È preoccupata perché lui sta proseguendo il completo digiuno per cibi solidi e liquidi, ma sorride mentre racconta che è appena tornata dal carcere di Lecce, e che le detenute le hanno dato una sciarpetta, fatta da loro, da consegnargli come regalo di Natale. A chi obietta che lo sciopero della fame e della sete è uno strumento ormai logoro, una fiction già vista, un rischio naif e forse inutile, risponde aggrottando la fronte: «lo facessero loro». Perché sta tutto lì, il carisma di un leader: una coerenza estrema. Rita Bernardini, oggi deputata radicale e membro della commissione Giustizia, si avvicina a Marco Pannella giovanissima, nel 1975, poco dopo la vittoria del “no” al referendum per l’abolizione della legge sul divorzio.
C’è una vecchia fotografia che la ritrae in mezzo a due poliziotti, sorridente, dopo essere stata fermata nel corso di una manifestazione. «Quando ero piccola sentivo dire che il personale è politico. Che la cultura o è politica, o non lo è. Mentre tutti tendono a separare le due cose. Marco mi ha insegnato che la politica non deve essere necessariamente come la vediamo in Italia, qualcosa di sporco, furbesco e poco nobile. E che se la politica non è immersa nella realtà che vivono i cittadini, allora non ha senso di esistere».
Un corpo sfinito dalle privazioni, amato da pochi, non capito dai più, ridicolizzato dai salotti buoni, additato dal Parlamento, ha ancora la forza di incarnare i principi del più vecchio partito italiano? «Non è sfinito. È una roccia di convinzioni. La vita delle persone deve corrispondere all’agire politico, e Pannella è il simbolo di questo principio. Per questo per me è una figura fondamentale. Non riesco a immaginarmi senza, riempie la mia quotidianità completamente. Il suo pensiero corrisponde al cento per cento della sua vita. Per lui è davvero intollerabile questo stato di ingiustizia, e questa forza è il senso di cinquant’anni di lotta. E mai di protesta».
Vero è che da sempre i protagonisti della storia radicale hanno portato il loro contributo di idee attraverso i loro corpi. Da Enzo Tortora a Piergiorgio Welby, passando per Adele Faccio ed Emma Bonino. Gli stessi corpi dei detenuti che il Natale lo passano facendosi una doccia fredda prima di incontrare i parenti, o che stanno in branda perché non c’è altro posto in cui stare. Gli ultimi. Andando indietro nel tempo, al 9 ottobre 1970, quando il Senato approvava la legge Fortuna-Baslini che istituiva il divorzio in Italia, Pannella era davanti a Montecitorio con una pattuglia di radicali, un cartello al collo con su scritto: “Argentina Marchei ha vinto”. Una signora romana, una comunista che da anni non vedeva suo marito, disperso in Russia: una popolana di Trastevere che si era rifatta una vita, illegale perché era ufficialmente sposata.
Pannella ha ancora quel seguito? «A me capita quotidianamente di andare in giro con lui per strada, ed è un continuo stringergli la mano, dal ragazzino fino all’ottantenne. C’è una fiducia massima, da parte dell’opinione pubblica. Il problema, se mai, è che la stampa parla dello sciopero, ma pochi parlano degli obiettivi». Gli obiettivi sono noti, ma poco conosciuti. C’è una frase del leader radicale che risuona spesso a vuoto durante gli innumerevoli convegni a tema giustizia: “la strage di legalità ha sempre per corollario, nella storia, la strage di popoli”. A molti suona di provocazione. Un po’ come quando Pannella tuona contro la “tortura legalizzata” che sono le carceri italiane. E l’amnistia continua a sembrare un’utopia, il sogno di un folle. Anche se in questo 2012 il sovraffollamento ha toccato punte inaudite, con un 140% di presenze in più rispetto al limite massimo di capienza degli istituti carcerari, in costante violazione del dettato costituzionale.
Una drammatica spia della situazione è rappresentata dai suicidi in cella: quest’anno sono 61 i detenuti che si sono tolti la vita. Dal 2000 ad oggi si contano ben 96 tra le fila della Polizia penitenziaria. Dati che hanno portato il responsabile dell’Area carcere della Caritas don Sandro Spriano a parlare di strutture che, di fatto, condannano a morte centinaia di persone. Il carcere oggi ha detto il cappellano non passa neppure uno slip all’anno ai cittadini che vi vengono “ospitati”, passa solo un letto (e alle volte neppure quello) e un pasto che costa all’erario tre euro al giorno tra colazione, pranzo e cena.
Gli ultimi dati a disposizione fotografano una presenza nei nostri penitenziari di 67 mila detenuti, 20 mila in più rispetto al numero effettivo dei posti disponibili (circa 45 mila). Al 30 novembre 2012 sono 9.953 i detenuti che usufruiscono dell’affidamento in prova al servizio sociale e 9.126 quelli in detenzione domiciliare, di cui 2.676 per effetto della legge 199 del 2010; 874 in semilibertà; 2.675 in misure di sicurezza e sanzioni sostitutive. Sono circa 24 mila, invece, i detenuti stranieri provenienti da 107 diversi paesi. Il Guardasigilli Paola Severino nel corso dell’anno di governo tecnico ha cercato di mettere in cantiere qualche misura legislativa per affrontare il problema del sovraffollamento, con due misure: da una parte la costruzione di nuovi posti di detenzione per aumentare la capienza delle carceri, dall’altra far sì che la detenzione in carcere sia una misura da adottare il meno possibile, privilegiando la espiazione del reato fuori dal carcere.
Marco Pannella non ha voluto ricevere il ministro della Giustizia, lei gli ha lasciato una lettera. «Sono andata io a parlare con lei in clinica» racconta Rita Bernardini a Linkiesta. I motivi del rifiuto? Sono due. Il primo, di principio: «Marco conosce a fondo i meccanismi della storia passata, che hanno generato i fascismi, i nazismi. Il fatto che per superficialità si giri la testa dall’altra parte per lui è una preoccupazione, per questo cerca di sensibilizzare le coscienze. Ha orrore della banalità del male. E stiamo andando verso una direzione che rischia di essere catastrofica».
Il secondo è molto concreto. «Non è vero che abbiamo numeri da record, – è stata la posizione recentemente espressa dalla Severino – il sovraffollamento ha cifre simili alle nostre in altri paesi ed è un problema comune in quasi tutti gli Stati dell’Unione». Parole che hanno scatenato una reazione sdegnata. «Non ci piacciono i mezzucci. O non conosce i dati, o li fornisce male. Oggi nelle patrie galere ci sono solo 250 detenuti che, ad oggi, “potrebbero” accedere alla messa alla prova o alla detenzione domiciliare così come disciplinate dal suo DDL». Il ministro Severino ha anche affermato che vorrebbe combattere al fianco di Marco Pannella, seppur con mezzi diversi da quelli che lui può utilizzare. «Ho il dovere di spiegarle che Marco quei mezzi, quegli ‘strumenti’ (meglio ‘arnesi’) della nonviolenza se li è costruiti con la pratica di una vita. Ognuno può costruire i suoi, ed è certo che chi ha potere ne ha a disposizione di efficacissimi per intervenire. In Italia l’incidenza di suicidi in carcere è venti volte superiore a quelli fuori del carcere. Qualcosa vorrà dire».
È il senso profondo, laico, per nulla astratto, di una battaglia che non muore. «C’è chi la Costituzione l’ha letta ma non l’ha capita, chi l’ha studiata e approfondita e ne fa strage ogni giorno e c’è chi, come Marco Pannella, fa vivere e fa vivere la parola in essa contenuta. Radicale vuole dire stato di diritto. Vuol dire difesa dei diritti della persona. Soprattutto dei deboli».