È già pienamente nel vivo la campagna elettorale per il voto che rimetterà nelle mani del popolo sovrano le sorti del Paese. Eppure l’unica vera novità sembra il fatto che per la prima volta nella storia repubblicana si voterà in pieno inverno, magari sotto la neve. Il giorno di San Modesto (il 24 febbraio appunto) la scelta democratica indirizzerà le sorti della comunità nazionale: eppure sembra che manchi nel comune sentire la percezione della svolta epocale che si andrà ad affrontare.
O almeno questa è l’impressione (e il relativo disagio) di Piero Bassetti, il politico e intellettuale con una lunga storia di impegno e che, pur ultraottantenne, segue tutt’ora con partecipazione la vicenda pubblica, nella quale continua a svolgere un ruolo non secondario, soprattutto da quando organizzò l’impegno della classe dirigente milanese e coinvolse buona parte della borghesia meneghina nell’avventura vittoriosa dell’elezione a sindaco di Giuliano Pisapia e del successo del suo movimento arancione.
«Il limite – spiega a Linkiesta – che intravedo e che temo ormai sia un limite strutturale è che non si è colta fino in fondo l’indispensabilità di dover offrire agli italiani una riflessione seria sulle sfide di natura appunto epocale che anche la nostra società si trova e si troverà di fronte. Come se la posta in gioco si circoscrivesse all’ultima degenerazione del berlusconismo, secondo la quale la scelta nell’urna sia tra quello che piace e quello che non piace, e non invece la scomoda e faticosa comprensione di quel che si “deve”, per organizzare il futuro, in una fase oltretutto nella quale tutti i nodi irrisolti arrivano al pettine e arrivano tutti insieme».
Ma lo scontro politico sembra dipanarsi nel recinto tradizionale della distribuzione più o meno sociale della risorse pubbliche, peraltro sempre più scarse e sottoposte a vincoli sovranazionali più stringenti. Come si fa un salto di qualità?
Il dibattito appunto non è più quello sul “come” assegnare quello che c’è e quali ceti o gruppi sociali da favorire o da proteggere. Mentre la politica non può evitare di comunicare una visione, nel trasmettere cioè la consapevolezza che le scelte avvengono su temi che toccano in profondità la vita collettiva e la toccheranno sempre di più. Siamo interpellati dall’impatto (e dal potere) delle tecno-scienze che vanno modificando l’assetto del mondo con una velocità prima impensabile. Certo, c’è la crisi dell’economia e della finanza: ma quali sono lo vocazioni “locali” di un Paese o di un territorio nel contesto “globale”? Con un minimo di visione “glocal” si saprebbe, ad esempio, che il maggior settore produttivo foriero in tempi medi di sviluppo è il turismo e i servizi attorno a questo organizzati. La prospettiva di governo si incentra sul lavoro (e in sede più regionale sulla salute). Ma come mai è sparito dalla sensibilità politica il tema dell’ambiente: non ne parla più nessuno. Eppure è essenziale non solo per star meglio, ma per la stessa crescita (come appunto il turismo a cui è naturalmente collegato). E si potrebbe continuare a lungo…
Anche se le ideologie sono cadute, molto della battaglia politica si concentra ancora sull’appartenenza. Monti sta provando a dire che destra e sinistra non esistono più, ma appare un profeta completamente inascoltato.
Perché non è questo il modo di entrare nella questione. Si coglie il peso di un problema irrisolto, quello cioè del rapporto tra Palazzo e società. E che il conflitto tra destra e sinistra sia un fatto interno, uno scontro tra destra del Palazzo e sinistra del Palazzo. In realtà il Paese, per conto suo, ha già cambiato la segnaletica e sta continuando a cambiarla. E fuori dal Palazzo la destra vuole conservare il potere della distribuzione delle risorse collettive, al limite con la spinta ad ottimizzarle, mentre la sinistra è quella che coltiva le opportunità, in modo da aumentare, anche attraverso l’innovazione, le dimensioni della torta da redistribuire…
L’altro aspetto del tutto inedito delle prossime elezioni è la piena coincidenza tra le politiche nazionali e alcune elezioni regionali, a cominciare dalla Lombardia. Che ne sembra a Bassetti, primo Presidente di Regione Lombardia e attivamente impegnato nel sostegno al candidato Umberto Ambrosoli?
Non è comunque una sovrapposizione felice. Perché il discorso pubblico si concentra sul voto politico e lascia sullo sfondo il voto regionale con le sue caratteristiche e le domande diverse che pone. Con il paradosso che l’andamento lombardo finirà per influenzare pesantemente il risultato per il Parlamento (a cominciare dal premio di maggioranza per il Senato) mentre non accade l’inverso. E semmai il voto per Regione Lombardia scivolerà quasi per inerzia con un deficit generale di approfondimento sulla specificità e l’importanza delle scelte dei cittadini lombardi, purtroppo proprio quando emergono la crisi generalizzata e il fatale ridimensionamento dello Stato-Nazione…
Beh… a riportarlo in primo piano ci pensa Roberto Maroni che, con la proposta di trattenere in Regione il 75 % delle tasse, esplicita la realtà che sia la Lombardia “la madre di tutte le battaglie”…E poi con la suggestione della Macroregione del Nord.
Sì, però Maroni si guarda bene dal dire quello che direbbe ogni sincero autonomista, come ce ne sono stati tanti nella storia del Paese. E cioè che l’ipotesi del 75 per cento non esiste per trattenere e possedere quello che si raccoglie qui, ma che è uno strumento per organizzare al meglio lo sviluppo di tutti , e che l’elemento più importante è occuparsi di come destinare al meglio quel 25 per cento che viene trasferito agli altri. E quanto alla Macroregione, sembra più un modo di alzare dei confini che di intravedere una realtà nuova, come avviene in Europa, dove appunto si lavora in direzione delle euroregioni vista la crisi irreversibile degli Stati. Forse è venuto il momento di rivendicare di più la forza intellettuale e politica del filone autonomista (del quale mi sento a pieno titolo uno degli antesignani) che adesso ha ancora molto da dare, ben più delle beghe di Palazzo.
Anche rispetto a questa campagna elettorale sta lentamente emergendo la sensazione, magari confusa, che Milano in un modo e la Lombardia in un altro abbiano qualcosa in più da comunicare al Paese, proprio attraverso quell’immaginazione che si esprime nella politica. Sarà che sono già inserite nella condizione “glocale”, e quindi più sensibili alle trasformazioni che dal mondo arrivano in casa, sarà che ne sentano insieme le opportunità nuove ma anche i prezzi a volte drammatici che non si possono evitare. In ogni caso due laboratori che non possono fare a meno della sperimentazione…
Guardate che la vicenda della Lombardia non è la ripetizione pedissequa della campagna per Pisapia sindaco di Milano. Primo, perché la Lombardia non è Milano. E in secondo luogo è nuovo e diverso l’approccio, a parte qualche elemento di metodo. Il “patto civico” di Ambrosoli è un’operazione di natura più ambiziosa anche perché più strutturata (oltre che dall’esito più incerto), perché nasce dalla constatazione che occorreva offrire canali navigabili di nuova impostazione alle forze vive presenti nella società che trovavano regolarmente ostruiti i percorsi abituali e che magari cercavano l’unico sfogo possibile dietro la seduzione di leader populisti.
Ecco… la questione della leadership. In fondo l’avvocato Ambrosoli è un completo neofita della politica, che certo sa muoversi nella società civile ma che talvolta sembra scontare nell’azione concreta questa sua “verginità”…
Qualche ingenuità è messa nel conto. Ma la sua strategia del “Patto civico” ha una carica innovativa che sarebbe sbagliato sottovalutare. Il “Patto civico” segna il passaggio fondamentale dall’idea salvifica del Capo che esercita il potere e insegue il consenso ad un’altra idea salvifica, quella del Cincinnato. Ovvero della figura stimata e autorevole che si spende non per comandare ma per raccogliere e motivare tutte le energie vitali inespresse e “metterle alla stanga”. Perché Cincinnato interviene nella necessità: è al servizio della società civile, non di un suo potere personale. E svolge una funzione maieutica: quella di tirar fuori il meglio che c’è, facendolo lavorare insieme
Questa dimensione compare poco. E semmai il deficit di Ambrosoli, almeno sul piano comunicativo, è quello di sembrare indirizzato solo a una manutenzione migliorativa dell’esistente. Certo nel lavacro della legalità, ma senza la spinta a trasmettere una prospettiva di futuro per la Lombardia.
Guardate che una visione ce l’ha, anche se i media fanno fatica, per pigrizia o per abitudine, ad intercettare le novità al loro sorgere. E la fisionomia del Cincinnato, con il significato profondo che l’accompagna, è una novità molto più dirompente di quello che si possa pensare.