prodotti».

Basti pensare che, per rimanere all’esempio parigino, la città spende 199 milioni all’anno soltanto per lo smaltimento dei rifiuti. Una stima impressionante, un valore che è indispensabile far diminuire. E in Francia non mancano le sperimentazioni: Romainville, cittadina di 23mila abitanti alla periferia nord di Parigi, ha introdotto la raccolta dei rifiuti “ad aspirazione pneumatica”, innovativo sistema ideato in Svezia. Un centinaio di colonnine sostituisce i tradizionali cassonetti in due banlieue cittadine per un esperimento che coinvolge oltre duemila abitazioni e circa seimila residenti. Le colonnine di raccolta sono predisposte per accogliere e stoccare l’immondizia fino al raggiungimento di un peso massimo.

Una volta superato il limite di contenimento, i sacchetti vengono aspirati in un sistema di tubi sotterraneo che li conduce per quattro chilometri e a una velocità di 70 km/h, fino a un collettore centrale. Qui, dopo essere stati ulteriormente differenziati grazie a dispositivi meccanici, i rifiuti vengono compattati e caricati su camion per essere trasportati, una volta al giorno, verso la loro destinazione finale: centri di trattamento per i materiali riciclabili e inceneritori per l’indifferenziata. Il nuovo sistema da oltre 8 milioni di euro è stato oggetto di qualche critica e perplessità sulla necessità di investire cifre così altre per la gestione. “Dal punto di vista dell’impatto ambientale e della qualità della vita, i vantaggi sono indiscutibili – ha risposto alle polemiche il sindaco di Romainville, Corinne Valls – Stimiamo inoltre che questo nuovo sistema di raccolta possa far risparmiare fino a 120 euro l’anno ai cittadini”.

Lo stesso sistema è adottato in Spagna è adottato dalle amministrazioni comunali di Barcellona, Bilbao, Valencia, Siviglia e altre città minori. Anche Alemanno, nel 2010, si disse interessato alle colonnine, ma poi sappiamo com’è finita. Per rimanere in Europa, la Svezia ha addirittura un deficit di immondizia: grazie a un’efficientissima raccolta differenziata ha ridotto al minimo i rifiuti “da discarica” e, invece di sotterrarli, li trasforma in fonte di calore ed energia per i cittadini con impianti al’avanguardia dal punto di vista ambientale.

Ma adesso il paese scandinavo pare si trovi a corto di spazzatura da incenerire. La Norvegia è così già diventata il primo esportatore di monnezza verso la Svezia, che però mirerebbe adesso alle pingui scorte di paesi come Bulgaria, Romania e Italia per alimentare i propri impianti di riconversione. In base ai dati Eurostat, mentre la media europea dei rifiuti che finiscono in discarica è intorno al 38 per cento, in Svezia dove riciclaggio e compostaggio sono ai massimi livelli al mondo, questa quota è ridotta appena all’1%.

Il calore prodotto dagli impianti di incenerimento dei rifiuti svedesi, distribuito pompando acqua bollente lungo chilometri di tubature verso edifici commerciali e residenziali, serve a scaldare 810.000 case, mentre l’energia prodotta fornisce elettricità a 250.000 famiglie. È il massimo che si può fare con i rifiuti “locali” disponibili, ma ancora troppo poco. 

In Italia siamo al 51%, cioè più della metà dei rifiuti finisce in discarica, mentre solo il 15% viene incenerito, il 21% riciclato e il 13% usato per il compostaggio. Ovviamente c’è chi sta anche molto peggio: Bulgaria, Romania, Turchia e Croazia sono tutti paesi in cui la quota di spazzatura che va dritta in discarica è prossima al 100%. Ma fanno peggio di noi anche Grecia (82%), Polonia (73%), Malta (86%), Slovacchia (81%) e perfino la civilissima Islanda (73%).

Gli Stati membri che presentano i maggiori deficit di attuazione delle direttive comunitarie che impongono di far finire in discarica il meno possibile sono: Bulgaria, Cipro, Estonia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Romania e Slovacchia, con carenze quali politiche deboli o inesistenti di prevenzione dei rifiuti, assenza di incentivi alle alternative al conferimento in discarica e inadeguatezza delle infrastrutture per il trattamento dei rifiuti. Più finisce in discarica, meno si ricicla. L’equazione è una regola matematica.

Per converso, Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svezia dispongono di sistemi completi di raccolta dei rifiuti, meno del 5% dei quali finisce in discarica. Vantano sistemi di riciclaggio ben sviluppati, una capacità di trattamento sufficiente e buone prestazioni riguardo ai rifiuti biodegradabili. 

Mettiamola così: siamo agli ultimi posti in Europa, e nel mondo condividiamo lo stesso destino di New York che brilla per tanto ma non certo per la gestione dei rifiuti: recupera solo il 15% dell’immondizia prodotta e ha appena 600 cassonetti er la raccolta differenziata in città. Bllomberg ha promesso di raddoppiare gli sforzi. Ha messo in campo 300-500 milioni di dollari che dovranno finanziare varie attività fino al 2017, tra le quali un centro di smaltimento e riciclo dei rifiuti solidi urbani a Brooklyn, il raddoppio dei cassonetti adibiti alla raccolta differenziata.

*redattrice di Metro