Come funziona il recupero della Costa Concordia

Come funziona il recupero della Costa Concordia

Nove mesi. Come un parto. Tanto servirà al mare per mandare via il gigante spiaggiato sulle coste dell’Isola del Giglio. Ancora nove mesi e cinque fasi di un lavoro di alta ingegneria subacquea che ha il timbro del made in Italy. A fine settembre, promettono gli ingegneri, la costa Concordia tornerà a galleggiare, anche solo per poco, anche solo per il tempo necessario a raggiungere il porto più vicino ed essere portata via, da quelle acque dove la sua navigazione è finita per sempre, il 13 gennaio di un anno fa.

«Il cronigramma approvato a maggio è slittato di circa un mese, ma dovremmo farcela per l’inizio dell’autunno», ci dicono dalla Micoperi, una società con sede a Ravenna che insieme con la statunitense Titan Savage sta organizzando il trasloco più imponente della storia. Ci sono circa 400 addetti (di 18 diverse nazionalità), tra tecnici e sommozzatori che operano nel cantiere giorno e notte, 7 giorni su 7, con circa 20 mezzi navali a supporto.

È stato necessario rivedere il budget totale dell’operazione, con un incremento di circa 100 milioni di dollari rispetto al costo iniziale previsto al momento dell’assegnazione della commessa, per un budget totale stimato di circa 400 milioni di dollari.

Sta per concludersi in questi giorni al Giglio la prima fase del progetto di recupero, cioè l’ancoraggio e la stabilizzazione del relitto che deve scongiurare il pericolo principale: lo scivolamento della Concordia lungo la faglia poco distante e nell’abisso. Sul fondale sono stati ancorati quattro elementi che saranno fondamentali per far rialzare la nave. Tra poco addirittura sarà costruito un fondale artificiale posizionato sulla pendenza, ed è un fondale fatto apposta per essere rimosso una volta portato via il relitto senza lasciare traccia nell’habitat marino.

La Concordia, infatti, poggia su speroni di roccia e per poterla ribaltare è necessario livellare il fondale, poggiandocene uno artificiale sopra. Ed ecco cosa prevede il progetto che sarà realizzato da ingegneri italiani: per costruire il fondale saranno posizionati dei sacchi (chiamati grout bags) poi riempiti di cemento per colmare il vuoto tra i due speroni di roccia, una a poppa e uno a prora, dove attualmente appoggia il relitto, per creare una base d’appoggio stabile per lo scafo. Dopo che i sommozzatori avranno piazzato i sacchi, una speciale malta cementizia verrà iniettata per farli “gonfiare”. 

La nave appoggio Pioneer, che garantisce la base logistica e operativa per la produzione e l’allestimento del falso fondale, si è già insediata nei pressi del cantiere e ha insediato gran parte dei contenitori removibili. Poi, per mezzo della gru della Micoperi vengono installati 15 cassoni di galleggiamento sul lato sinistro del relitto. I cassoni sono saldati sul relitto che viene quindi ribaltato. Quindi saranno posizionati i cassoni anche sul lato destro. A questo punto il relitto potrà poggiare sul falso fondale a circa 30 metri di profondità.

Per mezzo della spinta pneumatica, i cassoni sui due lati del relitto verranno progressivamente svuotati dall’acqua e forniranno la spinta necessaria a fare rigalleggiare il relitto. Terminata tale operazione, la parte che rimarrà sommersa sarà di circa 18 metri. A questo punto il gigante di acciaio sarà libero di essere diretto nel porto più vicino.

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